Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17305 del 19/08/2020

Cassazione civile sez. II, 19/08/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 19/08/2020), n.17305

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sui ricorsi riuniti n. 391-2016 e n. 21930-2019 rispettivamente

proposti il n. 391-2016 da:

G.A., G.E., elettivamente domiciliati in Roma,

Via Cipro 77, presso lo studio dell’avvocato Cristina Speranza,

rappresentati e difesi dall’avvocato Filippo Testa;

– ricorrenti –

contro

G.A.M., G.E.R., G.R.,

elettivamente domiciliati in Roma, V. C.Colombo 440, presso lo

studio dell’avvocato Gianni Di Pierri, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza non definitiva n. 353/2014 della Corte d’appello

di Campobasso, depositata il 02/12/2014;

e il n. 21930-2019 proposto da:

G.A., G.E., elettivamente domiciliati in Roma,

Via Cipro 77, presso lo studio dell’avvocato Cristina Speranza,

rappresentati e difesi dall’avvocato Filippo Testa;

– ricorrenti –

contro

G.A.M., G.E.R., G.R.,

elettivamente domiciliati in Roma, V. C.Colombo 440, presso lo

studio dell’avvocato Gianni Di Pierri, che li rappresenta e difende;

– intimati –

avverso la sentenza n. 235/2018 della Corte d’appello di Campobasso,

depositata il 14/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/12/2019 dal Consigliere Dr. Annamaria Casadonte.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Che:

– il presente giudizio di legittimità trae origine da due distinti ricorsi;

– il primo, iscritto con il n. 391/2016 r.g. e notificato il 23 dicembre 2015, proposto da E. e G.A. nei confronti di A.M., E.R. e G.R. avverso la sentenza non definitiva della Corte d’appello di Campobasso n. 353 depositata il 2/12/2014 che rigettava l’appello principale proposto dalle odierni ricorrenti quali eredi del padre G.G. e, in accoglimento di quello incidentale proposto dalle originarie convenute, dichiarava aperta la successione ereditaria di C.A. e accogliendo la domanda di divisione disponeva il prosieguo del processo al fine di procedere allo scioglimento della comunione e alla divisione tra le parti dell’asse ereditario costituito da alcuni terreni;

– il secondo, iscritto con il n. 21930/2019 r.g. e notificato l’11/7/2019, proposto da E. e G.A. nei confronti di A.M., E.R. e G.R. avverso la sentenza n. 235 pubblicata il 14/6/2018 con cui la medesima Corte d’appello di Campobasso ha definito lo stesso giudizio d’appello procedendo all’assegnazione delle quote ereditarie e dei frutti facenti parte dell’eredità di C.A.;

– il contenzioso tra le parti era insorto a seguito di citazione da parte di G.G. con la quale aveva convenuto le sorelle A., R. ed G.E.R. al fine di sentir dichiarare nei loro confronti l’intervenuta usucapione della quota-parte di alcuni appezzamenti di terreno;

– l’attore sosteneva, in particolare, che si trattava di appezzamenti in comproprietà anche con le sorelle, rientranti nella successione legittima dalla madre C.A. ed a questa pervenuti a seguito di successione legittima del padre e del fratello; l’attore sosteneva di averli sempre posseduti e coltivati come cosa propria ed esclusiva;

– si erano costituite avanti all’adito Tribunale di Larino le convenute contestando la domanda attorea e formulando in via riconvenzionale domanda di divisione dei beni oggetto della successione ereditaria;

– all’esito del giudizio di primo grado il tribunale respingeva la domanda attorea; con riguardo alla domanda riconvenzionale spiegata dalle convenute riteneva che la stessa fosse stata abbandonata e, in ragione di ciò, compensava le spese di lite; -proposto appello in via principale da E. e G.A., quali uniche eredi dell’attore, ed appello incidentale da parte delle convenute, la Corte d’appello di Campobasso con la sentenza non definitiva qui impugnata confermava l’assenza di prova in ordine alla domanda attorea di accertamento dell’intervenuta usucapione;

– la medesima corte territoriale, in diverso avviso rispetto al giudice di primo grado, accoglieva inoltre l’appello incidentale e dichiarava aperta la successione ereditaria di C.A., disponeva la divisione dell’asse ereditario con prosecuzione del giudizio di merito per lo scioglimento della comunione e la divisione dell’asse ereditario;

– con la successiva sentenza n. 235/2018, oggetto del secondo ricorso per cassazione, ed emessa all’esito di ctu, la corte distrettuale ha recepito il progetto divisionale da quest’ultimo elaborato e proceduto all’assegnazione di quote in natura dei beni ereditari, disponendo per il caso di mancato accordo l’estrazione a sorte e la distribuzione dei frutti civili percepiti dal fratello G. in ragione dei beni posseduti;

– la cassazione delle due sentenze è chiesta dalle eredi dell’originario attore con ricorsi affidato il primo a due motivi, seppure articolato in più profili, per quanto concerne la sentenza non definitiva n. 353/2014 e affidato a quattro motivi per quanto concerne quella definitiva n. 235/2018;

– resistono con distinti controricorsi tempestivamente notificati in entrambi i ricorsi le convenute A., E.R., G.R.;

– entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.;

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Che:

– va preliminarmente disposta la riunione dei due ricorsi perchè riguardanti in parte gli stessi motivi, sebbene formulati avverso distinte pronunce rese nel medesimo processo;

– il primo motivo del ricorso n. 391/2016 r.g. è identico al primo del ricorso n. 21930/2019 r.g. ed è articolato in tre distinti profili: a) con il primo profilo le ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1140 e 1158 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. per avere la corte d’appello erroneamente trascurato le circostanze di fatto che deponevano a conferma del pacifico possesso ultra ventennale da parte dell’attore, quali la coltivazione per oltre quarant’anni, il pagamento delle imposte relative ai frutti civili, la ristrutturazione effettuata a proprie spese nonchè la presentazione delle domande per l’integrazione al reddito con riscossione dei relativi importi;

b) con il secondo profilo si censura l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per non avere la corte d’appello ritenuto provato l’esercizio del possesso uti dominus da parte dell’attore;

c) con il terzo profilo si censura la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per essere la motivazione della sentenza soltanto apparente;

– il motivo appare inammissibile con riguardo a tutti e tre i profili denunciati;

– con riguardo al primo si tratta di contestazioni riguardanti il merito dell’apprezzamento svolto dalla corte d’appello sulle prove raccolte, insindacabile da parte del giudice di legittimità al di fuori dei limiti in cui ora è consentito il controllo sulla motivazione;

– nè parte ricorrente ha specificato quale principio interpretativo sarebbe stato asse r.mente violato dalla corte d’appello;

– peraltro, per consolidato orientamento giurisprudenziale ricorre la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. solo allorchè il giudice abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non quando nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c.(cfr. Cass. 26769/2018; 4699/2018; 29382/2016);

– il secondo motivo del ricorso 391/2016 r.g. è pure identico al secondo del ricorso n. 21030/2019 r.g. ed è articolato in due profili: a) con il primo le ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 36 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la corte territoriale accolto, sulla base di apodittiche generiche affermazioni di ammissibilità della stessa, la domanda riconvenzionale delle convenute disponendo la divisione degli immobili;

– le ricorrenti contestano l’ammissibilità della domanda di divisione e di scioglimento della comunione proposta dalle convenute non ravvisando nè la dipendenza nè la connessione o comunanza tra essa e quella di accertamento dell’intervenuta usucapione;

b) con il secondo profilo deducono la nullità della sentenza in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere, in violazione dell’art. 112 c.p.c., la corte territoriale pronunciato su una domanda in realtà abbandonata;

– la censura appare inammissibile con riguardo ad entrambi i profili;

– con riguardo al primo profilo se ne ravvisa l’inammissibilità ex art. 360 bis c.p.c. poichè si è ripetutamente affermato da parte di questa Corte che l’art. 36 c.p.c. giustifica il simultaneus processus anche con riguardo ai casi di connessione impropria e cioè quando il collegamento non dipende dal titolo della domanda principale (accertamento della proprietà esclusiva nei confronti dei comproprietari) ma da un titolo diverso (accertamento della comunione ereditaria e del diritto allo scioglimento di essa), purche sussista tra le opposte pretese un collegamento obiettivo che giustifichi l’opportunità della trattazione simultanea (cfr. Cass. 15271/2006; id. 27564/2011);detta valutazione costituisce l’esito di una valutazione riservata all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità ove sia stata adeguatamente argomentata (cfr. Cass. 24684/2013);

– ciò posto, nel caso di specie la corte d’appello ha esplicitamente motivato in ordine all’ammissibilità della domanda (cfr. pag. 7 della sentenza);

– con riguardo al secondo profilo, esso è pure inammissibile;

– la corte ha poi ritenuto – richiamando letteralmente le conclusioni delle convenute all’udienza di precisazione delle conclusioni, in cui si sono riportate a tutte le eccezioni, deduzioni richieste formulate in corso di causa insistendo nell’accoglimento delle medesime, – che la domanda non fosse stata abbandonata e, pertanto, non attingendo il motivo al tenore dell’argomentazione della corte, la doglianza appare inammissibile;

– con il terzo motivo del ricorso n. 21930/2019 r.g. le ricorrenti denunciano due profili, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e n. 5, per avere la sentenza definitiva recepito le conclusioni del ctu nonostante le critiche formulate in relazione alla valutazione dei terreni ed a quella dei frutti civili;

– entrambe le censure, che possono essere trattate congiuntamente perchè riguardano nella sostanza la motivazione della sentenza conclusiva, sono tuttavia inammissibili perchè la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo controllo, bensì la sola facoltà di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, le argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) (Cfr. Cass. 8178/2005; 824/2011);

– ciò posto nel caso di specie la corte distrettuale ha argomentato le ragioni di condivisibilità del progetto proposto dal ctu con specifico riferimento al criterio del minor frazionamento e della riduzione dei costi e parte ricorrente non ha formulato in proposito rilievi ammissibili e rilevanti in sede di legittimità;

– con il quarto motivo del ricorso n. 21930/2019 r.g. si censura la sentenza conclusiva del giudizio per avere regolato le spese di lite secondo il principio di soccombenza invece di porle a carico della massa;

– la censura è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c.;

– costituisce principio consolidato che nei procedimenti di divisione giudiziale, le spese occorrenti allo scioglimento della comunione vanno poste a carico della massa, in quanto effettuate nel comune interesse dei condividenti, trovando, invece, applicazione il principio della soccombenza e la facoltà di disporre la compensazione soltanto con riferimento alle spese che siano conseguite ad eccessive pretese o inutili resistenze alla divisione (cfr.Cass.925/1979; id. 22903/2013;id.3083/2006);

– la Corte si è attenuta a tale principio ed ha, infatti, posto a carico solidale delle parti le spese di ctu, come pure riconosciuto dalle ricorrenti, ponendo invece a carico delle soccombenti quelle relative alle questioni sollevate infondatamente dalle stesse, senza che siano state considerazioni critiche per rimeditare il principio interpretativo applicato;

– in definitiva entrambi i ricorsi riuniti vanno dichiarati inammissibili e, in applicazione del principio di soccombenza, parte ricorrente va condannata alla rifusione delle spese di lite a favore di parte controricorrente nella misura liquidata in dispositivo;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

PQM

La Corte decidendo sui ricorsi riuniti n. 319/2016 e n. 21930/2019 r.g. li dichiara inammissibili; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese a favore dei controricorrenti che liquida in Euro 5500,00 oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali ed oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, della Sezione Seconda Civile, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 agosto 2020

 

 

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