Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17307 del 17/06/2021
Cassazione civile sez. trib., 17/06/2021, (ud. 23/03/2021, dep. 17/06/2021), n.17307
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PERRINO A. Maria – Presidente –
Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –
Dott. SUCCI Roberto – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –
Dott. FICHERA Giusep – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al n. 09698/2015 R.G. proposto da:
B.E. (C.F. (OMISSIS)), rappresentato e difeso dall’avv.
Sabina Ciccotti, elettivamente domiciliato presso il suo studio, in
Roma via Lucrezio Caro 62.
– ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate (C.F. (OMISSIS)), in persona del direttore pro
tempore, rappresentata e difesa dall’avvocatura generale dello
Stato, elettivamente domiciliata presso i suoi uffici in Roma via
dei Portoghesi 12.
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2175/08/2014 della Commissione Tributaria
Regionale del Veneto, depositata il giorno 17 dicembre 2014.
Sentita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 23
marzo 2021 dal Consigliere Dott. Fichera Giuseppe.
Fatto
FATTI DI CAUSA
B.E. impugnò l’avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle entrate, con il quale vennero ripresi a tassazione maggiori redditi ai fini IRPEF, IRAP ed IVA per l’anno d’imposta 2009.
L’impugnazione venne integralmente accolta in primo grado; proposto appello dall’Agenzia delle entrate, la Commissione Tributaria Regionale del Veneto, con sentenza resa il giorno 17 dicembre 2014, lo accolse riformando la decisione del primo giudice.
Avverso la detta sentenza, B.E. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui ha risposto con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo del ricorso B.E. eccepisce la violazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, artt. 7 e 12, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, commi 2 e 3, nonchè dell’art. 2697 c.c., poichè il giudice di merito ha ritenuto legittimo l’avviso impugnato, nonostante l’amministrazione non avesse indicato i nominativi delle imprese similari a quelle del contribuente, il cui fatturato risulta essere stato preso in esame per ricostruire in via comparativa il reddito del contribuente.
1.1. Il motivo è inammissibile, per novità della questione.
E invero, a differenza di quanto affermato dal ricorrente, dalla mera lettura della sentenza impugnata, non risulta che il contribuente abbia nel corso del giudizio d’appello sollevato questione in ordine al mancata individuazione dei nominativi delle imprese che esercitavano attività di ristorazione nel medesimo territorio rispetto a quella sottoposta a controlli; nè l’istante ha indicato in quale atto processuale avrebbe eccepito il vizio in esame, difettando sul punto il mezzo della necessaria specificità.
2. Con il secondo motivo lamenta la violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, poichè la commissione tributaria regionale ha ritenuto legittimo l’avviso di accertamento impugnato, nonostante il metodo induttivo utilizzato per accertare il reddito d’impresa non trovasse alcun reale fondamento nella documentazione in atti.
2.1. Il motivo è manifestamente inammissibile, in quanto lamentando una violazione di legge, in realtà il ricorrente intende sottoporre ad un nuovo sindacato di merito l’accertamento effettuato dalla commissione tributaria, in ordine alla legittimità dell’avviso impugnato, fondato su taluni precisi elementi indiziari, analiticamente riportati nella sentenza impugnata.
E’ noto, poi, come in tema di prova presuntiva risulta incensurabile in sede di legittimità l’apprezzamento del giudice del merito circa la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, rimanendo il sindacato del giudice di legittimità circoscritto alla verifica della tenuta della relativa motivazione, nei limiti segnati dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (Cass. 17/01/2019, n. 1234).
2.2. Peraltro, a differenza di quanto mostra di ritenere il ricorrente, va riaffermato che in tema di accertamento induttivo del reddito di impresa, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, il convincimento del giudice in ordine alla sussistenza di maggiori ricavi non dichiarati da un’impresa commerciale può fondarsi anche su una sola presunzione semplice, purchè grave e precisa (Cass. 22/12/2017 n. 30803).
E nella vicenda all’esame il giudice d’appello, con motivazione che non si presta a censure di sorta, a fronte di una contabilità complessivamente inattendibile – perchè tenuta in maniera irregolare – ha accertato che il volume d’affari dell’impresa esercitata dal ricorrente, risultava del tutto sproporzionato rispetto ai modestissimi redditi conseguiti, emergendo una chiara antieconomicità dell’attività svolta.
Questa Corte, invero, ha già chiarito che in tema di accertamento del reddito d’impresa, in caso di irregolarità formali delle scritture contabili tali da rendere inattendibili i dati in essa esposti, è legittimo, da parte dell’Amministrazione finanziaria, il ricorso al metodo induttivo nonchè l’impiego, ai fini della determinazione dei maggiori ricavi, dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza (Cass. 04/02/2015, n. 1951).
Dunque, come correttamente ritenuto dal giudice di merito, pianamente legittimo si mostra il ricorso da parte dell’Amministrazione finanziaria al metodo induttivo, che ha consentito, mediante la comparazione con le attività di ristorazione svolte da altre imprese operanti nel medesimo settore e nella medesima area territoriale, di individuare i ricarichi medi ponderati da applicare sul prodotto venduto, così determinando il reddito effettivo del contribuente.
3. Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti per l’applicazione nei confronti della ricorrente del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, ove dovuto.
PQM
Respinge il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, liquidate in complessivi Euro 4.500,00, oltre alle spese prenotate a debito ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 23 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2021