Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17301 del 19/08/2020

Cassazione civile sez. II, 19/08/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 19/08/2020), n.17301

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – rel. Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4021/2017 proposto da:

M.A., rappresentata e difesa dagli avvocati Giovanni Battista

Luciano, Alessandro Unali;

– ricorrente –

contro

T.A., rappresentato e difeso dall’avvocato Francesco

Carboni;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 445/2016 della CORTE D’APPELLO di SASSARI,

depositata il 16/09/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/12/2019 da Consigliere Dr. COSENTINO ANTONELLO.

 

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

La sig.ra M.A. ha proposto ricorso, sulla scorta di tre motivi, per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Cagliari – Sezione distaccata di Sassari, che, confermando la sentenza del Tribunale della stessa città, ha rigettato la sua azione confessoria avente ad oggetto una servitù di passaggio a vantaggio del proprio fondo, asseritamente sorta per destinazione del padre di famiglia sul fondo del sig. T.A..

La Corte d’appello ha argomentato che l’esistenza di una recinzione intorno alla casa della ricorrente e di una pista carrabile costeggiante un lato del fabbricato non costituivano segni visibili di opere permanenti obiettivamente idonee a dimostrare in modo non equivoco l’esistenza di un peso gravante sul fondo servente a vantaggio di quello dominante, come richiesto dall’art. 1061 c.c. ai fini dell’acquisto di una servitù per destinazione del padre di famiglia.

Il sig. T.A. ha presentato controricorso.

La causa è stata chiamata all’adunanza di camera di consiglio del 17 dicembre 2019, per la quale la ricorrente ha depositato una memoria.

Va preliminarmente disattesa l’eccezione del controricorrente di inammissibilità del ricorso per difetto di specificità della procura; il requisito della specificità risulta infatti soddisfatto dalla apposizione della procura a margine del ricorso (Cass. 25725/14; “E’ validamente rilasciata la procura apposta a margine del ricorso per cassazione, ancorchè il mandato difensivo sia privo di data e conferito con espressioni generiche, poichè l’incorporazione dei due atti in un medesimo contesto documentale implica necessariamente il puntuale riferimento dell’uno all’altro, come richiesto dall’art. 365 c.p.c. ai fini del soddisfacimento del requisito della specialità”).

Va disattesa anche l’eccezione di tardività del ricorso, per essere stato esso notificato a mezzo posta il 31.1.17, dopo la data (30.1.17) in cui il termine era spirato; per il principio della dissociazione dei termini tra notificante e notificato deve infatti aversi riguardo alla data di spedizione del ricorso a mezzo posta, che risulta effettuata il 30.1.17.

Con il primo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, la sig.ra M. deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1061 e 1062 c.c. in cui la Corte territoriale sarebbe incorsa negando la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia nonostante che i due fondi risultassero dalla divisione di un fondo originariamente unico, l’intero predio fosse da tempo completamente recintato, l’accesso al medesimo fosse possibile solo dai due varchi lasciati nel muro di cinta, chiusi dai cancelli contraddistinti con i civici 12 e 14, e, infine, sul medesimo esistessero diversi fabbricati.

Il motivo va disatteso. Premesso che l’accertamento dell’apparenza della servitù, al fine di stabilire se questa possa essere acquistata per usucapione o per destinazione del padre di famiglia, è una quaestio facti rimessa alla valutazione del giudice del merito e, come tale, è incensurabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (cfr. Cass. n. 1043/01), il Collegio rileva che il mezzo di impugnazione in esame, pur denunciando un vizio di violazione di legge, in sostanza critica l’apprezzamento svolto dalla Corte territoriale in ordine all’idoneità delle opere visibili presenti al momento della separazione dei fondi a manifestare l’esistenza di una servitù.

Con il primo motivo, quindi, si censura non un giudizio di diritto ma un giudizio di fatto, sindacabile in sede di legittimità solo con il mezzo (e nei limiti) di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.

L’argomentazione sviluppata nel mezzo di impugnazione, infatti, si fonda su presupposti fattuali diversi da quelli accertati dalla Corte di merito, come fatto palese dal rilievo che la circostanza che il fondo fosse “da decenni interamente recintato (muro di cinta in cantoni e tufo realizzato da S.R.)” (pagina 13, lett. “b” del ricorso) non emerge dall’impugnata sentenza, la quale, al contrario, fa riferimento a “l’assenza di precisi di univoche indicazioni risultanze istruttorie circa l’epoca di realizzazione del muro di recinzione” (pag. 4, secondo capoverso, della sentenza).

Con il secondo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., in quanto la corte d’appello aveva istruito la causa esclusivamente in base a produzioni documentali, non ammettendo nessuna delle prove orali richieste, e, stante la natura della controversia, tale diniego rendeva la decisione arbitraria.

Con il terzo motivo di ricorso, riferito anch’esso all’art. 360 c.p.c., n. 3, la sig.ra M. deduce la violazione dell’art. 183 c.p.c., conseguente anch’essa alla mancata ammissione delle prove orali dedotte. Nel mezzo di impugnazione si argomenta che tale disposizione, se affida al giudice il compito di decidere sull’ammissibilità e rilevanza delle prove, tuttavia “lo obbliga, ove le stesse siano tese ad accertare una situazione di puro fatto, ad ammetterle non potendo basare il proprio decidere su ciò che immagina, ma solo su ciò che apprende dall’istruttoria” (pag. 24 del ricorso).

Il secondo e il terzo motivo possono essere trattati congiuntamente, in quanto entrambi censurano la mancata ammissione delle prove orali chieste dall’odierna ricorrente. I motivi vanno rigettati perchè, in sostanza, anch’essi, al pari del primo, attingono l’accertamento di fatto operato dalla Corte territoriale sulla inidoneità delle opere visibili presenti al momento della separazione dei fondi a manifestare l’esistenza di una servitù senza, tuttavia, utilizzare l’unico strumento con cui tale accertamento può essere censurato in cassazione, vale a dire il mezzo di cui al numero 5 dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

In particolare, per quanto riguarda la censura relativa alla violazione dell’art. 115 c.p.c. (secondo motivo) è sufficiente rilevare che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, in tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (così Cass. 1229/19).

Per quanto poi riguarda la censura relativa alla violazione dell’art. 183 c.p.c. (secondo motivo), è sufficiente rilevare che le prove orali richieste dall’odierna ricorrente non sono state ammesse in base ad un giudizio di irrilevanza (pag. 4, terzo capoverso, della sentenza), censurabile in questa sede solo mediante la deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame di un fatto decisivo di cui la prova non ammessa avrebbe fornito la dimostrazione (cfr. Cass. 8357/05: “la mancata ammissione di un mezzo istruttorio si traduce in un vizio della sentenza, sotto il profilo dell’omesso o insufficiente esame della relativa istanza, tutte le volte in cui il mezzo stesso sia diretto a dimostrare punti decisivi della controversia”). La dedotta violazione dell’art. 183 c.p.c. è dunque insistente.

Il ricorso va quindi rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

Deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 1.100, oltre Euro 200 per esborsi e oltre accessori di legge.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 agosto 2020

 

 

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