Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17302 del 19/08/2020

Cassazione civile sez. II, 19/08/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 19/08/2020), n.17302

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25832/2016 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliato in Roma Via Montopoli 4

presso lo studio dell’avvocato Rafi Korn, studio Korn &

Partners, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati

Layne Thomas e Turco Francesco;

– ricorrente –

contro

Guidonia Centro Srl, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma Via Caio Mario 8 presso

lo studio dell’avvocato Pallotta Leonardo che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4832/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 28/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/12/2019 da Dr. COSENTINO ANTONELLO.

 

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Il prof. C.M. ha proposto ricorso, sulla scorta di quattro motivi, per la cassazione della sentenza con cui la Corte d’appello di Roma, confermando la decisione del tribunale di Tivoli, ha rigettato la sua domanda di accertamento del suo diritto di proprietà (o del suo dominio diretto) su taluni fondi siti in (OMISSIS) e, per accessione ex art. 936 c.c., sui fabbricati ivi realizzati dalla convenuta società Guidonia Centro s.r.l..

La Corte capitolina ha ritenuto che il prof. C. non avesse fornito la prova di essere proprietario dei fondi rivendicati (nè titolare di un dominio diretto sui medesimi), giudicando che – a fronte delle difese della società Guidonia Centro, che non solo aveva contestato la sue domande ma aveva, a propria volta, fornito elementi documentali attestanti il proprio titolo di proprietà sui terreni oggetto di edificazione, ricostruendo la catena dei passaggi nel tempo – l’odierno ricorrente, lungi dal confutare l’avversa prospettazione, si fosse limitato a dedurre un titolo di provenienza (l’atto notar A. del 20.03.1947, con cui il suo defunto genitore aveva acquistato una pluralità di appezzamenti dalla principessa B.) avente contenuto ed oggetto indeterminato e dichiaratamente aleatorio e, pertanto, privo di concreta efficacia probatoria.

La società Guidonia Centro s.r.l. ha presentato controricorso, eccependo preliminarmente l’improcedibilità e l’inammissibilità del ricorso e contestando le ragioni dell’impugnazione avversaria.

La causa è stata chiamata all’adunanza di camera di consiglio del 17 dicembre 2019, per la quale solo la società controricorrente ha depositato una memoria.

Vanno in primo luogo disattese le eccezioni preliminari della società contro ricorrente.

Quanto all’eccezione di improcedibilità, è sufficiente rilevare che la relata di notifica della sentenza impugnata è in atti.

Quanto all’eccezione di tardività, è sufficiente rilevare che il ricorso è stato spedito per notifica all’avv. Leonardo Pallotta presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, via Tembien n. 15, il 31.10.16, ultimo giorno utile (decorrendo il termine breve dell’1.9.16). Tale notifica era nulla, perchè fin dal 2012 l’avv. Pallotta aveva trasferito altrove il proprio studio. Essa, tuttavia, non era inesistente, perchè presso l’indirizzo di via Tembien l’atto venne ritirato, nè rileva che il medesimo sia stato successivamente restituito al mittente. Trova quindi applicazione il principio che il luogo in cui la notificazione del ricorso per cassazione viene eseguita non attiene agli elementi costitutivi essenziali dell’atto, sicchè i vizi relativi alla sua individuazione, anche quando esso si riveli privo di alcun collegamento col destinatario, ricadono sempre nell’ambito della nullità dell’atto, come tale sanabile, con efficacia ex tunc, o per raggiungimento dello scopo, a seguito della costituzione della parte intimata (anche se compiuta al solo fine di eccepire la nullità), o in conseguenza della rinnovazione della notificazione, effettuata spontaneamente dalla parte stessa oppure su ordine del giudice ex art. 291 c.p.c. (SSUU n. 14916/16). Poichè l’intimato ha depositato controricorso, la nullità della notifica del ricorso tempestivamente spedita il 31.10.16 risulta sanata per raggiungimento dello scopo.

Con il primo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e artt. 115 e 116 c.p.c. in cui la Corte d’appello sarebbe incorsa pervenendo al convincimento che il prof. C. non avesse provato di essere titolare della proprietà, o del dominio diretto, dei fondi de quibus, senza tuttavia, porre a base della decisione le prove e i documenti dal medesimo presentati ed errando nella valutazione delle prove. Il ricorrente deduce di aver sempre contestato nei propri scritti difensivi la legittimità ed efficacia probatoria dei titoli presentati da controparte, non solo facendo leva sulle visure catastali e sull’atto trascritto e registrato del notaio A., ma anche sugli atti provenienti del sig. Ce.Lu., dante causa di parte convenuta; cosicchè, sempre secondo il ricorrente, l’onere di dimostrare l’avvenuta affrancazione (o l’acquisto del dominio diretto da parte degli eredi di Ce.Lu. contro il sig. C.) graverebbe sulla società Guidonia Centro.

Il motivo va disatteso, perchè denuncia un vizio di violazione di legge ma non indica quale regola di diritto sarebbe stata applicata dalla corte territoriale in contrasto con l’art. 2697 c.c. e artt. 115 e 116 c.p.c. Tale motivo, in sostanza, attinge l’apprezzamento delle risultanze istruttorie del giudice di merito, obliando l’orientamento consolidato di questa Suprema Corte alla cui stregua, nel giudizio di cassazione, non è dato alla parte di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una sua diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito: le censure poste a fondamento del ricorso non possono pertanto risolversi nella sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito, o investire la ricostruzione della fattispecie concreta, o riflettere un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme da quello dato dal giudice di merito (cfr. Cass. n. 7972/07). Del resto, come pure la giurisprudenza non ha mancato di precisare (Cass. 23940/17), in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012.

Con il secondo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., nn. 5 e 3, si denuncia l’omessa motivazione su un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, nonchè la violazione dell’art. 2697 c.c. e artt. 115 e 116 c.p.c.. Il ricorrente lamenta che la Corte d’appello abbia omesso di considerare la circostanza (il cui esame, si argomenta nel mezzo di gravame, avrebbe condotto ad un diverso esito decisorio) che la stessa Guidonia Centro s.r.l., nell’allegato A della copia della denuncia di cambiamento n. 654382 presentata al Comune di Guidonia Montecelio in data 8.08.2006, aveva richiesto il frazionamento delle particelle per cui è causa, indicando tra gli intestatari catastali la sig.ra B. quale proprietaria e concedente e la Guidonia Centro s.r.l. quale semplice livellaria/enfiteuta. Tale atto, ad avviso del ricorrente, varrebbe quale confessione stragiudiziale con cui spontaneamente controparte, in un documento facente fede pubblica, aveva riconosciuto il dominio diretto della sig.ra B., dante causa dell’odierno ricorrente.

Il motivo non ha pregio. Richiamate, quanto alla denuncia di violazione dell’art. 2697 c.c. e artt. 115 e 116 c.p.c., le argomentazioni svolte con riguardo al primo motivo di ricorso, la denuncia del vizio di omesso esame va disattesa per difetto del requisito della decisività contemplato nell’art. 360 c.p.c., n. 5. La dichiarazione contenuta nell’allegato A della copia della denuncia di cambiamento n. (OMISSIS) presentata al Comune di Guidonia Montecelio in data 8.08.2006 non è, infatti, decisiva, non essendo tale dichiarazione idonea a fornire la prova del titolo dedotto in giudizio dal prof. C. a fondamento del diritto reale di cui si pretende titolare (cfr. Cass. 4431/17: “Quando, per l’esistenza di un determinato contratto, la legge richieda, a pena di nullità, la forma scritta nella specie, contratto costitutivo di enfiteusi – alla mancata produzione in giudizio del relativo documento non può supplire il deposito di una scrittura contenente la confessione della controparte in ordine alla pregressa stipulazione del contratto de quo, nemmeno se da essa risulti che quella stipulazione fu fatta per iscritto”; si veda anche, in termini, Cass. 2206/75).

Con il terzo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1365,1367,1368,1346 e 1469 c.c.. Secondo il ricorrente la Corte d’appello avrebbe stravolto l’interpretazione dell’atto di compravendita notar A., alterando la volontà delle parti sì da ritenere che il contratto avesse un contenuto ed un oggetto aleatori e indeterminati. Al contrario, si argomenta nel mezzo di impugnazione, l’aleatorietà e l’indeterminatezza erano una mera conseguenza del fatto che le parti avevano concluso una vendita in blocco di un gran numero di terreni di proprietà della sig.ra B., con l’inevitabile rischio che si verificassero errori di aggiornamento qualora taluno di essi fosse già venduto o affrancato.

Anche questo motivo non può trovare accoglimento. Esso si risolve in una critica di merito all’interpretazione del contratto notar A. operata dalla Corte territoriale e fondata sulla clausola con cui la venditrice, principessa B., dopo aver dichiarato di non offrire la garanzia per l’evizione “stante l’aleatorietà del contratto”, dichiarava che “anche se indicati, non si intendono venduti i beni o i diritti che risultassero già venduti o affrancati”. Nella doglianza non precisa in alcun modo quali sarebbero i parametri legali di ermeneutica negoziale vietati violati dalla corte d’appello, cosicchè la sua formulazione risulta in contrasto con il principio che che, in tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (cfr. Cass. n. 2465/15).

Con il quarto motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1158 e 1159 c.c. in cui la Corte d’appello sarebbe incorsa rigettando la domanda di usucapione proposta dal prof. C. in linea di subordine. Il ricorrente argomenta che contrariamente a quanto ritenuto in sentenza, la parte ricorrente aveva evidenziato in giudizio “tutti gli elementi utili ai fini dell’intervenuta usucapione in particolare ex art. 1159 c.c.” (pag. 31, secondo capoverso, del ricorso).

Anche il quarto motivo va disatteso. Premesso che l’art. 1159 c.c. postula, ai fini dell’acquisto per usucapione decennale, che l’acquisto in buona fede in forza di un titolo idoneo e trascritto venga seguito dall’esercizio, da parte dell’acquirente, del possesso sul bene acquistato, il Collegio rileva che – a fronte dell’affermazione della Corte territoriale di non rinvenire l’allegazione, da parte del prof. C., di “circostanze idonee a comprovare un valido possesso” – nel mezzo di impugnazione non viene dedotto alcun fatto decisivo il cui esame, omesso dalla Corte di appello, avrebbe inequivocabilmente dimostrato detto possesso. Va qui peraltro richiamato l’orientamento di questa Corte (cfr. ord. n. 356/17) alla cui stregua, in tema di possesso ad usucapionem, non è censurabile in sede di legittimità – ove congruamente motivato ed immune da vizi giuridici l’apprezzamento del giudice del merito in ordine alla validità degli eventi dedotti dalla parte al fine di accertare se, nella concreta fattispecie, ricorrano, o meno, gli estremi del possesso idoneo ad usucapire.

Il ricorso va quindi, conclusivamente, rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

Deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rifondere alla società controricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 6.000, oltre Euro 200 per esborsi e altri accessori di legge.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 agosto 2020

 

 

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