Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17306 del 24/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 24/08/2016, (ud. 07/06/2016, dep. 24/08/2016), n.17306

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTOMNIO Annalisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20589-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO

presso i cui uffici domicilia in Roma, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– ricorrente –

contro

S.M. C.F. (OMISSIS), domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato CRISTIANO LICENZIATI, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1575/2013 della TRIBUNALE DI MILANO,

depositata il 12/02/2014, R.G. N. 2803/2011; udita la relazione

della causa svolta nella pubblica udienza del 07/06/2016 dal

Consigliere Dott. BLASUTTO DANIELA;

udito l’Avvocato PIETRO GAROFOLI;

udito l’Avvocato CRISTIANO LICENZIATI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte di appello di Milano, con sentenza n. 1575/2013, ha confermato la pronuncia del locale Tribunale che aveva ritenuto illegittimo il licenziamento intimato, a decorrere dal 16 maggio 2008, dall’Agenzia delle Entrate alla dipendente S.M. per superamento del periodo di comporto, fissato dall’art. 49, comma 1, CCNL comparto Agenzie Fiscali.

1.1. Il Tribunale, in considerazione di periodi di lavoro in regime di part-time verticale, aveva proceduto a riproporzionare il periodo di comporto ed aveva indicato un valore – soglia compreso tra 490 e 480 giorni, superiore al limite indicato dall’Amministrazione in 456 giorni, concludendo che le assenze accumulate dalla dipendente, pari a 473 giorni, non superavano la predetta soglia.

1.2. La Corte di appello ha rigettato il gravame dell’Agenzia, la quale aveva contestato il metodo di calcolo adottato dal Tribunale per ricavare la percentuale di riduzione della prestazione lavorativa per effetto del regime di lavoro a tempo parziale. Ha osservato che nè la lettera di recesso, nè la precedente comunicazione del 27.5.2008 recavano l’indicazione del numero delle assenze considerate ai fini del contestato superamento del periodo di comporto; neppure era stato indicato il criterio di computo del valore-soglia, elementi necessari nel caso in esame in considerazione della necessaria rimodulazione in base alla durata e all’entità dei rapporti di lavoro part time, alternati a periodi full time. Ha osservato inoltre che, nella memoria di costituzione di primo grado, il valore – soglia era stato indicato in 463 giorni e il calcolo delle assenze ammontava a 477 giorni; che nella scheda riepilogativa delle assenze prodotta in corso di giudizio le assenze erano state indicate in numero di 468; che in grado di appello, come in sede di note autorizzate di primo grado, il valore soglia era di 456 giorni e il dato delle assenze per malattia era indicato in 473 giorni.

1.3. La Corte di appello ha dunque ritenuto che l’omessa indicazione, tanto in sede stragiudiziale, quanto nella memoria di costituzione in primo grado, del dies ad quem per il calcolo a ritroso del periodo di comporto, del valore soglia con esplicitazione dei criteri di calcolo applicati per i periodi di part time e del numero esatto dei giorni di assenza per malattia ritenuti utili dall’Amministrazione, avesse impedito il contraddittorio sul superamento del periodo di conservazione del posto di lavoro, rendendo impossibile trarre il dato percentuale indicativo della riduzione della prestazione lavorativa in part-time.

2. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso l’Agenzia delle Entrate con due motivi.

Resiste con controricorso S.M..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, è inammissibile il controricorso notificato e depositato oltre i termini previsti dall’art. 370 c.p.c., (ricorso notificato il 20 agosto 2014 con scadenza del termine per il deposito al 9 settembre 2014; controricorso notificato il 2 dicembre 2014), fatta salva la facoltà della partecipazione del difensore della stessa alla discussione orale (v. Cass. n. 9396 del 2006, Cass. n. 9897 del 2007).

2. Con il primo motivo si censura la sentenza per violazione della L. n. 604 del 1966, art. 2, art. 2110 c.c., e artt. 1362 e segg. c.c., art. 49 CCNL comparto Agenzie fiscali e art. 23 CCNL integrativo del 16.5.2001. Rileva l’Amministrazione ricorrente che, per giurisprudenza consolidata, nel licenziamento per superamento del periodo di comporto, a differenza di quello intimato per motivi disciplinari, non esiste la “contestazione” di un fatto, qualificato nei suoi termini oggettivi e soggettivi della condotta del dipendente, che richieda di essere puntualmente specificato, ma viene in considerazione il solo fatto oggettivo del computo delle assenze, che può essere specificato anche in giudizio, qualora contestato. Richiama Cass. 471/2014 secondo cui il datore di lavoro può precisare in sede di giudizio i motivi del superamento del periodo di comporto ed i fatti che lo hanno determinato.

2.2. Con il secondo motivo si denuncia error in iudicando per mancanza assoluta di motivazione in relazione all’art. 132 c.p.c., violazione del principio dell’onere della prova e del principio del contraddittorio, ai sensi degli artt. 24 e 111 Cost.. Rileva la ricorrente che la lieve oscillazione dei dati forniti dall’Agenzia in primo grado (tra 468 e 477 giorni di assenza) non costituiva un elemento che potesse impedire l’esercizio del diritto di difesa della lavoratrice. Inoltre, a fronte dell’adozione, da parte del giudice di primo grado, di un proprio calcolo del rapporto tra lavoro part time e lavoro full time, nell’atto di appello si era provveduto ad elaborare una minuziosa ricostruzione, giorno per giorno, del lavoro prestato, atto a giustificare i calcoli prospettati in primo grado e il valore soglia indicato in 456 giorni. Da tale elaborazione sarebbe stato possibile evincere che il rapporto tra giorni del triennio (1.095) e giorni lavorativi (912) era pari a 83,29 e non a “circa 90%”, come ritenuto dal Giudice di primo grado, che aveva così innalzato il valore – soglia. La sentenza di appello aveva totalmente omesso di prendere in esame tali calcoli, trascurando anche di considerare che è ammissibile la correzione in corso di giudizio del dato complessivo della composizione del periodo di comporto.

3. Il ricorso è infondato.

4. Il CCNL comparto Agenzie Fiscali, all’art. 49 (assenze per malattia) indica in 18 mesi il periodo di conservazione del posto di lavoro in caso di assenze per malattia (comma 1). Il contratto collettivo integrativo del 16.5.2001, all’art. 23, comma 11, prevede che anche per le assenze dal servizio, ivi comprese le assenze per malattia, si applica il criterio del proporzionamento alle giornate di lavoro prestate nell’anno (“…proporzionato alle giornate di lavoro prestate nell’anno… Per tempo parziale verticale analogo criterio di proporzionalità si applica anche per le altre assenze dal servizio previste dalla legge e dal CCNL, ivi comprese le assenze per malattia”).

4.1. Occorre altresì premettere che, per consolidata giurisprudenza di questa Corte (v. tra le altre, Cass. n. 22392 del 2012, n. 23920 del 2010, n. 16421 del 2010 e da ultimo Cass. n. 471 del 2014, citata dalla ricorrente), il datore di lavoro può precisare in giudizio i motivi del superamento del periodo di comporto ed i fatti che lo hanno determinato. In particolare, al licenziamento che trovi giustificazione nelle assenze per malattia del lavoratore, si applicano le regole dettate dalla L. n. 604 del 1966, art. 2, (modificato dalla L. n. 108 del 1990, art. 2) sulla forma dell’atto e la comunicazione dei motivi del recesso, poichè nessuna norma speciale è al riguardo dettata dall’art. 2110 c.c.. In linea con il ricordato indirizzo giurisprudenziale (cfr. al riguardo, tra le altre, Cass. n. 23920 del 2010), occorre rilevare come il licenziamento per superamento del periodo di comporto non sia equiparabile al licenziamento disciplinare dal momento che, mentre quest’ultimo ha ad oggetto un addebito da contestare sul piano oggettivo e su quello soggettivo (colpa o dolo), il primo è relativo ad una condotta che attiene ad un fatto oggettivo e precisamente al mero computo delle assenze del lavoratore. Ne deriva che, qualora l’atto di intimazione del licenziamento non precisi le assenze in base alle quali sia ritenuto superato il periodo di conservazione del posto di lavoro, il lavoratore – il quale, particolarmente nel caso di comporto per sommatoria, ha l’esigenza di poter opporre propri specifici rilievi – ha la facoltà di chiedere al datore di lavoro di specificare tale aspetto fattuale delle ragioni del licenziamento; ove, invece, il lavoratore abbia direttamente impugnato il licenziamento, il datore di lavoro può precisare in giudizio i motivi di esso ed i fatti che hanno determinato il superamento del periodo di comporto, non essendo ravvisabile in ciò una integrazione o modificazione della motivazione del recesso.

4.2. Tanto premesso, il primo motivo è infondato. La sentenza impugnata ha evidenziato:

– che il lavoratore aveva direttamente impugnato il licenziamento, per cui sarebbe stato onere dell’Agenzia fornire in giudizio i necessari elementi conoscitivi sin dal primo atto difensivo e, dunque, in sede di memoria di costituzione ex art. 416 c.p.c.;

– che le allegazioni originarie di parte convenuta erano carenti in ordine al dies ad quem per il calcolo a ritroso del periodo di comporto, al valore soglia con esplicitazione dei criteri di calcolo applicati per i periodi di part time e al numero esatto dei giorni di assenza per malattia ritenuti utili dall’Amministrazione;

– che inoltre, in corso di giudizio, l’Amministrazione aveva fornito dati diversi delle assenze e del valore-soglia.

4.3. Dunque, i principi di diritto richiamati dall’odierna ricorrente non vengono direttamente in considerazione nel caso in esame, poichè la sentenza ha rilevato specificamente l’assenza delle – occorrenti allegazioni di parte convenuta in sede di costituzione in giudizio, da cui il difetto di contraddittorio sugli elementi costitutivi del potere di recesso datoriale.

4.4. Nè può ritenersi che tali allegazioni fossero suscettibili di formazione in corso di giudizio. Difatti, non è consentito al datore di lavoro introdurre in corso di giudizio o addirittura in appello un criterio di computo delle assenze basato sostanzialmente sulla prospettazione di fatti che non erano stati allegati, o non erano stati compiutamente allegati, in primo grado (Cass. n. 7950 del 2011). I fatti costitutivi del potere datoriale avrebbero dovuto essere compiutamente allegati già nella memoria difensiva di primo grado, ai sensi dell’art. 416 c.p.c., non potendo essere desumibili indirettamente dall’esame della documentazione prodotta unitamente alla memoria difensiva (sugli oneri di allegazione e di prova in primo grado e sulla preclusione di cui all’art. 437 c.p.c., in appello, cfr. ex multis Cass. 16201 del 2009, Cass. 19296 del 2006, Cass. 8739 del 2003, Cass. 11444 del 2002).

5. Il secondo motivo introduce il tema del difetto assoluto di motivazione e, dunque, del vizio radicale di nullità da cui sarebbe affetta la sentenza impugnata (art. 132 c.p.c.). Denuncia la ricorrente che la Corte distrettuale non aveva esaminato il calcolo analitico posto a base del ricorso in appello (trascritto da pag. 10 a pag. 41 del ricorso per cassazione), contenente la disamina dei criteri adottati dall’Agenzia. Il vizio è denunciato in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

5.1. Il motivo è infondato. Innanzitutto, deve tenersi conto di quanto questa Corte ha già precisato in ordine alla “mancanza della motivazione”, con riferimento al requisito della sentenza di cui all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4: tale “mancanza” si configura quando la motivazione “manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero… essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum” (Cass. n. 20112 del 2009, v. pure Cass. S.U. n. 8053 del 2014). La denuncia di tale vizio attiene al controllo sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della motivazione.

5.2. La conformità della sentenza al modello di cui all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, richiede che l’esposizione dei fatti di causa riassuma concisamente il contenuto sostanziale della controversia e che nella motivazione sia chiaramente illustrato il percorso logico giuridico seguito, sicchè è sufficiente che la sentenza consenta di desumere la ragione per la quale ogni istanza proposta dalle parti sia stata esaminata e di ricostruire l’esatto ragionamento posto a base della decisione (cfr. Cass. n. 21420 del 2015).

5.3. Nessuno di tali vizi radicali inficia la sentenza impugnata. Essa illustra (pagg. 2 e 3) i motivi dell’atto di appello e reca, poi, una motivazione non meramente apparente, nè affetta da irriducibile contraddittorietà o illogicità, ma – come si è visto con riferimento al primo motivo di ricorso – giuridicamente corretta, avendo ritenuto precluso alla parte convenuta di introdurre in corso di giudizio le allegazioni vertenti sugli elementi costitutivi del potere di recesso per superamento del periodo di comporto; ha altresì escluso che le carenze dell’atto introduttivo potessero essere colmate dal giudice di primo grado attraverso l’esame degli allegati alla memoria difensiva per ricavarne gli occorrenti elementi di giudizio. Non ricorre dunque il vizio di cui all’art. 132 c.p.c., comma 2.

6. L’ulteriore censura formulata con il secondo motivo attiene alla riformulazione dei conteggi nel corso del giudizio di primo grado, in replica alle censure di parte ricorrente. Si assume che tale rettifiche avevano seguito lo sviluppo del contraddittorio e non erano state introdotte in violazione di esso. Si assume, inoltre, che le minime differenze emergenti dalle riformulazione dei conteggi non potevano inficiare la validità dei criteri utilizzati dall’Agenzia nel proporzionamento del valore – soglia. Si rileva, infine, che il giudice di primo grado aveva utilizzato per la sua decisione gli allegati prodotti dall’Agenzia.

6.1. Le prime due censure postulano il superamento dell’opzione interpretativa accolta dal giudice di appello, secondo cui le carenze delle allegazioni originarie di parte convenuta non potevano essere colmate in corso di giudizio, neppure mediante l’utilizzazione dei prospetti allegati alla memoria, stante il difetto genetico di contraddittorio in ordine agli elementi costitutivi della fattispecie del recesso per superamento del periodo di comporto. Tali elementi erano stati chiaramente individuati dalla Corte di appello nella necessaria indicazione: a) del dies ad quem per il calcolo a ritroso del periodo di comporto; b) del valore soglia con esplicitazione dei criteri di calcolo applicati per i periodi di part time; c) del numero esatto dei giorni di assenza per malattia ritenuti utili dall’Amministrazione. Le censure, oltre che infondate per quanto già osservato in relazione al primo motivo, non risultano neppure specifiche con riferimento alla predetta ricostruzione dei fatti costitutivi del diritto.

6.2. Quanto alla terza censura, va osservato che neppure l’avvenuta utilizzazione degli allegati ad opera del Giudice di primo grado poteva superare le preclusioni dovute al difetto delle originarie allegazioni. Ed infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il principio di acquisizione probatoria comporta l’impossibilità per le parti di disporre degli effetti delle prove ormai assunte, le quali possono giovare o nuocere all’una o all’altra parte indipendentemente da chi le abbia dedotte, e non già l’obbligo del giudice di considerare e tener comunque ferme tutte le prove sol perchè già espletate, ancorchè ammesse in violazione di norme di legge. Ne consegue che legittimamente il giudice d’appello può ritenere una prova erroneamente ammessa in primo grado, e dunque non utilizzabile ai fini della sua decisione (Cass. n. 15480 del 2012).

6.3. Il principio di acquisizione probatoria è altro rispetto a quanto suppone parte ricorrente, e riguarda l’impossibilità della parte di disporre degli effetti delle prove raccolte, che una volta assunte possono giovare o nuocere all’una o all’altra parte indipendentemente da chi le abbia dedotte. Invece, il giudice ha l’obbligo di rilevare d’ufficio l’esistenza di una norma di legge idonea ad escludere, alla stregua delle circostanze di fatto già allegate ed acquisite agli atti di causa, il diritto vantato dalla parte, e ciò anche in grado di appello, senza che su tale obbligo possa esplicare rilievo la circostanza che, in primo grado, le questioni controverse abbiano investito altri e diversi profili di possibile infondatezza della pretesa in contestazione e che la statuizione conclusiva di detto grado si sia limitata solo a tali diversi profili, atteso che la disciplina legale inerente al fatto giuridico costitutivo del diritto è di per se sottoposta al giudice di grado superiore, senza che vi ostino i limiti dell’effetto devolutivo dell’appello (Cass. n. 7789 del 2011).

7. In conclusione, il ricorso va respinto.

8. Il controricorso inammissibile non può essere posto a carico del ricorrente (soccombente) nel computo dell’onorario di difesa da rimborsare al resistente. Tale onorario deve essere, quindi, limitato alla discussione della causa, fatta dal patrono della parte vittoriosa alla pubblica udienza (Cass. n. 22269 del 2010). L’inammissibilità del controricorso notificato oltre il termine fissato dall’art. 370 c.p.c., non incide, invece, sulla validità ed efficacia della procura speciale rilasciata a margine di esso dal resistente al difensore, che può partecipare in base alla stessa alla discussione orale, consegue che, in caso di rigetto del ricorso, al resistente non compete il rimborso delle spese e degli onorari relativi al controricorso, mentre spetta quello delle spese per il rilascio della procura e dell’onorario per lo studio della controversia e per la discussione (Cass. n. 11275 del 2005 e n. 1016 del 2006, n. 11619 del 2010, n. 4300 del 2016).

Non sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (legge di stabilità 2013): da ultimo Cass. 1778 del 2016.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 100,00 per esborsi e in Euro 1.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 7 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 24 agosto 2016

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