Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17304 del 24/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 24/08/2016, (ud. 07/06/2016, dep. 24/08/2016), n.17304

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TORRICE Amelia – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22105-2013 proposto da:

COMUNE PORTO TORRES C.F. (OMISSIS), in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 109, presso

lo studio dell’avvocato BIAGIO BERTOLONE, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato PIETRO CONDORELLI, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

nonchè contro

G.M., C.M.S.;

– intimati –

Nonchè da:

G.M. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

BALDO 21, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO SILVIO GANDINO,

rappresentato e difeso dagli avvocati ENRICO MARIA MASTINU e MARCO

ENRICO, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

COMUNE PORTO TORRES C.F. (OMISSIS), in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 109, presso

lo studio dell’avvocato BIAGIO BERTOLONE, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato PIETRO CONDORELLI, giusta delega in

atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

nonchè contro

C.M.S.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 187/2013 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 10/07/2013, R.G. N. 62/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/06/2016 dal Consigliere Dott. TORRICE AMELIA;

udito l’Avvocato BIAGIO BERTOLONE;

udito l’Avvocato ENRICO MARIA MASTINU;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO RITA, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

principale e per il rigetto del ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il 20 luglio 2010 l’ing. C.M.S. aveva richiesto al Comune di Porto Torres l’annullamento in autotutela del provvedimento di approvazione della graduatoria di merito definitiva, relativa al concorso per titoli ed esami per la copertura di un posto di dirigente tecnico ambientale e del provvedimento di immissione in servizio a tempo pieno ed indeterminato del signor G.M..

2. Il C. aveva allegato all’istanza gli atti relativi ai rapporti intercorsi tra il G. e USL di Sassari.

3. Con atti del 5 agosto 2010 e del 2 settembre 2010, l’Ufficio per i procedimenti disciplinari del Comune di Porto Torres, aveva contestato al signor G.M. di avere, nella fase di presentazione della domanda di ammissione al concorso per la copertura di un posto di Dirigente Tecnico Ambientale, prodotto “falsità dichiarative, commesse ai fini della instaurazione del rapporto di lavoro”. All’esito del procedimento disciplinare, con provvedimento del 29.9.2010, l’UPD aveva comminato la sanzione del licenziamento senza preavviso.

4. La Corte d’Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, in riforma della sentenza di primo grado, ha annullato il licenziamento ed ha condannato il Comune alla reintegrazione del G. nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento alla reintegrazione; ha dichiarato l’inammissibilità dell’intervento in causa di C.M.S..

5. Il “decisum”, per quanto oggi rileva, è fondato sulle argomentazioni motivazionali che seguono.

6. I termini previsti per la contestazione e per la conclusione del procedimento disciplinare erano stati rispettati, perchè il Comune aveva avuto conoscenza dell’infrazione solo il 27.7.2010.

7. Erano irrilevanti sia l’accertamento della idoneità o meno dei titoli in possesso del G. per partecipare al concorso nel quale era risultato vittorioso, sia la decisione del Tribunale Amministrativo, che aveva annullato la graduatoria per la ritenuta inidoneità dei titoli, perchè l’Amministrazione datrice di lavoro aveva scelto non di risolvere il rapporto per insussistenza dei presupposti, ma di recedere per ragioni disciplinari.

8. La condotta contestata “avere falsamente dichiarato o attestato”, doveva essere provata dal Comune datore di lavoro non solo con riguardo al fatto oggettivo della falsità ma anche con riferimento alla volontarietà ed alla consapevolezza della condotta anche attraverso indizi concordanti e quest’onere probatorio non era stato assolto; di contro, la generica previsione del bando di concorso relativa all’avvenuto espletamento di incarichi direttivi, il tenore dei contratti stipulati con la ASL e l’inquadramento risultante dalle buste paga, in una all’esito del procedimento penale, escludevano l’elemento della volontarietà della condotta addebitata e provavano che, piuttosto, questa fu improntata a leggerezza.

9. Il C., non avendo alcun titolo a partecipare al processo, doveva esserne estromesso.

10. Avverso la sentenza ricorre il Comune di Porto Torres formulando quattro motivi, illustrati da successiva memoria.

11. Il G. resiste con controricorso e propone ricorso incidentale articolato su tre motivi.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I motivi del ricorso principale

12. Con il primo motivo il Comune censura la sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 3 e n. 5, lamentando violazione o falsa applicazione degli artt. 2119 e 2697 c.c., art. 115 c.p.c., e omessa, illogica ed insufficiente motivazione in relazione alla valutazione del vincolo fiduciario ed a fatti controversi e decisivi per il giudizio.

13. Assume che la Corte territoriale avrebbe errato nell’escludere che le false dichiarazioni rese dal G., nell’ambito della procedura concorsuale, fossero idonee a ledere irreparabilmente il vincolo fiduciario. Deduce che dagli atti della ASL (OMISSIS) di Sassari era emerso che i contratti stipulati con il G. non avevano ad oggetto il conferimento di incarichi dirigenziali, requisito questo indispensabile per la partecipazione al concorso bandito da esso Comune; che il bando di concorso, conforme alla disposizione contenuta nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 28, comma 2, non era generico nella parte in cui aveva previsto, come requisito per la partecipazione, l'”avere ricoperto incarichi dirigenziali o equiparati in amministrazioni pubbliche per un periodo non inferiore a cinque anni…”; che il grado di istruzione del G., comportante conoscenza della normativa in materia di incarichi dirigenziali pubblici, connotava di gravità la condotta addebitata; che il medesimo era consapevole delle conseguenze derivanti dalla presentazione della domanda di partecipazione al concorso, dall’allegato “curriculum vitae” e dalla dichiarazione di notorietà.

14. Sostiene che la Corte territoriale avrebbe errato nell’affermare che solo il “consapevole mendacio” è condotta di gravità tale da non consentire la prosecuzione, neppure provvisoria del rapporto di lavoro, e che la condotta del G. era stata improntata solo a leggerezza, atteso che il D.P.R. n. 3 del 1957, art. 127, comma 1, lett. d) e il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quater, comma 1, lett. d), prevedono la decadenza dall’impiego, ovvero il licenziamento, nei casi in cui questo sia conseguito dalla produzione di documenti falsi; che la Corte non avrebbe considerato che il Tar della Sardegna, con la n. 425 del 2013 aveva accertato che tra il G. e la ASL (OMISSIS) di Sassari era intercorso solo un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, senza vincolo di subordinazione ed aveva annullato il provvedimento di approvazione della graduatoria del concorso.

15. Con il secondo motivo il Comune denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5, violazione e falsa applicazione degli art. 115 e 116 c.p.c., e insufficiente e contraddittoria motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio, per avere la Corte territoriale, non confrontandosi con le argomentazioni motivazionali contenute nella sentenza di primo grado, posto a carico di esso Comune l’onere di provare l’elemento soggettivo, sulla scorta di argomentazioni tanto generiche da impedire la verifica della correttezza giuridica della statuizione.

16. Con il terzo motivo il Comune denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 3, n. 5, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quater, ed omessa, illogica e contraddittoria motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio.

17. Assume che la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare che il G., aveva falsamente dichiarato di avere ricoperto un incarico dirigenziale presso la ASL (OMISSIS) di Sassari dal 1.4.2000 al 6.8.2007, al momento della sottoscrizione del contratto di lavoro con esso Comune, confermando quanto dichiarato nella domanda di partecipazione al concorso, nell’allegato “curriculum vitae” e nella dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà.

18. Assume che il mancato riferimento da parte della Corte territoriale al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quater, comma 1, lett. d), avrebbe viziato la decisione, deducendo il carattere integrativo di detta disposizione rispetto all’art. 2119 c.c..

19. Con il quarto motivo il Comune, denuncia, ai sensi dell’art. dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 n. 5, violazione o falsa applicazione dell’art. 97 Cost., del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35, della L. n. 300 del 1970, art. 18, ed omessa, illogica e contraddittoria motivazione con riferimento all’eccezione di sopravvenuta carenza di interesse ad agire del G. all’esito della sentenza n. 425 del 2013 del Tar Sardegna, che aveva annullato gli atti della procedura concorsuale e della graduatoria del concorso, violazione ed erronea applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18.

20. Sostiene che la Corte territoriale, annullando il licenziamento e disponendo la reintegrazione del G. nel posto di lavoro, avrebbe travalicato i limiti della giurisdizione ordinaria avendo pronunciato anche sugli atti presupposti del procedimento concorsuale, sui quali era fondato il contratto di lavoro stipulato con il G..

21. Con il quinto motivo il Comune denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.. Assume che all’accoglimento del ricorso conseguirebbe la condanna del G. al pagamento delle spese di tutti i gradi del giudizio.

22. Il ricorso incidentale.

23. Con il primo motivo il G. denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis e dell’art. 116 c.p.c., e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.

24. Lamenta che la Corte territoriale ha ritenuto, senza plausibile ragione, che il Comune abbia avuto notizia dell’infrazione di esso lavoratore solo in data 27.7.2010 e che da questa data decorrevano i termini dei diversi adempimenti del procedimento disciplinare.

25. Deduce che la notizia della condotta, contestata in sede disciplinare, era stata conosciuta il 26.2.2010 allorchè il controinteressato C. aveva notificato al Comune il ricorso proposto al Tar, nel quale il medesimo aveva asserito che, dall’effettuato accesso agli atti, era emerso che il Comune, prima di approvare la graduatoria del concorso, non aveva compiuto la verifica, prevista dall’art. 3, comma 2 del bando di concorso, in ordine all’esistenza dei requisiti autocerificati da esso G.; che il parere di regolarità della delibera, con la quale il Comune aveva deciso di resistere al ricorso proposto dal C., era stato formulato dal dirigente del Comune, Dott. Ca., che rivestiva la carica di responsabile dell’Ufficio dei procedimenti disciplinari.

26. Con il secondo motivo il G. denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis, commi 2 e 4, per avere la Corte territoriale ritenuto che il termine per la conclusione del procedimento disciplinare previsto dall’art. 55 bis, comma 4 del richiamato decreto legislativo, decorreva dalla data in cui l’Ufficio per i procedimenti disciplinari era stato informato della avvenuta infrazione e non dal momento in cui il Comune aveva avuto conoscenza della medesima, cioè dal 26.2.2010.

27. Deduce che il procedimento diretto al licenziamento disciplinare era stato iniziato solo il 5.8.2010 e che si era concluso oltre il termine di 120 gg. previsti a pena di decadenza dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis.

28. Con il terzo motivo il G. denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5, violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., lamentando che la Corte territoriale avrebbe dichiarato la compensazione delle spese del giudizio, pur in assenza di ragioni e omettendo di motivare sulle ragioni della adottata statuizione.

29. Esame dei motivi.

30. L’esame del primo e del secondo motivo del ricorso incidentale riveste carattere di pregiudizialità, rispetto ai motivi dedotti con l’appello principale.

31. Essi, da trattarsi congiuntamente, in quanto correlati alla dedotta violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis, sono infondati.

32. E’ infondato il motivo con il quale si addebitano alla corte vizi motivazionali (primo motivo) atteso che la individuazione della data di conoscenza della condotta addebitata al G. è rimessa alla valutazione del giudice di merito e non può essere sindacata dal giudice di legittimità se non nei casi di implausibilità o motivazione apparente o contraddittoria (Cass. SSUU 8053/2014).

33. Nel caso in esame la Corte territoriale ha spiegato che non era emerso alcun elemento probatorio che consentisse di ritenere che il Comune e l’UPD avessero avuto conoscenza della condotta oggetto di contestazione prima del 27 luglio 2010, sulla scorta di un accertamento in fatto sorretto da esaustiva e lineare motivazione. La Corte territoriale ha, infatti, escluso che la sola notifica del ricorso del TAR proposto dal C. e la successiva memoria difensiva avessero comportato la conoscenza in capo all’UPD della condotta poi contestata al G..

34. Sono infondate le censure correlate alla dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 55 bis (secondo motivo).

35. Recita il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis, comma 4: “Ciascuna amministrazione, secondo il proprio ordinamento, individua l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari ai sensi del comma 1, secondo periodo. Il predetto ufficio contesta l’addebito al dipendente, lo convoca per il contraddittorio a sua difesa, istruisce e conclude il procedimento secondo quanto previsto nel comma 2, ma, se la sanzione da applicare è più grave di quelle di cui al comma 1, primo periodo, con applicazione di termini pari al doppio di quelli ivi stabiliti e salva l’eventuale sospensione ai sensi dell’art. 55 – ter. Il termine per la contestazione dell’addebito decorre dalla data di ricezione degli atti trasmessi ai sensi del comma 3 ovvero dalla data nella quale l’ufficio ha altrimenti acquisito notizia dell’infrazione, mentre la decorrenza del termine per la conclusione del procedimento resta comunque fissata alla data di prima acquisizione della notizia dell’infrazione, anche se avvenuta da parte del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora. La violazione dei termini di cui al presente comma comporta, per l’amministrazione, la decadenza dall’azione disciplinare ovvero, per il dipendente, dall’esercizio del diritto di difesa”.

36. Questa Corte nelle decisioni n. 24157 e n. 20733 del 2015 ha affermato che l’art. 55 – bis, comma 4, là dove fa riferimento alla “data nella quale l’Ufficio ha altrimenti acquisito notizia dell’infrazione, si riferisce non a qualsiasi ufficio dell’amministrazione ma soltanto all’ufficio per i procedimenti disciplinari e/o del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora.

37. E’ stato osservato che il dato letterale richiama soltanto l’U.P.D. e il responsabile della struttura in cui il dipendente lavora ed è stato anche rilevato che la scansione del procedimento stesso, e la decadenza dall’azione disciplinare, prevista come sanzione per il mancato rispetto del termine entro il quale l’iter deve concludersi, richiede necessariamente un’individuazione certa ed oggettiva del “dies a quo”. Individuazione impossibile, ove si ritenesse di agganciarlo ad una qualsiasi notizia pervenuta a qualunque ufficio o persona dell’amministrazione, magari anche privi di veste formale e di protocollazione. La contraria opinione, inoltre, collide con la “ratio” della fissazione d’un termine finale entro cui concludere il procedimento, che è quella di far sì che il dipendente non vi resti assoggettato per un tempo indefinito. Ciò significa che, se esigenze di certezza sono a base della tutela del dipendente, le medesime esigenze vanno rispettate, per irrinunciabile simmetria, anche avuto riguardo alla posizione dell’Amministrazione, il che non può avvenire se non individuando in modo certo ed oggettivamente verificabile il “dies a quo” da cui far decorrere il termine in discorso. Nè va trascurato che il valore costituzionale di regole che assicurino il buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) risulterebbe vulnerato da un’interpretazione che lasciasse nel vago il “dies a quo” del procedimento, rimettendolo, in ipotesi, anche a notizie informali o comunque pervenute ad uffici periferici di amministrazioni di grandi dimensioni.

38. Al richiamato indirizzo il Collegio ritiene di dare continuità, aggiungendo l’ulteriore considerazione che la conoscenza della notizia dei fatti disciplinarmente rilevanti, per essere correlata ad una serie di attività da realizzarsi dall’organo nella sua istituzionale consistenza, postula un’attività di ufficializzazione, anche attraverso un autonomo sistema di formale protocollazione, che è propria dell’Ufficio nel suo complesso, nella sua veste istituzionale, che prescinde dalle attività effettuate e/o ricevute dai singoli componenti dell’organo, sia esso individuale o collegiale.

39. Deve, pertanto, affermarsi il principio di diritto secondo cui “In tema di procedimento disciplinare nel rapporto di pubblico impiego contrattualizzato, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis comma 4, secondo e terzo periodo, la data di prima acquisizione della notizia dell’infrazione – dalla quale decorre il termine entro il quale deve concludersi, a pena di decadenza dall’azione disciplinare, il relativo procedimento – coincide con quella in cui la notizia è pervenuta all’ufficio per i procedimenti disciplinari o, se anteriore, con la data in cui la notizia medesima è pervenuta al responsabile della struttura in cui il dipendente lavora, restando irrilevante la conoscenza acquisita non dall’Ufficio in sè ma dai suoi componenti”.

40. Sulla scorta delle considerazione svolte va rigettato il secondo motivo del ricorso incidentale in quanto nel caso in esame il “dies a quo” del termine finale (120 gg.) del procedimento decorreva dal 273.2010, data in cui risulta, ormai, accertato che l’UPD venne a conoscenza dei fatti; rispetto alla data del 27.7.2010 la conclusione dell’iter disciplinare, avutasi con il licenziamento del 29.9.2010, è tempestiva, sicchè non si ravvisa quella violazione del termine finale denunciata dal G. nel motivo in esame.

41. Sul ricorso principale.

42. Il primo, il secondo ed il terzo motivo del ricorso principale, da scrutinarsi congiuntamente, perchè attengono alla valutazione della gravità della condotta addebitata al G., sono fondati.

43. Come più volte affermato da questa Corte (ex plurimis Cass. 10842/2016, 1315/2016, 24796/2010, 26329/2008) ed anche dalla Corte Costituzionale (cfr. C. Cost. 971/1988, 239/1996, 286/1999), deve escludersi la configurabilità in astratto di qualsivoglia automatismo nell’irrogazione di sanzioni disciplinari, specie laddove queste consistano nella massima sanzione, permanendo (Ndr: testo originale non comprensibile) sindacato giurisdizionale sulla proporzionalità della sanzione rispetto al fatto addebitato.

44. La proporzionalità della sanzione disciplinare rispetto ai fatti commessi è, infatti, regola valida per tutto il diritto punitivo (sanzioni penali, amministrative L. n. 689 del 1981, ex art. 11 etc.), e risulta trasfusa per l’illecito disciplinare nell’art. 2106 c.c., con conseguente possibilità per il giudice di annullamento della sanzione “eccessiva”, proprio per il divieto di automatismi sanzionatori, non essendo in definitiva possibile introdurre, con legge o con contratto, sanzioni disciplinari automaticamente conseguenziali ad illeciti disciplinari.

45. I principi sopra richiamati sono stati affermati anche con riguardo all’art. 55 quater da questa Corte che nella decisione n. 1351/2016 ha rilevato che l’art. 2106 c.c., risulta oggetto di implicito richiamo da parte dell’art. 55 quater, comma 2 e che ed alla giusta causa ed al giustificato motivo fa riferimento il comma della medesima disposizione.

46. Va anche considerato che, in tema di giusta causa di licenziamento, questa Corte ha affermato che l’art 2119 c.c., configura una norma elastica, in quanto costituisce una disposizione di contenuto precettivo ampio e polivalente destinato ad essere progressivamente precisato, nell’estrinsecarsi della funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, fino alla formazione del diritto vivente mediante puntualizzazioni, di carattere generale ed astratto. A tale processo non partecipa tuttavia la soluzione del caso singolo, se non nella misura in cui da essa sia possibile estrarre una puntualizzazione della norma mediante una massima di giurisprudenza.

47. Ne consegue che l’operazione valutativa compiuta dal giudice di merito nell’applicare clausole generali come quella dell’art. 2119 c.c., non sfugge ad una verifica in sede di giudizio di legittimità (Cass. 1351/2016, 12069/2015, 6501/13, 18247/2009), poichè l’operatività in concreto di norme di tale tipo deve rispettare criteri e principi desumibili dall’ordinamento.

La relativa valutazione deve essere operata con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla utilità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, al nocumento eventualmente arrecato, alla portata soggettiva dei fatti stessi, ossia alle circostanze del loro verificarsi, ai motivi e all’intensità dell’elemento intenzionale o di quello colposo.

48. Pertanto, va valutato il comportamento del lavoratore non solo nel suo contenuto oggettivo – ossia con riguardo alla natura e alla qualità del rapporto, al vincolo che esso comporta e al grado di affidamento che sia richiesto dalle mansioni espletate – ma anche nella sua portata soggettiva e, quindi, con riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui è stato posto in essere, ai modi, ai suoi effetti e all’intensità dell’elemento psicologico dell’agente (Cass. 1977/2016, 1351/2016, 12059/201525608/2014 del 2014).

49. Tanto precisato, deve ritenersi che nei casi, quale quello in esame, in cui è contestata la condotta prevista dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quater, comma 1, lett. d), il datore di lavoro, su cui a norma della L. n. 604 del 1966, art. 5, grava l’onere della prova della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento, può limitarsi, nel caso in cui la giusta causa sia costituita dalla falsità documentali o dichiarative, commesse ai fini o in occasione dell’instaurazione del rapporto di lavoro, ovvero di progressioni di carriera, e, in particolare, dalle false attestazioni circa il possesso dei requisiti di ammissione al concorso e poi di assunzione, a provare nella sua valenza di inadempimento sanzionabile sul piano disciplinare, la falsità delle attestazioni e delle dichiarazioni nella loro oggettività. Grava, invece, sul lavoratore l’onere di provare gli elementi che possono giustificare l’assenza di dolo o di colpa.

50. Deve ritenersi, infatti, che soltanto l’autore del falso è in grado di provare, per giustificare la sua condotta, che le false dichiarazioni ovvero la produzione di documenti falsi, non sono a lui imputabili ma frutto di un incolpevole errore circa il contenuto e la veridicità delle sue dichiarazioni e/o dei documenti prodotti.

51. Nel caso in esame, la Corte territoriale nel porre a carico del Comune la prova della sussistenza dell’elemento soggettivo, sub specie di consapevole mendacio da parte del G. in ordine alle dichiarazioni rese al momento della domanda di partecipazione al concorso e al momento della sottoscrizione del rapporto di lavoro, ha in pratica addebitato al Comune l’onere di provare fatti e circostanze che soltanto l’autore delle dichiarazioni era in grado di provare per giustificare la sua condotta e per ricostruirla come frutto di un equivoco ovvero di un incolpevole errore circa il contenuto e la veridicità delle dichiarazioni stesse.

52. Sulla scorta delle considerazioni svolte, vanno accolti il primo, il secondo ed il terzo motivo del ricorso principale, assorbiti il quarto ed il quinto del ricorso principale ed il terzo motivo del ricorso incidentale.

53. La sentenza impugnata va cassata e la causa, in relazione ai motivi accolti, va rinviata alla corte di appello di Cagliari che dovrà fare applicazione del seguente principio di diritto “Nei casi in cui è contestata la condotta prevista dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quater, comma 1, lett. d), il datore di lavoro, su cui a norma della L. n. 604 del 1966, art. 5, grava l’onere della prova della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento, può limitarsi a provare, nel caso in cui la giusta causa sia costituita da falsità dichiarative, commesse ai fini o in occasione dell’instaurazione del rapporto di lavoro, ovvero di progressioni di carriera, e, in particolare, da false attestazioni circa il possesso dei requisiti di ammissione al concorso e poi di assunzione, nella loro valenza di inadempimento sanzionabile sul piano disciplinare, la falsità delle attestazioni e delle dichiarazioni nella loro oggettività. Grava, invece, sul lavoratore l’onere di provare gli elementi che possono giustificare la falsa attestazione, e la sua dipendenza da causa a lui non imputabile, essendo soltanto l’autore delle false dichiarazioni, in grado di provare che la sua condotta è stata il frutto di un incolpevole errore circa il contenuto e la veridicità delle sue dichiarazioni”.

PQM

Rigetta il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale, assorbito il terzo.

Accoglie il primo, il secondo ed il terzo motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di Appello di Cagliari, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 7 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 24 agosto 2016

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