Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17305 del 24/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 24/08/2016, (ud. 07/06/2016, dep. 24/08/2016), n.17305

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TORRICE Amelia – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11672-2014 proposto da:

D.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA G.B. MORGAGNI 2/A, presso lo studio dell’avvocato UMBERTO

SEGARELLI, rappresentato e difeso dall’avvocato DONATO ANTONUCCI,

giusta delega in atti;

– ricorrente-

contro

COMUNE DI GALLICCHIO P.I. (OMISSIS), in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI SAN BASILIO 61,

presso lo studio dell’avvocato ANNALISA DI GIOVANNI, rappresentato e

difeso dall’avvocato FRANCESCO ARMENANTE, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 742/2013 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 17/01/2014, R.G. N. 740/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/06/2016 dal Consigliere Dott. TORRICE AMELIA;

udito l’Avvocato DONATO ANTONUCCI;

udito l’Avvocato ANNALISA DI GIOVANNI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO RITA, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il Tribunale di Lagonegro aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento senza preavviso intimato dal Comune di Gallicchio ad D.A. il 7.3.2011, per assenza dal servizio per 24 giorni, giustificata da certificazione medica trasmessa irregolarmente, aveva ordinato la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro ed aveva condannato il Comune al pagamento delle retribuzioni, ed al versamento dei contributi, maturate dalla data del licenziamento a quella di effettiva reintegrazione.

2. Adita dal Comune di Gallicchio, la Corte di Appello di Potenza, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha condannato il Comune a pagare al Durante le retribuzioni maturate dal 1.4.2011 al 15.6.2012 ed a versare i contributi correlati a dette retribuzioni.

3. La Corte territoriale ha rilevato che, successivamente all’adozione del licenziamento del 7.3.2011 e successivamente alla proposizione del ricorso di primo grado, il Comune, avendo accertato che il certificato medico giustificativo della malattia era stato rilasciato da un medico libero professionista non dipendente della ASL e nemmeno legato a questa da rapporto di convenzione con il SSN, aveva nuovamente contestato l’assenza ingiustificata e, al termine del procedimento disciplinare, aveva confermato licenziamento con atto del 15.6.2012.

4. Ha ritenuto che il secondo licenziamento (quello del 15.6.2012), per essere fondato su una circostanza nuova, ulteriore ed estranea al primo licenziamento e connessa al fatto che il certificato attestante la malattia era stato rilasciato da medico non abilitato, perchè estraneo al SSN, costituiva nuovo e diverso licenziamento, avente effetti a far data dal 15.6.2011(“rectius” dal 15.6.2012).

5. Ha, inoltre, affermato che il secondo licenziamento, non impugnato, fosse idoneo a risolvere il rapporto di lavoro a far tempo dal 15.6.2012 e che, di conseguenza, l’indennità risarcitoria, già attribuita dal giudice di primo grado, spettava solo per il periodo compreso tra la data di risoluzione del rapporto determinata dal primo licenziamento e la data del secondo licenziamento.

6. Avverso la sentenza ricorre il Durante formulando quattro motivi, illustrati da successiva memoria, al quale resiste il comune di Gallicchio con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I motivi del ricorso

7. Con il primo motivo il Durante censura la sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e/o errata applicazione degli artt. 99, 112, 345 e 437 c.p.c., del principio del doppio grado di giurisdizione, della L. n. 604 del 1966, art. 7, della L. n. 300 del 1970, art. 18.

8. Lamenta che la Corte territoriale, nel limitare la condanna risarcitoria al periodo compreso tra la data del primo licenziamento e quella del secondo licenziamento, avrebbe errato, per non avere rilevato di ufficio la novità dell’eccezione e della domanda formulata dal Comune, che solo in grado di appello aveva eccepito per la prima volta che il licenziamento del 15.6.2012 (al pari di quello intimato il 19.11.2012) non costituiva mera conferma del primo licenziamento ma provvedimento nuovo e diverso, non impugnato dal lavoratore.

9. Deduce che nella comparsa di costituzione del giudizio di primo grado il Comune aveva rappresentato di avere adottato due atti confermativi del primo licenziamento non al fine di prospettare la volontà di adottare nuovi licenziamenti aventi efficacia “ex tunc” ma solo per avvalorare la tesi della legittimità e doverosità del primo licenziamento.

10. Con il secondo motivo il Durante censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o errata applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 6, L. n. 300 del 1970, art. 18, art. 2969 c.c., artt. 100, 112, 345, 416 e 437 c.p.c., e del principio del contraddittorio, per non avere la Corte territoriale considerato che la prescrizione e la decadenza costituiscono eccezioni in senso proprio che non possono essere formulate per la prima volta nel giudizio di appello, nè rilevate di ufficio dal giudice.

11. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 4, violazione e/o errata applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 6, L. n. 300 del 1970, art. 18, artt. 1324 e 1362 c.c., dell’art. 112 c.p.c., e omessa valutazione di prova documentale.

12. Lamenta che la Corte territoriale avrebbe violato le regole dell’ermeneutica contrattuale, per non avere considerato che il dato letterale del licenziamento del 15.6.2012 attestava che esso non costituiva nuovo atto di recesso, e per avere omesso di esplicitare le ragioni per le quali detto atto dovesse essere interpretato come un recesso “ex nunc” del tutto autonomo rispetto al primo licenziamento.

13. Con il quarto motivo il ricorrente denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o errata applicazione della L. n. 604 del 1966, artt. 2 e 6, L. n. 300 del 1970, art. 18, D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55, comma 1, art. 55 bis, art. 55 quater, comma 1, lett. b) e art. 55 septies, artt. 112, 345 e 437 c.p.c., artt. 6 e 13 CEDU e dell’art. 6, comma 3 del Trattato di Lisbona, recepito con L. n. 130 del 2008.

14. Sostiene che la Corte territoriale avrebbe erroneamente sovrapposto il concetto del “motivo” del licenziamento – la condotta sanzionata – con quello di motivazione della causa di licenziamento ed avrebbe illegittimamente frazionato un licenziamento ontologicamente unitario, tale considerato dallo stesso datore di lavoro.

15. Sostiene che la reiterazione del licenziamento, costringendo il lavoratore a ripetute impugnative anche in pendenza di giudizio avverso il primo atto espulsivo, concretizzerebbe violazione del principio del giusto processo.

Esame dei motivi.

16. E’ priva di pregio la doglianza formulata nel primo motivo, con riguardo al mancato rilievo di ufficio della novità dell’eccezione e della domanda formulata dal Comune.

17. Va rilevato che i fatti e le circostanze verificatisi successivamente all’adozione del licenziamento del 7.3.2011 erano stati prospettati, sia pure tardivamente dal Comune nella comparsa di costituzione (la questione della tardività della costituzione del Comune e delle sue prospettazioni difensive nel giudizio di primo grado non è oggi rilevata) ed erano stati acquisiti al giudizio, per quanto emerge dalla sentenza oggi impugnata (pg. 7 secondo capoverso). In quest’ultima, infatti, si dà atto che il giudice di primo grado aveva preso in esame i fatti emersi successivamente all’adozione del licenziamento,oggetto dell’impugnativa giudiziale (quello in data 7.3.2011), e li aveva ritenuti irrilevanti ai fini della formulazione del giudizio di legittimità/illegittimità di detto licenziamento.

18. Nel giudizio di appello quegli stessi fatti furono invocati non come ragione di sostegno alla validità del primo licenziamento, ma come fatti qualificanti e fondanti le ragioni dei nuovi e successivi atti di licenziamento, per censurare la statuizione del giudice di primo grado. Tanto emerge dalle stesse deduzioni del ricorrente, il quale, nella pg. 17 del ricorso, ha allegato che il Comune, nel sesto motivo di appello, aveva lamentato che il giudice di primo grado aveva omesso di valutare gli ulteriori atti di licenziamento ed aveva sostenuto che “non vi è dubbio che il Giudicante, qualora avesse correttamente evidenziato la validità e l’inoppugnabilità di tali nuove determinazioni, avrebbe respinto il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse (art. 100 c.p.c.)”.

19. La sentenza impugnata, pertanto, resiste alle censure formulate con riguardo alla dedotta violazione degli artt. 99, 112, 345 e 437 c.p.c., perchè le sue statuizioni risultano pronunciate nell’ambito del “devolutum” costituito dai motivi di censura formulati dall’appellante Comune, sia con riferimento alla qualificazione dei successivi atti di licenziamento sia con riferimento alla loro inoppugnabilità.

20. In ordine a detta questione (secondo motivo di ricorso) va rilevato che il ricorrente, nella pg. 17 del ricorso ha dedotto che “in tal modo, viene quindi eccepita dal Comune anche la decadenza del Durante dall’impugnativa del nuovo licenziamento”, dolendosi della tardività della eccezione.

21. La doglianza è infondata, atteso che l’eccezione di decadenza dal diritto ad impugnare non avrebbe potuto essere sollevata nel giudizio di primo grado, in quanto, al momento della costituzione nel giudizio di primo grado, avvenuta il 19.6.2012 (cfr. ricorso pg. 5, controricorso pg. 6), in relazione al licenziamento del 15.6.2012 i termini di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 6, non erano decorsi.

22. Il terzo motivo, che pone questione di violazione delle regole di ermeneutica contrattuale, in merito alla qualificazione del licenziamento del 15.6.2012, è inammissibile, perchè il ricorrente non ha precisato, in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si è discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li ha applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti.

23. Va ribadito, sul punto, il consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte, secondo cui, in tema di interpretazione degli atti negoziali, l’accertamento della volontà delle parti, in relazione al contenuto del negozio, si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi dì vizio motivazionale – nei limiti di quanto oggi previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo riformato per effetto del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito con modifiche dalla L 134/2012 (Cass. SSUU 8053/2014) -, ovvero di violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti c.c..

24. E’, pertanto, necessario, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, che il ricorrente per cassazione faccia esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, e precisi anche in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di una motivazione apparente o inesistente, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (Cass. 9054/2013, 23569/2007).

25. Il quarto motivo che imputa, in sostanza, alla Corte la scelta di leggere un nuovo “motivo” di licenziamento e una nuova tardiva motivazione aggiunta, in violazione delle norme citate in rubrica, è infondata alla luce dell’orientamento giurisprudenziale di questa Corte secondo cui, in tema di licenziamento in regime di tutela reale, ove il datore di lavoro abbia intimato al lavoratore un licenziamento individuale, è ammissibile una successiva comunicazione di recesso dal rapporto da parte del datore medesimo, purchè il nuovo licenziamento sì fondi su una ragione o motivo diverso e sopravvenuto (nel senso di non noto in precedenza al datore di lavoro) e la sua efficacia resti condizionata all’eventuale declaratoria di illegittimità del primo (Cass. 22357/2015, 106/2013, 1244/2011, 6055/2008).

26. In particolare, questa Corte nella sentenza 106/2013 ha osservato, in continuità con l’orientamento in precedenza affermato nella sentenza 6055/2008 e nella sentenza 1244/2011, che “la continuità e la permanenza del rapporto giustifica l’irrogazione di un secondo licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, ove basato su una nuova e diversa ragione giustificatrice, dal quale solamente, in mancanza di tempestiva impugnazione, deriverà l’effetto estintivo del rapporto”. Ciò perchè, nell’area della c.d. tutela reale, il primo licenziamento, in quanto illegittimo, “non è idoneo ad estinguere il rapporto al momento in cui è stato intimato determinando unicamente una sospensione della prestazione dedotta nel sinallagma a causa del ritenuto rifiuto di ricevere la prestazione stessa, sino a quando, a seguito del provvedimento di reintegrazione del giudice, non venga ripristinata la situazione materiale antecedente al licenziamento”.

Nella decisione n. 106/2013 questa Corte ha ribadito che il datore di lavoro, qualora abbia già intimato al lavoratore il licenziamento per una determinata causa o motivo, può legittimamente intimargli un secondo licenziamento, fondato su una diversa causa o motivo, restando quest’ultimo del tutto autonomo e distinto rispetto al primo; sicchè entrambi gli atti di recesso sono in sè astrattamente idonei a raggiungere lo scopo della risoluzione del rapporto, dovendosi ritenere il secondo licenziamento produttivo di effetti solo nel caso in cui venga riconosciuto invalido o inefficace il precedente. Ed ha affermato che, una volta che il datore di lavoro ha intimato il licenziamento comunicando il suo recesso dal rapporto, questo deve considerarsi risolto fino a quando, ove si verta in regime di tutela reale, non intervenga una pronuncia di reintegrazione nel posto di lavoro L. n. 300 del 1970, ex art. 18, purchè si tratti di un motivo non solo diverso da quello che posto a fondamento del primo licenziamento, ma anche sopravvenuto, nel senso di non noto in precedenza al datore di lavoro.

27. E’ stato anche precisato che, nel caso di plurime inadempienze del lavoratore, il datore di lavoro non può allegarne una a giustificazione del licenziamento disciplinare per poi procedere, con contestazioni a catena, ad intimare ulteriori licenziamenti, pur condizionati nell’efficacia in modo sequenziale, fondandoli su altri addebiti già noti in precedenza.

28. Nella fattispecie in esame la Corte territoriale ha ritenuto, con accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità, che il secondo licenziamento, quello del 15.6.2012, era stato giustificato con una circostanza nuova ed ulteriore, estranea al primo licenziamento e correlata al fatto che il certificato, attestante lo stato di malattia, era stato rilasciato da un medico non dipendente della AUSL e nemmeno convenzionato con il SSN.

29. Le argomentazioni difensive che fanno riferimento all’art. 6 CEDU sono inconferenti perchè estranee alla violazione del principio del giusto processo, inteso come impedimento o difficoltoso accesso alla tutela giudiziale.

30. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza.

31. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte.

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente alla refusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.500,00, per compensi professionali ed Euro 100,00 per esborsi, oltre IVA e CPA, oltre 15% per rimborso spese generali forfettarie.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 7 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 24 agosto 2016

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