Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17301 del 24/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 24/08/2016, (ud. 25/05/2016, dep. 24/08/2016), n.17301

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13383/2015 proposto da:

S.B.E. VARVIT S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del presidente e

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA VALSAVARANCHE, 46 SC. D INT. 5, presso lo studio

dell’avvocato CHIARA SANTI, rappresentata e difesa dagli avvocati

GIULIO MOSETTI, DANIELE COMPAGNONE, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

L.D., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA SALLUSTIO 9, presso lo studio dell’avvocato BARTOLO SPALLINA,

che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati ISABELLA

ALBERTINI, LUIGI ALBERTINI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 409/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 18/03/2015 R.G.N. 1010/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/05/2016 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI;

udito l’Avvocato CORRADI MARCO per delega Avvocato MOSETTI GIULIO;

udito l’Avvocato SPALLINA LORENZO per delega Avvocato ALBERTINI

LUIGI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 48, L.D. convenne innanzi al Tribunale di Reggio Emilia, in funzione di giudice del lavoro, la s.p.a. S.B.E. VARVIT perchè fosse accertata la nullità e/o illegittimità del licenziamento intimatogli il 24 gennaio 2013 per mancato superamento del periodo di prova e perchè, conseguentemente, la convenuta fosse condannata a reintegrarlo nel posto di lavoro e nelle mansioni svolte con le conseguenze di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18. In particolare evidenziava il ricorrente che le mansioni oggetto della prova e la durata della stessa non risultavano sufficientemente specificate; che il patto di prova era stato sottoscritto, per il datore di lavoro, da soggetto privo del potere di rappresentanza; che il patto di prova era privo di causa in quanto la convenuta aveva già sperimentato le capacità del ricorrente in un precedente rapporto di collaborazione; che il recesso per mancato superamento del periodo di prova era stato comunicato oltre il decorso del termine di tre mesi in quanto egli aveva lavorato svolgendo identiche mansioni alle dipendenze di altre aziende per almeno un biennio; che il recesso era stato determinato da ragioni estranee alla valutazione della prova.

Si costituiva la S.B.E. VARVIT contestando la fondatezza delle pretese azionate e chiedendo, in via subordinata, che in ipotesi di ritenuta illegittimità del recesso, il rapporto fosse dichiarato risolto con contenimento dell’indennità risarcitoria nel minimo previsto dalla L. n. 300 del 1970, art. 18, detratto in ogni caso l’aliunde perceptum.

Con ordinanza del 2.12.13 il Tribunale, ritenuta l’insussistenza nel caso di specie di un patto di prova fra le parti non risultando sottoscritto il contratto di lavoro fra le parti e non potendo farsi riferimento all’impegno all’assunzione sottoscritto dalle parti in data 26 luglio 2012, ritenuta – in ogni caso – la nullità del patto di prova di cui al menzionato atto 26.7.12 in ragione della genericità dello stesso in punto di mansioni oggetto della prova e durata del dello stesso, rilevato che in ragione del pregresso rapporto di collaborazione commerciale la S.B.E. VARVIT aveva già avuto modo di verificare le capacità lavorative del L. con conseguente mancanza di causa del patto di prova, rilevato che avendo il ricorrente espletato mansioni identiche alle dipendenze della s.p.a. Bentler Distribuzione Italia per un biennio prima dell’assunzione presso la reclamata, ritenuta pertanto l’illegittimità del licenziamento e l’applicabilità delle conseguenze di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, commi 1 e 2, condannava la società SBE VARVIT a reintegrare il L. nel posto di lavoro precedentemente occupato con inquadramento nel settimo livello di cui al c.c.n.l. industria metalmeccanica privata ed a risarcirgli il danno subito nella misura delle retribuzioni maturate dal licenziamento alla reintegra, oltre accessori di legge, nonchè a rifondergli le spese di lite.

Avverso detta ordinanza proponeva opposizione la società, eccependo la nullità della pronuncia per violazione dell’art. 101 c.p.c., comma 2, per non aver concesso alle parti un termine a difesa sulla questione dell’inesistenza del patto di prova sollevata d’ufficio e posta a fondamento della decisione; ribadiva la sussistenza di un valido patto di prova fra le parti; negava di aver potuto verificare le capacità professionali del L. nel periodo di precedente collaborazione; evidenziava come, ai fini della durata del patto di prova, non potesse farsi riferimento all’art. 2, sez. 4^ del citato c.c.n.l., non avendo il lavoratore presentato alcuna attestazione o documentazione da cui emergesse lo svolgimento delle medesime mansioni per un biennio alle dipendenze di altre aziende; lamentava l’omessa pronuncia sul motivo di impugnazione del licenziamento sollevato dal L. in relazione all’estraneità del motivo determinante il licenziamento alla valutazione del periodo di prova, ribadendo che il recesso datoriale era stato determinato dall’inadeguatezza della prestazione resa dal L..

Con istanza depositata in data 17 febbraio 2014 la società chiedeva al Giudice designato alla trattazione dell’opposizione, persona fisica coincidente con quella che aveva trattato la fase sommaria, di astenersi dalla trattazione della controversia. L’istanza veniva respinta.

Con ricorso del 28.2.14 la società proponeva istanza di ricusazione. Il Tribunale di Reggio Emilia respingeva l’istanza. Si costituiva il L. resistendo all’opposizione avversaria. In ordine all’aliunde perceptum precisava di aver usufruito del trattamento di disoccupazione per 7 mesi e di aver trovato un’occupazione a tempo determinato dal 1.9.13 al 28.2.14, con un corrispettivo di circa Euro 1.100,00 mensile.

Con sentenza n. 324/14 il Tribunale, richiamato il contenuto dell’ordinanza 2.12.13, rilevato che l’istanza di ricusazione promossa dalla società era stata respinta, disattesa l’eccezione di nullità della sentenza per violazione dell’art. 101 c.p.c., comma 2, in ragione del carattere sommario del rito “Foriero”, ritenuto che il diritto di difesa del reclamante potesse efficacemente esplicarsi nella fase di reclamo, rilevato che l’accordo in data 26.7.12 non poteva essere considerato un contratto di lavoro costituendo solo una proposta finalizzata alla stipula di un futuro contratto; rilevato che il vero e proprio contratto di lavoro non risultava sottoscritto dal L.; rilevato che il firmatario per conto la della società SBE VARVIT della proposta del 26.7.12 non aveva alcun potere di rappresentanza, ritenuta pertanto la non vincolatività del patto di prova di cui all’accordo del 26.7.12, respingeva l’opposizione e condannava l’opponente al pagamento delle spese.

Avverso tale sentenza proponeva reclamo la società che, in via preliminare, eccepiva la nullità della sentenza per essere stata pronunciata dal medesimo giudice persona fisica che aveva deciso la fase sommaria; ancora in via preliminare eccepiva la contraddittorietà e comunque l’insufficienza della motivazione della sentenza in relazione all’eccepita nullità dell’ordinanza sotto il profilo della lesione del diritto di difesa; nel merito censurava il provvedimento impugnato contestando la valutazione di inesistenza del patto di prova da parte del Giudice dell’opposizione e la mancata assunzione della prova testimoniale richiesta dalla reclamante; ribadiva la specificità del patto di prova stipulato fra le parti sia in ordine alla durata che in ordine al contenuto delle mansioni; contestava la valutazione di mancanza di causa del patto di prova evidenziando di non aver potuto valutare la capacità professionale del L. nella precedente collaborazione; ribadiva la inapplicabilità del disposto di cui all’art. 2 sez. 4^ del c.c.n.l.; ribadiva l’inesistenza di un motivo estraneo al mancato superamento del periodo di prova quale motivazione del licenziamento impugnato sottolineando come la prestazione del L. fosse stata inadeguata ed insufficiente rispetto allo standard dell’inquadramento riconosciutogli; lamentava l’omessa valutazione da parte del Giudice dell’opposizione dell’eccezione di aliunde perceptum o percipiendum.

Si costituiva il L. resistendo al gravame.

Con sentenza depositata il 18 marzo 2015, la Corte d’appello di Bologna respingeva il reclamo.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società SBE Varvit, affidato a cinque motivi.

Resiste il L. con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo la ricorrente denuncia una omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia e conseguente violazione ed errata applicazione delle norme di diritto sulla nullità della sentenza e del procedimento ai sensi degli artt. 158 e 161 c.p.c., unitamente alla violazione dell’art. 51 c.p.c., comma 4, in quanto la sentenza impugnata venne emessa dallo stesso giudice che aveva giudicato la fase a cognizione sommaria.

Il motivo è infondato. Questa Corte ha già osservato (Cass. 17.2.15 n. 3136) che la fase dell’opposizione, ai sensi della L. 28 giugno 2012, n. 92, art. 1, comma 51, non costituisce un grado diverso rispetto a quella che ha preceduto l’ordinanza, ma solo una prosecuzione del medesimo giudizio in forma ordinaria, sicchè non è configurabile alcuna violazione riconducibile all’art. 51 c.p.c., n. 4, nel caso in cui lo stesso giudice-persona fisica abbia conosciuto della causa in entrambi le fasi.

2.- Con il secondo motivo la ricorrente denuncia una omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia e conseguente violazione ed errata applicazione delle norme di diritto in relazione all’eccepita nullità dell’ordinanza 2.2.13 per violazione dell’art. 101 c.p.c., comma 2.

Lamenta la nullità della fase a cognizione sommaria sotto il profilo della violazione dell’art. 101 c.p.c., comma 2, per aver posto il giudice, e poi la Corte d’appello adita, a fondamento della propria decisione, l’asserita inesistenza di un valido patto di prova, circostanza questa mai dedotta da parte del lavoratore, senza consentire alle parti di pronunciarsi su tale circostanza, cosi come invece previsto dalla norma codicistica, in violazione quindi del diritto di difesa e del principio del contraddittorio.

Rammenta che, sul punto, il giudice di primo grado, e poi anche la Corte d’appello, nel respingere l’eccezione di nullità, motivarono che la sommarietà e l’interesse ad una celere decisione proprie del rito “Foriero” non consentirebbero la fissazione di ulteriori termini a difesa e che pertanto il diritto invocato dalla società reclamante possa e debba esplicarsi nella fase a cognizione piena.

Lamenta che la sentenza impugnata non tenne conto che la concessione dei termini a difesa di cui all’art. 101 c.p.c., comma 2, risulta una di quelle “formalità essenziali al contradditoriò che a norma della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 49, non può essere omessa dal giudice della fase a cognizione sommaria, a nulla rilevando che le facoltà difensive di cui alla norma citata possano esplicarsi nella fase di opposizione.

Il motivo è infondato.

Questa Corte ha già osservato che nel rito di cui della L. n. 92 del 2012, art. 1, commi 48 e segg., la fase di opposizione non ha natura impugnatoria ma si pone in rapporto di prosecuzione, nel medesimo grado di giudizio, con la fase sommaria, tanto che solo il ricorso che la introduce deve contenere gli elementi indicati dall’art. 414 c.p.c., ossia quelli idonei a delimitare il tema della decisione nel giudizio di cognizione ordinaria, conseguendone che (anche) l’eccezione di decadenza dall’impugnativa del licenziamento può essere proposta per la prima volta nella fase di opposizione, costituente semplice prosecuzione della fase sommaria (Cass. 11.12.15 n. 25046, Cass. 17.2.15 n. 3136), senza il verificarsi di alcuna violazione del contraddittorio.

3.- Con il terzo motivo la società ricorrente denuncia una omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia e conseguente violazione ed errata applicazione delle norme di diritto in relazione alla presunta inesistenza del patto di prova e mancata assunzione della richiesta prova testimoniale sul punto; contesta comunque la ritenuta illegittimità del patto di prova e del licenziamento ad esso connesso.

4.- Con il quarto motivo la società lamenta una mancanza di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla domanda di risarcimento del danno per il fraudolento impiego dei rimborsi carburante avanzata nel ricorso L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 51.

5.- Il terzo ed il quarto motivo, che possono esaminarsi congiuntamente stante la loro connessione, sono inammissibili.

Deve infatti considerarsi che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione (che può concernere soltanto una questione di fatto e mai di diritto) posta dal giudice a fondamento della decisione (id est: del processo di sussunzione), sicchè quest’ultimo, nell’ambito del sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto, presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata (ipotesi non ricorrente nella fattispecie); al contrario, il sindacato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (oggetto della recente riformulazione interpretata quale riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione: Cass. sez.un. 7 aprile 2014, n. 8053), coinvolge un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti (ipotesi ricorrente nel caso in esame). Ne consegue che mentre la sussunzione del fatto incontroverso nell’ipotesi normativa è soggetta al controllo di legittimità, l’accertamento del fatto controverso e la sua valutazione (proporzionalità della sanzione: Cass. n. 8293 del 25/05/2012, Cass. n. 144 del 08/01/2008, Cass. n. 21965 del 19/10/2007, Cass. n. 24349 del 15/11/2006, e gravità dell’inadempimento: Cass. n. 1788 del 26/01/2011, Cass. n. 7948 del 07/04/2011) si sostanzia in un vizio motivo, pur qualificata la censura come violazione di norme di diritto, limitato al generale controllo motivazionale (quanto alle sentenze impugnate depositate prima dell’11.9.12) e successivamente all’omesso esame di un fatto storico decisivo, in base al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Deve allora rimarcarsi che “..Il nuovo testo del n. 5) dell’art. 360 c.p.c., introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Cass. sez. un. 22 settembre 2014 n. 19881).

Il ricorso non rispetta il dettato di cui al novellato n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1, limitandosi in sostanza a richiedere un mero ed inammissibile riesame delle circostanze di causa, ampiamente valutate dalla Corte di merito.

6.- Con quinto motivo la società si duole della violazione e/o mancata applicazione da parte del giudice di prime cure della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 2, nella parte in cui dispone che il giudice che accerta l’illegittimità del licenziamento, condanna il datore di lavoro a corrispondere un’indennità risarcitoria dedotto (recte: detratto) l’aliunde perceptum e percipiendum.

Lamenta che la sentenza impugnata, così come il Tribunale, sia nell’ordinanza 2.2.13 che nella sentenza reclamata (tutte recanti la condanna al pagamento delle retribuzioni dal giorno del licenziamento sino a quello della reintegra), ometteva ogni riferimento all’aliunde perceptum (che peraltro era stato comunque prudenzialmente eccepito sin dalla memoria difensiva della fase sommaria).

Il motivo è fondato. Risulta che l’eccezione di aliunde perceptum venne sollevata tempestivamente dalla società, circostanza neppure contestata dall’attuale controricorrente; risulta ancora che dell’aliunde perceptum la corte di merito non si occupò affatto. La censura è pertanto fondata avendo il L. stesso dichiarato di aver percepito altre somme in conseguenza della cessazione del rapporto, come peraltro ammesso dallo stesso lavoratore nell’attuale controricorso.

La sentenza impugnata deve pertanto sul punto cassarsi.

7.- In conclusione debbono rigettarsi il primo ed il secondo motivo di ricorso e dichiararsi inammissibili i motivi da 3 a 4, mentre deve essere accolto il quinto motivo, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio ad altro giudice, in dispositivo indicato, per l’ulteriore esame della controversia in ordine alla censura accolta, oltre che per la regolamentazione delle spese, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte rigetta il primo ed il secondo motivo del ricorso e dichiara inammissibili i motivi da 3 a 4; accoglie il quinto motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Bologna in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 24 agosto 2016

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