Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1730 del 24/01/2018


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Civile Ord. Sez. 5 Num. 1730 Anno 2018
Presidente: GRECO ANTONIO
Relatore: FEDERICI FRANCESCO

ORDINANZA
sul ricorso 8248-2010 proposto da:
BPAT

DEL

DOTT.

FERNANDO

FERRARI

&

C.

SAS,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA POSTUMIA l,
presso lo studio dell’avvocato NICOLA GIANCASPRO, che
lo rappresenta e difende;
– ricorrente contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE CENTRALE in persona
del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

avverso

la , sentenza
;

COMM.TRIB.RÉG-YEZ7DIST.

controrícorrente

n.

di SASSARI,

40/2009

della

depositata il

Data pubblicazione: 24/01/2018

10/02/2009;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 24/11/2017 dal Consigliere Dott.

FRANCESCO FEDERICI.

Rilevato che:
La B.P.A.T. s.a.s. del dott. Fernando Ferrari & C, sulla base di otto motivi,
ha tempestivamente impugnato la sentenza n. 40/09/09, depositata dalla CTR
della Sardegna il 10.02.2009;
ha riferito che il contenzioso trovava origine nell’Avviso di recupero n.
RL7CR0400083/2006, notificato dall’Ufficio di Sassari alla ricorrente il

svantaggiate, ai sensi dell’art. 8 della L. n. 388 del 2000;
ricostruendo la vicenda, afferma di aver acquistato il 30.06.2001 dalla
società “I Giardini di Tandil s.r.l.”, per scrittura privata autenticata, un
appartamento da adibire ad ufficio in Olbia. L’atto era poi registrato il
21.12.2001, fruendo delle agevolazioni previste dall’art. 8 cit., che, secondo le
istruzioni ministeriali, riportava quale credito d’imposta a partire dall’Unico
2002. In data 17.01.2002 rivendeva lo stesso immobile alla medesima società
dante causa, con fatturazione e ricezione del corrispettivo. In data 22.10.2002
acquistava pro indiviso, unitamente ad altri soggetti, un altro immobile da
ristrutturare. Dopo la ristrutturazione, i cui costi erano stati largamente
superiori al prezzo d’acquisto del primo immobile, il nuovo cespite immobiliare
era utilizzato dal novembre 2007. Nelle more, con atto del 16.09.2004, la
società “I Giardini di Tandil” aveva rivenduto il primo immobile, che però
erroneamente l’odierna ricorrente provvedeva a contabilizzare tra gli
ammortamenti sino al 2004;
contestando la contribuente il recupero del credito d’imposta ed instaurato
il contenzioso, la Commissione Tributaria Provinciale di Sassari respingeva il
ricorso con sentenza n. 165/02/2007, confermata dalla adita Commissione
Tributaria Regionale della Sardegna con la pronuncia ora impugnata;

La ricorrente censura la sentenza del giudice tributario regionale:
con il primo motivo per violazione, falsa e erronea applicazione dell’art. 42
del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., per aver
ricondotto l’accertamento nell’alveo dell’atto previsto dall’art. 42 cit., e non,
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RA,Afed i L
I

27.12.2006, relativo al credito d’imposta per investimenti realizzati in aree

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come più correttamente, dell’art. 36 bis della medesima disciplina, così agendo
fuori dei termini previsti per l’esercizio del potere di controllo;
con il secondo motivo per violazione degli artt. 1, co. 321 e 424 della I. n.
311 del 2004; 17 del d.lgs. n. 241 del 1997; 17, co. 1, lett. a) del d.P.R. n.
602 del 1973; 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, co. 1,
n. 3, c.p.c., per essere stato notificato l’avviso ben oltre i termini previsti dalla

con il terzo motivo per violazione dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, in
relazione dell’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., perché l’atto di contestazione
sarebbe stato notificato in carenza di potere per la decorrenza dei suoi termini
di esercizio;
con il quarto motivo per violazione dell’art. 8, co. 7 della I. n. 388 del 2000,
in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., per l’erronea applicazione della
disciplina relativamente ai presupposti di decadenza dai benefici fiscali;
con il quinto motivo per violazione dell’art. 10 della I. n. 212 del 2000, in
relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., per aver tenuto l’Ufficio una condotta
violativa degli obblighi di buon andamento ed imparzialità della pubblica
amministrazione, così procurando alla società una lesione ingiusta per il
legittimo affidamento posto dalla contribuente sulla correttezza del proprio
operato;
con il sesto motivo per omessa motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., per la
mancata pronuncia, pur proposta in sede d’appello, sull’omessa motivazione
del giudice di primo grado in ordine alle questioni a lui sottoposte;
con il settimo motivo per violazione dell’art. 7, co. 11 della I. n. 289 del
2002, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., per aver erroneamente
negato l’applicabilità della disciplina sul condono;
con l’ottavo motivo per violazione dell’art. 360, co. 1, n. 4) e 5), c.p.c. per
aver deciso senza fare riferimento alle motivazioni addotte dall’Agenzia e senza
indicare la base normativa e il ragionamento logico-giuridico seguito;
chiedeva in conclusione la cassazione della sentenza.
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Fek Federici

legge per l’iscrizione a ruolo delle imposte dovute;

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Si costituiva l’Agenzia, che ribatteva ai motivi avversi di ricorso, del quale
ne chiedeva il rigetto.

Considerato che:
tenuto conto della data di deposito della sentenza impugnata, 10.02.2009,
il ricorso è sottoposto all’obbligo di formulazione dei quesiti di diritto, trovando

depositate dopo l’entrata in vigore dell’art 47 della I. n. 69 del 2009, ossia
dopo il 4 luglio 2009;
ciò premesso, è inammissibile il settimo motivo di ricorso, perché privo del
quesito;
quanto agli altri motivi, va chiarito che la funzione propria del quesito di
diritto, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, è di far
comprendere alla Corte di legittimità, dalla sola sua lettura, l’errore di diritto
asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la
prospettazione del ricorrente, la regola da applicare; si è anche specificato che
il motivo di ricorso incorre nella inammissibilità quando il quesito di diritto si
risolva in una enunciazione di carattere generale ed astratto, priva di
qualunque indicazione sul tipo di controversia e sulla sua riconducibilità alla
fattispecie in esame -essendo precluso colmare tale carenza col contenuto del
motivo-, o che si riveli una tautologia o un interrogativo circolare che già
presuppone la risposta, ovvero la cui risposta non consenta di risolvere il caso
sub iudice; nel quesito dunque deve evidenziarsi il punto di congiunzione tra
l’enunciazione del principio giuridico generale richiamato e la soluzione del caso
specifico, e ciò anche quando sia denunciato un error in procedendo in
riferimento alla violazione dell’art. 112 c.p.c.; al contempo non può risolversi in
una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge
denunziata nel motivo (Cass., Sez. U., sent. n. 21672/2013; Cass., Sez. L.,
sent. n. 8463/2009; Cass., Sez. 5, sent. n. 16690/2016; Cass., Sez. 5, sent.
n. 11646/2017);
ebbene il primo, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto motivo di ricorso
sono inammissibili;
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I

applicazione l’art. 366 bis c.p.c., ora abrogato, ma con effetto per le sentenze

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per il primo motivo è formulato il seguente quesito «Dica codesta
eccellentissima Corte se si configuri come atto impositivo illegittimo quello che
derivi da una pretesa dell’Ufficio di veicolare la propria pretesa tributaria
attraverso uno strumento atipico e non previsto dalla legge, quando ormai
sono decorsi i termini per l’esercizio dei propri poteri>>. Oltre che di
difficoltosa interpretazione, se slegata dalla lettura del contenuto del motivo, si

fattispecie in esame; ne discende l’inammissibilità del primo motivo di ricorso;
per il secondo motivo il quesito è così formulato: «Dica codesta Corte
eccellentissima se, relativamente agli anni d’imposta 2001 e 2002, l’Agenzia
delle Entrate, in ossequio al principio dell’autonomia del periodo d’imposta
stabilito dall’art. 7 del T.U.I.R., avrebbe potuto procedere al recupero entro il
termine decadenziale fissato dalla norma e segnatamente, entro “l’inizio del
periodo di presentazione delle dichiarazioni relative all’anno successivo”»;
trattasi di un quesito generico, neppure sufficiente a comprendere, sul piano
astratto, che con il motivo di ricorso voleva censurarsi la collocazione
dell’avviso nell’alveo dell’art. 42 e non dell’art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del
1973, così da determinarsi una notifica fuori del termine massimo per
l’iscrizione a ruolo delle imposte ritenute dovute; ciò involge l’inammissibilità
del secondo motivo di ricorso;
per il terzo motivo la formulazione del quesito è del seguente tenore:
s
«Dica codesta Eccellentissima Corteigli avvisi di natura ingiuntiva provenienti
dall’Amministrazione Finanziaria, che non risultino inquadrabili in un

nomen

tipizzato, siano da far rientrare nella categoria degli atti di accertamento
ordinari ed, ai sensi dell’art. 42 del D.P.R. n. 600 del 1973, soggiacenti
all’obbligo di recare la sottoscrizione del capo dell’Ufficio o di altro impiegato
della carriera direttiva da questi delegato»; è palese la totale assenza di ogni
riferimento al caso concreto, riducendosi il quesito alla sollecitazione di una
risposta che afferisca ad un principio generale, senza comprendere come, se e
in quali termini l’eventuale formulazione del principio possa investire la
specifica fattispecie oggetto di causa; ne discende l’inammissibilità anche di
questo motivo di ricorso;
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Feíierici
_

tratta di una enunciazione generica ed astratta, priva di un nesso con la

il quarto motivo è così redatto «Dica codesta Eccellentissima Corte se, ai
fini dell’agevolazione ex art. 8, I. n. 388/2000, non possa costituire rimpiazzo
l’acquisto di altro immobile non utilizzabile se non a seguito di ristrutturazione
nell’attività produttiva ma bensì, la sostituzione del bene dismesso con altro
bene immediatamente fruibile e del quale si abbia la titolarità esclusiva»; la
genericità, peraltro neppure correttamente rapportata al contenuto del comma

diritto alla ammissione al credito d’imposta, la totale assenza di ogni riferibilità
alla fattispecie concreta, certo non colmabile mediante l’integrazione del
quesito con il contenuto del motivo, segnano la sorte del motivo, da ritenersi
inammissibile;
in ordine al quinto motivo di ricorso il quesito è del seguente tenore
«Dica codesta Eccellentissima Corte se possa ingenerare un totale
affidamento nel contribuente ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 10 dello
Statuto del Contribuente, la circostanza a lume della quale all’epoca in cui era
stato effettuato un investimento non vi fossero restrizioni di forma da
osservare nella stipulazione dei contratti di acquisto ma fosse sufficiente che
l’investimento originario fosse stato rimpiazzato da uno della stessa specie»;
anche in questo caso il quesito è del tutto generico, menzionandosi un non
altrimenti identificabile investimento e un non identificabile rimpiazzo, nonchè
facendo altrettanto generico riferimento a forme indistinte di stipulazione del
contratto di acquisto, da cui risulta indecifrabile a quale istituto giuridico si sia
fatto ricorso per il perfezionamento della acquisizione del bene sostituito;
anche questo motivo di ricorso è pertanto inammissibile;
per l’ottavo motivo di ricorso, a parte la confusa sussunzione tanto
nell’error in procedendo quanto nel vizio di motivazione, senza neppure che si
comprenda sotto quali aspetti le censure afferiscano all’uno e all’altro profilo di
vizio della sentenza, il quesito è così formulato: «Dica codesta Ecc.ma Corte
se è nulla o comunque illegittima e pertanto annullabile, la sentenza di CTR che
al fine di attribuire legittimità all’operato dell’Ufficio in sede di accertamento,
individui profili di illegittimità dell’operato del contribuente diversi da quelli
indicati dall’accertatore e se sia nulla, o comunque illegittima e pertanto
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IL

7 dell’art. 8 cit., che regola le condizioni per la fruibilità e le decadenze dal

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annullabile, la sentenza di CTR che prospetta profili di illegittimità dell’operato
del contribuente non espressamente previsti dalla normativa»; in questo
quesito è evidente la totale assenza di ogni riferimento al caso specifico;
quanto alla censura sotto il profilo del vizio motivazionale, è del tutto assente il
momento di sintesi; anche di questo motivo pertanto ne va dichiarata
l’inammissibilità;

è così formulato: «Dica codesta Eccellentissima Corte se la mancata risposta
della Commissione Tributaria Regionale ad un quesito circa l’illegittimità totale
della sentenza del giudice di prime cure per mancanza di motivazione non
determini la nullità radicale anche della sentenza impugnata»; a parte i dubbi
sulla corretta collocazione della censura tra i vizi motivazionali e non invece tra
gli errores in procedendo, per essere censurata la completa omissione di una
risposta al denunciato silenzio del giudice di primo grado in ordine a numerosi
motivi di ricorso, era ratione temporis necessaria la formulazione del momento
di sintesi, ossia l’illustrazione -pur libera da rigidità formali- con esposizione
chiara e sintetica del fatto controverso, in relazione al quale la motivazione si
assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta
insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione (cfr.
Cass., Sez. L., sent. n. 4556 del 2009). Nel caso di specie la formulazione del
momento di sintesi è del tutto avulsa dalla questione concreta né illustra
sinteticamente le ragioni della insufficiente motivazione. Se invece il
riferimento al n. 5 dell’art. 360 cit. sia stato solo frutto di errore per voler
invece correttamente denunciare un

error in procedendo, il quesito resta

comunque generico, al pari degli altri illustrati, sicchè sarebbe comunque
inidoneo. In conclusione anche questo motivo di ricorso è inammissibile.

Considerato che
il ricorso va dichiarato inammissibile; quanto alle spese, le stesse seguono
la soccombenza e vanno poste pertanto a carico della ricorrente, nella misura
specificata in dispositivo,
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L-

i

t

per il sesto motivo, ricondotto nell’alveo del vizio di motivazione, il quesito

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P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna la ricorrente società al
pagamento in favore della Agenzia delle Entrate delle spese processuali, che si
liquidano nella misura di € 5.000,00, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Quinta civile
della Corte suprema di cassazione, il giorno 24 novembre 2017.

Antonio Greco

Il Presidente

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