Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17305 del 17/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 17/06/2021, (ud. 23/03/2021, dep. 17/06/2021), n.17305

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO A. Maria – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. SUCCI Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. FICHERA Giusep – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 05067/2014 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate (C.F. 80224030587), in persona del direttore

pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocatura generale dello

Stato, elettivamente domiciliata presso i suoi uffici in Roma via

dei Portoghesi 12.

– ricorrente –

contro

Il Poggio s.r.l. (C.F. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore.

– intimata –

avverso la sentenza n. 57/35/2013 della Commissione Tributaria

Regionale della Toscana, depositata il giorno 1 luglio 2013.

Sentita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 23

marzo 2021 dal Consigliere Dott. Fichera Giuseppe.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Poggio s.r.l. impugnò l’avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle entrate, con il quale vennero ripresi a tassazione maggiori redditi ai fini IRES, IRAP ed IVA per l’anno d’imposta 2007.

L’impugnazione venne integralmente accolta in primo grado; proposto appello dall’Agenzia delle entrate, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con sentenza resa il giorno 1 luglio 2013, lo respinse.

Avverso la detta sentenza, l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a due mezzi, mentre la società contribuente è rimasta intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso l’Agenzia delle entrate eccepisce la violazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 85, comma 2, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), nonchè del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 2, comma 2, n. 4), e art. 54, avendo il giudice di merito erroneamente ritenuto che la cessione di un bene merce ad uno dei soci della cedente, pure a titolo oneroso, non potesse essere equiparato, ai soli fini fiscali, all’atto di assegnazione.

1.1. Il motivo non è fondato.

E’ vero che ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 85, comma 2, nel testo novellato dal D.Lgs. 12 dicembre 2003 n. 344, sono compresi tra i ricavi delle società “il valore normale dei beni di cui al comma 1 assegnati ai soci”, cioè di quei c.d. “beni merce” che, di norma in sede di redazione del bilancio, vengono distribuiti alla compagine sociale sotto forma di utili ovvero di riserve disponibili.

Tuttavia, nella vicenda che ci occupa, la commissione tributaria regionale ha accertato – con valutazione in fatto qui non sindacabile che la società intimata aveva trasferito un immobile a titolo oneroso alla socia, dietro versamento di un corrispettivo in denaro, senza procedere ad alcuna distribuzione in natura di utili o riserve disponibili ai soci; resta escluso, pertanto, che possa trovare applicazione in questa sede la suddetta disposizione, riferita chiaramente ed inequivocabilmente alle sole assegnazioni di beni sociali in favore dei soci.

Nè è consentito invocare qui un supposto principio generale, a tenore del quale anche nel caso di trasferimento a titolo oneroso dei c.d. “beni merce” ai soci, debba comunque trovare applicazione, ai fini dell’accertamento del reddito d’impresa, il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 9, comma 3 – sempre nel testo novellato dal D.Lgs. n. 344 del 2003 – che fornisce la definizione del “valore normale”, per l’assorbente considerazione che l’accertamento impugnato, come visto, si riferisce ad un atto di compravendita posto in essere dalla società contribuente e per procedere alla rettifica del reddito d’impresa di quest’ultima, occorreva allora ricorrere ad una ripresa incentrata sulla prova – a carico dell’Amministrazione – dell’avvenuta simulazione relativa del prezzo effettivamente pattuito.

2. Con il secondo motivo, in subordine, lamenta vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), poichè la commissione tributaria regionale ha omesso di esaminare il fatto decisivo per il giudizio, costituito dalla antieconomicità del comportamento tenuto dalla società cessionaria.

2.1. Il motivo è inammissibile, da un lato, in quanto esclusa l’applicabilità del D.Lgs. n. 917 del 1986, art. 85, perde di qualsivoglia rilevanza la questione concernente l’accertamento del “valore normale” del bene trasferito e, per altro verso, atteso che non risulta – dalla lettura della sentenza impugnata – che l’amministrazione avesse sottoposto al giudice, nei motivi di appello formulati avverso la sentenza di prime cure, l’esame di un siffatto “fatto storico” decisivo per il giudizio.

3. Nulla sulle spese in difetto di attività difensiva dell’intimata. Essendo la ricorrente una amministrazione dello Stato esonerata dal versamento del contributo unificato, va escluso per la predetta l’obbligo di versare l’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso principale, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (Cass. 29/01/2016, n. 17789).

P.Q.M.

Respinge il ricorso.

Così deciso in Roma, il 23 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2021

 

 

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