Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1730 del 27/01/2021

Cassazione civile sez. VI, 27/01/2021, (ud. 17/09/2020, dep. 27/01/2021), n.1730

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3212-2019 proposto da:

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

GIUSEPPE FARRUGGIA;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI ARAGONA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1324/2018 del TRIBUNALE di AGRIGENTO,

depositata il 30/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. POSITANO

GABRIELE.

 

Fatto

RILEVATO

che:

C.A. evocava in giudizio davanti al Giudice di pace di Agrigento il Comune di Aragona, esponendo di essere titolare di un contratto di fornitura con il predetto ente per la somministrazione di acqua e lamentando che l’ente erogatore avrebbe applicato un regime tariffario a forfait che prescindeva dal volume di consumo idrico annuo reale. Assumeva, inoltre, che per l’anno 2014, la somministrazione di acqua non era avvenuta e che le fatture contenevano una quota relativo al servizio di disinquinamento e depurazione che non sarebbe stato fornito. Chiedeva pertanto l’annullamento delle bollette così determinate, con riferimento agli anni dal 2005 al 2014. Si costituiva il Comune deducendo l’infondatezza della pretesa;

il Giudice di pace con sentenza del 18 luglio 2016 accertava la illegittimità del regime forfettario applicato e l’illegittimità del canone di depurazione, annullando le fatture e condannando il Comune alla restituzione delle somme versate da C.;

avverso tale decisione proponeva ello il Comune di Aragona, deducendo la legittimità del regime tariffario applicato e la genericità delle contestazioni relative alla inefficienza del canone depurazione;

il Tribunale di Agrigento, con sentenza del 30 ottobre 2018, accoglieva l’appello proposto dal Comune e rigettava la domanda di C.A. proposta in primo grado, compensando le spese di lite;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione C.A., affidandosi a nove motivi. L’ente pubblico non svolge attività processuale in questa sede.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivoi deduce la violazione dell’art. 1559 c.c. e della L. n. 36 del 1994, art. 13 e della L. n. 448 del 1998, art. 31, comma 280. La pronunzia avrebbe violato i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 1921 del 2018) secondo cui, trattandosi di servizio di fornitura d’acqua fondato su un contratto privato, si applicherebbero solo le norme privatistiche che prescindono dalla natura pubblica dell’ente somministratore, per cui non possono trovare applicazione i criteri di determinazione del regime tariffario a forfait o ad importo fisso, che prescindono dal consumo effettivo del singolo utente;

con il secondo motivo si lamenta la violazione degli artt. 113 c.p.c. e 1339 c.c. Come affermato dalla giurisprudenza di legittimità il rapporto tra ente erogante e utente trova la disciplina nel contratto stipulato e non in un atto normativo unilaterale, ancorchè secondario, qual è il regolamento. Pertanto, la decisione fondata sul tenore letterale del regolamento sarebbe errata;

con il terzo motivo si lamenta la violazione degli artt. 3, 27, 33, 36, 37 e 38 del regolamento comunale. L’argomentazione del Tribunale secondo cui l’utente avrebbe tacitamente accettato la precedente tariffazione forfettaria non troverebbe riscontro nel testo del regolamento, il quale richiede, comunque, di effettuare un conguaglio annuale sui consumi reali. Inoltre, l’art. 33 del regolamento costituisce una norma programmatica, ma non individua i parametri concreti per determinare l’importo dovuto per i consumi. L’interpretazione adottata dal Tribunale sarebbe stata sconfessata dall’orientamento più recente della giurisprudenza di legittimità;

con il quarto motivo si lamenta la violazione degli artt. 113 e 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c.. Le decisioni di legittimità richiamate dal Tribunale si riferivano al contratto di somministrazione idrica del Comune di Scafati che, contrariamente a quello in oggetto, prevedeva espressamente nel regolamento comunale l’obbligo dell’utente di pagare i consumi calcolati sulla base di una specifica delibera dell’organo consiliare. Sotto altro profilo il Tribunale avrebbe violato il principio dell’onere della prova nella parte in cui ha ritenuto non dimostrata la mancata fruizione dell’acqua sulla base delle risultanze della prova testimoniale;

con il quinto motivo si lamenta la violazione degli artt. 2729 e 2721 c.c. avendo ritenuto sussistenti i presupposti di gravità, precisione e concordanza sulla circostanza del pagamento delle pregresse bollette, senza considerare tutti gli elementi indiziari, concordanti e gravi da considerare complessivamente, per fondare una prova presuntiva;

con il sesto motivo di lamenta la violazione della L. n. 241 del 1990, art. 11 e dell’art. 97 Cost. per avere il Tribunale fondato la tesi dell’affidamento ingenerato dall’utente sulla base di un comportamento riferito ad un contratto che richiede, a pena di nullità, la forma scritta. Il Tribunale avrebbe dovuto decidere sulla prova scritta che il fruitore del servizio aveva accettato esplicitamente la clausola del pagamento forfettario;

con il settimo motivo si lamenta la violazione dell’art. 2033 c.c. L’azione proposta dall’utente è quella di ripetizione di indebito, per cui la presunta accettazione del sistema forfettario del pagamento delle fatture non potrebbe trasformare ciò che è indebito, cioè contrattualmente non dovuto, in obbligazione contrattuale;

con l’ottavo motivo si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 33 e dell’art. 1341 c.c.. Il Tribunale avrebbe dovuto dichiarare nulla la clausola che consente la determinazione forfettaria del canone, per violazione delle norme indicate in premessa;

con il nono motivo si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo e la violazione dell’art. 2697 c.c. e art. 132 c.p.c. L’utente avrebbe dimostrato che il depuratore durante il periodo in contestazione non sarebbe stato funzionante, ma la documentazione esibita non sarebbe stata presa in esame dal Tribunale. Inoltre, avendo contestato il funzionamento del depuratore, l’onere di dimostrare la efficienza dello stesso ricadeva sul Comune;

i primi otto motivi possono essere trattati congiuntamente perchè strettamente connessi e sono fondati, dovendosi dare continuità all’orientamento di questa Corte che, con ordinanza n. 8391/2017, ha confermato la sentenza del Tribunale di Agrigento che, esaminando una controversia identica, ha affermato i principi posti a sostegno della decisione del Giudice di pace e(i erroneamente disattesi dal Tribunale. Sulla questione riguardante il servizio di fornitura idrica nella quale parte ricorrente è il Comune di Aragona sono intervenute numerose ordinanze di questa Corte: la n. 12037/2017 e la n. 12870/2017 e i nell’anno 2018; la n. 16269, 18448, 24776, 25794) che si pongono sulla stessa scia dell’ordinanza n. 8391/2017. Sono fondati i motivi di censura relativi all’inserzione automatica delle norme del Regolamento comunale;

in tema di somministrazione di acqua potabile da parte del Comune, l’addebito all’utente, non già in base al consumo effettivo, ma secondo il criterio del “minimo garantito”, non può basarsi su di una previsione programmatica contenuta nel Regolamento comunale con cui venga ammessa l’eterodeterminazione delle tariffe di utenza da parte dell’ente comunale, ma, richiede una specifica delibera comunale che ne fissi i parametri dell'”an” e del “quantum”, imprescindibili al fine di consentirne l’inserimento automatico ex art. 1339 c.c. nel contratto di fornitura (Cass. 17 marzo 2015, n. 5209 e Cass. 31 marzo 2017, n. 839, relativa proprio ad una controversia in cui era parte l’odierno Comune intimato). Il pagamento richiesto dal Comune non corrisponde al c.d. “minimo garantitoti/ ma è calcolato a forfait, in maniera uguale per tutte le utenze e prescinde, quindi, dal consumo della singola utenza. In questa determinazione forfettaria del prezzo non si rinviene nessuna configurazione bipartita della tariffa idrica, tipica della somministrazione del “minimo garantito”, che presuppone una parte fissa (comprendente i costi per la produzione e per la erogazione del servizio) e una parte variabile (commisurata alla effettiva quantità di acqua consumata dall’utente);

il Comune di Aragona non ha operato una misurazione del consumo dei singoli utenti, ma ha applicato una liquidazione forfettaria di tali importi. La vincolatività per l’utente finale degli importi richiesti dal Comune non può discendere dal solo art. 36 del Regolamento idrico comunale. Tale norma subordina l’applicazione del regime tariffario del “consumo minimo” alla espressa pattuizione delle parti, mentre nessuna pattuizione sul punto risultava effettuata; infine, sono correttamente dedotte le censure relative al criterio presuntivo, poichè, nella sostanza, parte ricorrente evidenzia che il giudice di appello ha operato una doppia presunzione, peraltro fondata su un unico dato rilevante, privo delle caratteristiche di gravità, precisione e concordanza.

Infatti, al fine di affermare la base contrattuale della tariffa unilateralmente applicata dall’ente pubblico, il Tribunale utilizza un criterio presuntivo;

sulla base del dato pacifico in base al quale per gli anni precedenti al 2004 e 2005 l’utente avrebbe pagato regolarmente le richieste del Comune, attraverso una prima presunzione, desume che quelle tariffe in precedenza applicate siano state ritenute “congrue” dall’utente e poi con una seconda ed ulteriore presunzione, afferma che le somme relative alle precedenti fatture (ritenute per presunzione, congrue) “corrispondono ai consumi effettivi dell’utente”;

si tratta di una doppia presunzione non consentita, soprattutto ove riferita ad un contratto con un ente pubblico che richiede la forma scritta a pena di nullità e, quindi, la sottoscrizione di un accordo scritto relativo alla determinazione del corrispettivo. Non vale corroborare la prima tesi il fatto che il Tribunale aggiunge una seconda motivazione fondata sulla buona fede nell’esecuzione del contratto, per avere l’utente ingenerato nel Comune l’affidamento sulla circostanza di avere accettato questo sistema di pagamento sulla base di criteri sganciati dal consumo reale. Anche tale seconda argomentazione è stata censurata dal ricorrente;

il nono motivo e le censure oggetto dell’ultima parte del quarto motivo sono inammissibili. Le doglianze attingono un giudizio di fatto per cui sono inammissibili quelle relative all’esistenza dell’impianto di depurazione, oggetto dell’ultimo motivo, peraltro fondate su elementi probatori valutati dal giudice di appello, nella sede della valutazione di merito, in modo divergente rispetto a quanto esposto dal ricorrente. Nello stesso modo è infondata la terza censura contenuta nel quarto motivo con la quale si fa un generico riferimento alla questione relativa alla “prova della mancata fruizione”. Anche in questo caso, si censura in maniera non consentita in sede di legittimità la valutazione delle risultanze della prova testimoniale riguardo alla effettiva erogazione di acqua nel periodo in contestazione;

ne consegue che il ricorso per cassazione deve essere accolto per quanto di ragione limitatamente ai motivi da uno a otto; la sentenza va cassata con rinvio, atteso che, il Tribunale per quanto si è detto, ha errato nella individuazione del criterio per la determinazione del diverso corrispettivo, senza considerare che l’ipotesi di mancata rilevazione dei consumi non equivale a quella dell’esclusione di ogni ipotesi di consumo. Il giudice del rinvio provvederà ad enucleare un criterio da riferire al caso concreto e non con valutazione presuntiva generale ed astratta, evitando l’ipotesi di doppia presunzione erroneamente applicata nella sentenza in oggetto.

PQM

La Corte accoglie per quanto di ragione i motivi dal a 8 del ricorso; rigetta il nono motivo;

cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Tribunale di Agrigento in persona di diverso magistrato.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile-3 della Corte Suprema di Cassazione, il 17 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2021

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