Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17303 del 19/08/2020

Cassazione civile sez. II, 19/08/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 19/08/2020), n.17303

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7600/2017 proposto da:

M.D., elettivamente domiciliato in Roma Via Degli

Scipioni 268/a presso lo studio dell’avvocato Frattarelli Piero che

lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

G.A., R.A., R.C.,

R.R.G., elettivamente domiciliati in Roma Via L. Caro 62 presso

lo studio dell’avvocato Ciccotti Simone che li rappresenta e

difende;

contro

Ministero dell’Economia e Finanze, Agenzia Del Demanio;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1245/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 24/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/12/2019 dal Consigliere Dr. COSENTINO ANTONELLO.

 

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Il sig. M.D. ha proposto ricorso, sulla scorta di tre motivi, per la cassazione della sentenza con cui la Corte d’appello di Roma, riformando la sentenza del Tribunale di Latina, ha rigettato la sua domanda di usucapione speciale per la piccola proprietà rurale ex art. 1159-bis c.c. o, in subordine, di usucapione ventennale ex art. 1158 c.c. del terreno sito in (OMISSIS), già in proprietà del defunto prof. R.R.. La Corte capitolina, in parziale accoglimento del gravame proposto dagli eredi di quest’ultimo – sigg. G.A., R.A., R.C. e R.G.R. – ha ritenuto che il sig. M. non avesse fornito sufficiente prova del proprio dedotto possesso uti dominus.

I sigg. G.A., R.A., R.C. e R.G.R. hanno presentato controricorso. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia del Demanio non hanno spiegato difese in questa sede.

Con memoria congiunta depositata il 24.7.19 il ricorrente M.D. e i contro ricorrenti A., C. e R.G.R. (in proprio e quali eredi della madre G.A., del cui intervenuto decesso davano atto) chiedevano che fosse “accolto il ricorso principale, con cassazione della sentenza di appello senza rinvio, in modo che faccia stato l’usucapione come statuito nella sentenza di primo grado, con compensazione integrale delle spese legali”.

La causa è stata chiamata all’adunanza di camera di consiglio del 17 dicembre 2019, per la quale non sono state depositate memorie.

Il Collegio preliminarmente osserva che l’istanza congiunta presentata dalle parti nella memoria depositata il 24.7.19 contiene una espressa richiesta di cassazione della sentenza impugnata “in modo che faccia stato l’usucapione come statuito nella sentenza di primo grado”; ciò impone di escludere sia che tale istanza possa qualificarsi come rinuncia al ricorso, alla quale conseguirebbe il passaggio in giudicato della sentenza impugnata; sia che tale istanza possa qualificarsi come domanda congiunta di declaratoria di cessazione della materia del contendere, la quale travolgerebbe anche la sentenza di primo grado (cfr. Cass. 3075/97, Cass. 5476/99), i cui effetti, invece, le parti dichiarano espressamente di voler conservare. In sostanza, nell’istanza congiunta del 24.7.19 le parti non dichiarano che la lite è cessata per avere esse regolato contrattualmente il rapporto costituente oggetto del giudizio (cfr., a contrario, SSUU 8980/18) ma dichiarano che gli intimati hanno riconosciuto le ragioni del ricorrente e, conseguentemente, la fondatezza della sentenza di primo grado; tale dichiarazione, tuttavia, non esonera la Corte di cassazione dal dovere di decidere sul ricorso proposto avverso la sentenza di secondo grado, nè ovviamente, può condizionare il contenuto della decisione.

Tanto premesso, vanno partitamente esaminati i motivi di ricorso.

Con il primo motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 4, il ricorrente deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 331 e 112 c.p.c.. Nel motivo si deduce quanto segue:

– l’atto di appello di G.A. e A., C. e R.G.R. non era stato notificato al litisconsorte necessario R.S., comproprietario dell’immobile, rimasto contumace in primo grado;

– disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti di R.S., emerse che costui era nel frattempo deceduto;

– gli appellanti non hanno, tuttavia, provveduto a notificare tempestivamente l’atto di integrazione nei confronti degli eredi di R.S..

Sulla scorta di tale premessa il ricorrente censura l’impugnata sentenza per non aver dichiarato inammissibile l’appello per omessa ottemperanza all’ordine di integrazione del contraddittorio.

Con il secondo motivo di ricorso, riferito al n. 4 dell’art. 360 c.p.c., il ricorrente deduce la violazione degli artt. 115 e 166 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, in cui la Corte d’appello sarebbe incorsa valutando erroneamente le prove orali e testimoniali.

Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 111 Cost. in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4 e, insieme, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, ossia l’impianto di un uliveto almeno dalla seconda metà del 1995, circostanza idonea, secondo il ricorrente, a dimostrare l’ultraventennalità del possesso, non interrotto da alcuna avversa domanda di rilascio, alla data in cui la causa venne trattenuta in decisione dalla Corte di appello.

Il primo motivo va giudicato fondato con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 331 c.p.c. (non con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c. in quanto il vizio di omessa pronuncia non è configurabile sulle questioni processuali, vedi, tra le tante, Cass. 25154/18).

I principi di diritto da applicare ai fini della pronuncia sul mezzo di gravame sono i seguenti:

a) “In tema di litisconsorzio necessario, qualora il giudice d’appello si limiti ad ordinare l’integrazione del contraddittorio senza, peraltro, indicare il termine perentorio entro il quale la relativa notificazione debba avvenire, detto termine può legittimamente individuarsi alla luce di una interpretazione della norma costituzionalmente orientata ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 2, e del principio della ragionevole durata del processo – in quello indicato dall’art. 163 bis c.p.c., da rilevare in base alla data dell’udienza di rinvio, sempre che detto termine non sia inferiore ad un mese o superiore a sei mesi rispetto alla data del provvedimento di integrazione, giusta il disposto dell’art. 307, comma 3, ultimo inciso” (Cass. 26570/08 e, da ultimo, Cass. 4965/20);

b) “In caso di morte di una parte nel corso del giudizio, i suoi successori a titolo universale sono tutti litisconsorti necessari quando abbiano acquistato la qualità di eredi per accettazione espressa o tacita non essendo sufficiente la semplice chiamata all’eredità” (Cass. 27274/98, conf. Cass. 27274/08);

c) “Nel caso in cui, in sede di notificazione dell’atto di integrazione del contraddittorio nei confronti del contumace, la parte venga a conoscenza della sua morte o della sua perdita della capacità, il termine assegnatole dal giudice ai sensi dell’art. 331 c.p.c. è automaticamente interrotto e, in applicazione analogica dell’art. 328 c.p.c., comincia a decorrere un nuovo termine, di durata pari a quella iniziale, indipendentemente dal momento in cui l’evento interruttivo si è verificato. E’, tuttavia, onere della parte notificante riattivare con immediatezza il processo notificatorio, senza necessità di apposita istanza al giudice “ad quem”. Solo nel caso in cui, per ragioni eccezionali, di cui la stessa parte deve fornire la prova, tale termine risulti insufficiente ad individuare le persone legittimate a proseguire il giudizio, è consentito chiedere al giudice la rimessione in termini ai sensi dell’art. 153 c.p.c., comma 2″ (SS.UU 14266/19).

Tanto premesso in diritto, il Collegio rileva – dal diretto esame degli atti di causa, consentito in ragione della natura processuale del vizio denunciato – che la Corte territoriale, con ordinanza del 28.3.14, assegnò termine ex art. 331 c.p.c., per integrare il contraddittorio nei confronti del litisconsorte necessario R.S., nel rispetto dei termini per comparire all’udienza che contestualmente fissava alla data del 15.7.14.

Dall’applicazione del principio di diritto di cui sub a) discende che il termine giudizialmente assegnato per l’integrazione del contraddittorio spirava il 15.5.14, ultimo giorno anteriore all’inizio della decorrenza dei 60 giorni liberi precedenti la data dell’udienza, fissata al 15.7.14; giova sottolineare che, poichè in presente giudizio è stato instaurato nel 1998, il termine per comparire applicabile nella specie era quello di giorni 60 fissato nell’art. 163 bis c.p.c. (richiamato dall’art. 342 c.p.c., u.c.) nel testo anteriore alla riforma recata dalla L. n. 262 del 2005.

In definitiva il termine concretamente assegnato per l’integrazione del contraddittorio era dunque di giorni 48, ossia i giorni intercorrenti tra la data di assegnazione e la data di esaurimento del termine.

Dall’applicazione del principio di diritto di cui sub b) discende che l’atto di integrazione del contraddittorio andava notificato agli eredi di R.S. (non ai chiamati alla sua eredità) e, pertanto – secondo quanto gli stessi contro ricorrenti riferiscono a pag. 10, p. A.17, del controricorso – allo Stato.

Dall’applicazione del principio di diritto di cui sub c) discende che la notifica dell’atto di integrazione del contraddittorio allo Stato andava eseguita entro il suddetto termine di giorni 48 decorrente dalla data in cui gli appellanti avessero avuto notizia del decesso di R.S.; tale data (non menzionata nè nella sentenza, nè nel ricorso nè nel controricorso) non può che essere anteriore alla data di spedizione della notifica dell’atto di integrazione del contraddittorio alle figlie di R.S., C. e G., perchè la circostanza del decesso di costui risulta menzionata in tale atto; poichè l’atto di integrazione del contraddittorio nei confronti di C. e G. R. è datato 8.4.14, il termine di giorni 48 per integrare il contraddittorio nei confronti dello Stato deve ritenersi spirato il 26.5.14.

Poichè gli appellanti, appreso della morte di R.S., non hanno chiesto alla Corte di appello di essere rimessi in termini per identificare i chiamati all’erdità di costui, verificare la relativa accettazione e adottare le iniziative conseguenti agli esiti di tale verifica – la Corte territoriale ha errato, all’udienza del 15.7.14, a concedere un secondo termine per l’integrazione del contraddittorio, invece che rilevare l’inammissibilità dell’appello ex art. 331 c.p.c..

Il primo mezzo di ricorso va pertanto accolto.

Gli altri due mezzi restano assorbiti dall’accoglimento del primo e dalla conseguente cassazione senza rinvio della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 382 c.p.c. (sull’applicabilità di tale ultima disposizione nell’ipotesi in cui la Corte di cassazione rilevi, in accoglimento di un mezzo di ricorso o anche di ufficio, l’inammissibilità dell’appello non rilevata in secondo grado, cfr., tra le tante, Cass. 17026/04).

Le spese del giudizio di cassazione e del giudizio di appello si compensano, in considerazione della richiesta in tal senso formulata dalle parti nella menzionata memoria congiunta del 24.7.19; non è invece possibile pronunciarsi in questa sede sulle spese del primo grado, come pure richiesto in detta istanza, perchè le stesse sono state regolate dal Tribunale di Latina con sentenza che passa in giudicato per effetto della cassazione senza rinvio della sentenza di appello.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri e cassa senza rinvio la sentenza impugnata.

Compensa le spese del giudizio di cassazione e del giudizio di appello.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 agosto 2020

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