Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17307 del 16/08/2011

Cassazione civile sez. I, 16/08/2011, (ud. 06/04/2011, dep. 16/08/2011), n.17307

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 30127/2005 proposto da:

C.G. c.f. ((OMISSIS)), G.M.

R., D.C., nella qualità di assuntori del

Fallimento della Tato Alfredo Parigi & C. s.n.c. e del Fallimento

dei

soci T.A.P., T.B.F.G.,

T.G.E., T.T.R., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA CELIMONTANA 38, presso l’avvocato PANARITI

BENITO, rappresentati e difesi dall’avvocato CEFOLA Gennaro, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

INTESA GESTIONE CREDITI S.P.A.;

– intimata –

sul ricorso 1986/2006 proposto da:

INTESA GESTIONE CREDITI S.P.A. (C.F. (OMISSIS)), nella qualità

di procuratrice della BANCA INTESA S.P.A. (già IntesaBci spa), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA LAZIO 6, presso l’avvocato GIUSEPPE FILIPPO

MARIA LA SCALA, che lo rappresenta e difende, giusta procura a

margine del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

D.C., G.M.R., C.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 776/2005 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 28/07/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/04/2011 dal Consigliere Dott. MAGDA CRISTIANO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta, che ha concluso per il rigetto del ricorso

assorbito il ricorso incidentale condizionato.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Fallimento della T.A.P. s.n.c. e dell’omonimo socio illimitatamente responsabile, con citazione dell’ottobre del ’93, convenne in giudizio il Banco Ambrosiano Veneto s.p.a.

(incorporante la Citibank s.p.a.) per sentir accertare la simulazione assoluta -limitatamente alla somma di 350 milioni delle vecchie Lire – del mutuo di L. un miliardo erogato dalla Citibank al T. ed, in subordine, per sentir dichiarare inefficace, ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 2, il versamento solutorio di pari importo eseguito dal T., nel c.d. periodo sospetto, sul conto corrente acceso dalla società poi fallita presso la banca.

Nel corso della causa, trasferita alla sezione stralcio del Tribunale, si costituirono, quali successori dell’attore, C. G., D.L.C. e G.M.R., assuntori del concordato fallimentare della s.n.c., e, quale successore della convenuta, Banca Intesa s.p.a., incorporante per fusione il Banco Ambrosiano, che eccepì preliminarmente il difetto di legittimazione degli assuntori ad agire per ottenere la revoca del pagamento.

Il G.O.A. del Tribunale di Bari, con sentenza del 2003, dichiarò improponibile la domanda di simulazione e, disattesa l’eccezione avanzata in via pregiudiziale dalla banca, respinse nel merito la domanda revocatoria.

La sentenza fu appellata dagli attori in via principale e da Banca Intesa in via incidentale.

La Corte d’Appello di Bari, con sentenza del 27.9.05, respinse entrambe le impugnazioni e, per ciò che nella presente sede interessa, affermò: 1) che dalla sentenza di omologa del concordato fallimentare, nella quale – ai fini della valutazione di convenienza “della cessione” – era stata espressamente valutata l’alea del giudizio di revocatoria pendente contro il Banco Ambrosiano, si traeva conferma che l’azione era stata ceduta agli assuntori; 2) che, poichè l’intero credito della banca (di L. un miliardo) derivante dal contratto di mutuo era stato ammesso allo stato passivo del Fallimento del T., meritava conferma la decisione del G.O.A. di improponibilità della domanda di simulazione, volta ad incidere sul giudicato endofallimentare; 3) che, peraltro, il primo motivo dell’appello principale, in cui gli assuntori del concordato avevano dedotto che il mutuo era stato effettivamente erogato al T. limitatamente alla somma di L. 650 milioni, mentre i residui 350 milioni erano stati versati sul conto corrente della s.n.c., era privo di supporto argomentativo idoneo a contrastare la pronuncia assunta in rito dal Tribunale e difettava, pertanto, del requisito della specificità; 4) che era inammissibile, in quanto formulata per la prima volta in sede d’appello, la domanda di revoca dell’operazione ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 1; 5) che la domanda svolta ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 2, era carente sotto il profilo probatorio rispetto al presupposto oggettivo (non essendo neppure stato indicato quale fosse il saldo del c/c alla data in cui vi era affluita la rimessa) e, soprattutto, rispetto a quello soggettivo, non essendo emersi nè in via documentale nè dall’espletata prova testimoniale elementi atti a dimostrare la scientia decoctionis della Citibank alla data del versamento; 6) che, infine, andava respinta la richiesta di ammissione del teste T. A.P., che il G.O.A. aveva correttamente dichiarato incapace a testimoniare, in quanto fallito, pure a fronte dell’ordinanza collegiale ammissiva della sua testimonianza.

La sentenza è stata impugnata da C.G., D.L. C. e G.M.R. con ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, illustrati da memoria.

Intesa Gestione Crediti s.p.a. ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale condizionato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso principale e quello incidentale vanno riuniti, ai sensi dell’art. 335 c.p.c.. 1) Con il primo motivo di ricorso, gli assuntori del concordato, denunciando vizio di contraddittoria e/o insufficiente motivazione nonchè violazione dell’art. 392 c.p.c. (rectius: art. 342), lamentano che la Corte territoriale abbia respinto il primo motivo d’appello ritenendo la censura in esso sollevata priva del requisito della specificità. Deducono a riguardo che, con la domanda di simulazione, essi non avevano inteso contestare l’effettiva erogazione del mutuo, ma la destinazione di una parte della somma erogata, anzichè, come stabilito nel contratto, all’aumento di capitale della CEDIT s.r.l. (società amministrata dal T.), al pagamento del debito, derivante dallo scoperto di conto corrente, che la s.n.c. poi fallita aveva nei confronti della stessa banca erogatrice; osservano quindi che, poichè il motivo era volto a evidenziare l’erroneità della pronuncia di improponibilità della domanda ed era specifico e chiaro, la Corte avrebbe dovuto esaminarlo nel merito.

Il motivo è inammissibile.

La sentenza di primo grado aveva dichiarato improponibile la domanda di simulazione, in quanto coperta dal giudicato endofallimentare, formatosi a seguito dell’avvenuta ammissione allo stato passivo del fallimento dell’intero credito della banca mutuante derivante dal contratto.

La Corte di merito, nel ribadire la correttezza di tale decisione, ha rilevato che il motivo di gravame volto a contrastarla difettava del requisito richiesto (a pena di inammissibilità) dall’art. 342 c.p.c., essendo privo di un supporto argomentativo idoneo ad incrinarne il fondamento logico-giuridico.

I ricorrenti, anzichè illustrare in modo intellegibile ed esauriente le ragioni per le quali il predetto capo della pronuncia risulterebbe viziato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, si sono limitati in questa sede a richiamare le argomentazioni difensive già prospettate in appello, senza neppure riportarle integralmente, ed a dedurre che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito, esse sono specifiche e chiare: la censura difetta dunque essa stessa del requisito della specificità (Cass. nn. 20652/09, 6012/08).

2) Resta assorbito il (peraltro infondato) secondo motivo di ricorso, con il quale gli assuntori denunciano vizio di omessa pronuncia della Corte territoriale sulla domanda di simulazione, senza considerare che il rigetto in rito di tale domanda precludeva al giudice di esaminarla nel merito.

3) Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 67, art. 2697 c.c., artt. 112, 115, 116 c.p.c., nonchè vizio di insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia. Rilevano, in primo luogo, che già nell’atto di citazione era stata evidenziata l’abnormità dell’operazione conclusa tra il T. e la Citibank e che pertanto la Corte territoriale ha errato nel ritenere nuova la domanda revocatoria svolta ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 1;

sostengono, sotto altro profilo, che la prova della scientia decoctionis della banca (peraltro già accertata in una precedente sentenza del Tribunale di Trani pronunciata fra le medesime parti) emergeva con chiarezza dalle risultanze processuali ed, in particolare, dalle dichiarazioni rese in sede testimoniale dal direttore e dai dipendenti della filiale di (OMISSIS) dell’istituto di credito mutuante, cui, peraltro, sarebbe spettato, ai sensi dell’art. 2697 c.c., di dimostrare l’inesistenza di sintomi esteriori dell’insolvenza della Tato s.n.c.; lamentano, infine, che il giudice d’appello abbia ritenuto non provato il presupposto oggettivo dell’azione senza esaminare l’estratto del conto corrente della società poi fallita (sub. doc. 9 del fascicolo di primo grado), che presentava uno scoperto di L. 346 milioni alla data del versamento impugnato.

3.1) La prima delle due censure nelle quali si articola il motivo è palesemente infondata.

Il Tribunale ha esaminato e respinto la sola domanda revocatoria espressamente proposta dagli assuntori, svolta ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 2, ed avente ad oggetto il versamento solutorio di L. 350 milioni affluito sul conto acceso dalla Tatò s.n.c. presso la Citibank nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento.

Gli odierni ricorrenti riconoscono di aver chiesto, in sede d’appello, l’accoglimento di una diversa domanda, di revoca ai sensi della L. fall., art. 67, comma 1, dell’intera operazione che aveva dato luogo ai quel versamento: per poterne ottenere l’esame essi avrebbero però dovuto dedurre di averla (quantomeno implicitamente) già formulata in citazione, proponendo uno specifico motivo ^ di gravame volto a denunciare il vizio di omessa pronuncia, sulla stessa, della sentenza di primo grado. Correttamente, pertanto, la Corte territoriale ha escluso, in assenza di tale motivo, che le competesse di interpretare l’atto introduttivo del giudizio in maniera difforme dal primo giudice ed ha dichiarato la domanda inammissibile ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 1.

3.2) La seconda censura deve essere, invece, dichiarata inammissibile nella parte in cui è volta a contrastare la motivazione in base alla quale la Corte di merito ha ritenuto non provata la ricorrenza del presupposto soggettivo dell’azione di cui alla L. Fall., art. 67, comma 2.

Premesso che – poichè la norma in esame non contempla una presunzione di conoscenza dello stato di insolvenza in capo al convenuto in revocatoria – l’onere di fornire tale prova incombeva agli assuntori, e che è privo di qualsivoglia utilità il richiamo all’accertamento che sarebbe contenuto sul punto in una precedente sentenza del Tribunale di Trani (che non risulta prodotta agli atti e della quale non è stato neppure dedotto il passaggio in giudicato), è sufficiente in proposito rilevare che i ricorrenti non hanno specificato quali, fra le dichiarazioni rese dai testi escussi che la Corte territoriale non avrebbe tenuto nella dovuta considerazione, rivestirebbero carattere decisivo, tanto da poter condurre a ritenere dimostrata la scientia decoctionis della banca.

Il dedotto vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, si risolve dunque, per tale parte, in una richiesta di riesame della prova testimoniale e di ricerca dell’esistenza di fatti decisivi sui quali la motivazione sarebbe mancata, che non può trovare ingresso in sede di giudizio di legittimità (Cass. n. 6023/09).

L’inammissibilità della censura concernente una delle due autonome rationes deciderteli sulle quali si fonda la statuizione impugnata, rende altresì inammissibile, per difetto di interesse, l’ulteriore doglianza – concernente il mancato esame del documento che proverebbe la sussistenza del presupposto oggettivo dell’azione – che, quand’anche fondata, non potrebbe di per sè determinare l’accoglimento del motivo (Cass. nn. 14297/07, 12372/06). 4) Inammissibile, per difetto del requisito dell’autosufficienza, è pure l’ultimo motivo di ricorso, con il quale gli assuntori lamentano che la Corte barese, confermando anche sul punto la sentenza di primo grado, abbia ritenuto incapace a deporre il fallito T.A..

I ricorrenti, infatti, non hanno richiamato in ricorso il motivo d’appello con il quale avevano contestato la decisione del G.O.A. nè hanno riportato i capitoli di prova sui quali il T. avrebbe dovuto essere escusso: risulta pertanto impedito a questa Corte di operare il dovuto controllo in ordine alla tempestiva deduzione, nella precedente fase di merito, dei rilievi illustrati nella presente sede di legittimità ed alla decisività delle circostanze oggetto della richiesta prova testimoniale.

5) Il ricorso incidentale condizionato proposto da Intesa Gestione Crediti resta assorbito dal rigetto del ricorso principale.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in Euro 3.000,00 per onorari ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

P.Q.M.

La Corte: riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale; condanna i ricorrenti in solido al pagamento in favore di Intesa Gestione Crediti s.p.a. delle spese del giudizio, liquidate in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 6 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 16 agosto 2011

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