Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17298 del 23/07/2010

Cassazione civile sez. II, 23/07/2010, (ud. 13/04/2010, dep. 23/07/2010), n.17298

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – rel. Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 15502/2008 proposto da:

A.S.U. titolare dell’omonima ditta,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PIETRO CARNABUCI 44, presso lo

studio dell’avvocato FIGA’ GIACOMO, che lo rappresenta e difende,

giusta procura speciale ad litem in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

D.A.M. in proprio e nella qualità di erede universale di

M.N.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1799/2007 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

15.2.07, depositata il 19/04/2007;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/04/2010 dal Consigliere Relatore Dott. PARZIALE Ippolisto;

E’ presente il P.G. in persona del Dott. APICE Umberto.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

1.- Parte ricorrente, A.S.U., impugna la sentenza n. 1799/2007 della CORTE D’APPELLO di ROMA del 15.2.07, depositata il 1.9/04/2007.

Nessuna attività in questa sede ha svolto l’intimata, D.A. M..

2. – Attivatasi procedura ex art. 375 c.p.c., il consigliere relatore delegato ha depositato relazione con la quale ritiene che il ricorso possa essere dichiarato inammissibile per mancanza o inidoneità dei quesiti di cui all’art. 366 bis c.p.c.. La relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti.

3. – Non sono state depositate memorie.

4. – All’udienza fissata per la camera di consiglio, il Procuratore Generale ha concluso, concordando con le conclusioni del consigliere relatore.

5. – Osta all’esame nel merito delle prospettate censure l’inammissibilità del ricorso.

Elementi idonei alla ricostruzione degli antecedenti in fatto della lite e dello svolgimento del processo nei due gradi della precedente fase del giudizio sono stati, infatti, inutilmente cercati nel ricorso introduttivo della presente fase con il quale – pur ponendo l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, un preciso onere al riguardo a carico del ricorrente, sanzionandone l’inottemperanza con l’inammissibilità dell’impugnazione, proprio al fine di mettere il giudice di legittimità in condizione d’apprezzare le doglianze prospettate con i motivi in relazione ai loro presupposti oggettivi in fatto ed in diritto – si è pretermessa l’esposizione dello svolgimento del processo e neppure si sono forniti, attraverso i motivi di censura, gli elementi ricostruttivi del giudizio necessari alla decisione.

In effetti, è ben vero che, per giurisprudenza da tempo consolidata, non è necessario che l’esposizione dei fatti di causa – richiesta, come si è visto, a pena d’inammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio di cassazione, dal disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 – costituisca una premessa autonoma e distinta rispetto ai motivi del ricorso, nè che si sviluppi in una narrativa analitica e particolareggiata; tuttavia, non è men vero che, stante il principio d’autosufficienza del ricorso per cassazione, quanto meno dal contesto dell’atto nel suo complesso, formato dalle premesse e dallo svolgimento dei motivi, id est dalla sola lettura di esso ed escluso l’esame d’ogni altro documento e della stessa sentenza impugnata, deve necessariamente essere desumibile una precisa cognizione così dell’origine e dell’oggetto della controversia come dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti nonchè delle decisioni adottate dai giudici del merito e delle ragioni di esse, in guisa da consentire al giudice di legittimità un’adeguata comprensione del significato e della portata delle critiche mosse alla pronunzia del giudice a quo, non potendosi al riguardo distinguere tra esposizione del tutto omessa ed esposizione insufficiente, la cui integrazione aliunde non è consentita neppure ove, come nella specie, l’atto cui vien fatto rinvio sia la stessa sentenza impugnata (da ultimo SS.UU. 11653/06).

Di tale consolidato orientamento costituisce particolare ulteriore applicazione la ritenuta inidoneità ad integrare i requisiti tanto della sufficiente esposizione del fatto quanto, soprattutto, della specificità dei motivi il semplice richiamo per relationem alle circostanze esposte ed alle questioni trattate nei precedenti gradi del giudizio. Nella specie, pur ove si voglia considerare non determinante l’assoluta carenza d’una “premessa in fatto”, resta, comunque, che neppure dall’esposizione dei motivi risulta in qualche modo possibile avere una chiara e completa visione così dell’oggetto del giudizio quale originariamente introdotto come della sua trattazione nonchè delle decisioni adottate dai giudici del merito e, di conseguenza, delle precise ragioni delle censure mosse sia con l’appello alla pronunzia di primo grado sia con il ricorso per cassazione a quella di secondo grado, ciò anche con particolare riferimento al vaglio d’ammissibilità delle une e delle altre in relazione al divieto d’introdurre in sede di legittimità questioni che non abbiano formato oggetto di contraddittorio in fase di merito, la cui violazione è rilevabile d’ufficio.

Onde procedere al sindacato sulla pronunzia di merito di secondo grado è, infatti, indispensabile al giudice di legittimità conoscere esattamente quali fossero state le originarie prospettazioni delle parti con domande ed eccezioni nel giudizio di primo grado, quali le decisioni su ciascuna di esse adottate dal primo giudice, quali le specifiche censure mosse a tali decisioni con l’atto d’appello ed in qual modo il giudice del gravame siasi pronunziato su ciascuna delle dette censure, dacchè è in relazione a siffatto svolgimento della dialettica processuale in ordine al thema disputandum devoluto al giudice del secondo grado che la pronunzia conclusiva di quest’ultimo può, poi, con la necessaria cognizione di causa ed in riferimento alle censure mosse con il ricorso, essere valutata in sede di legittimità. Nella specie, in difetto d’un’adeguata prospettazione delle ragioni dell’originaria domanda prima e dell’appello poi nonchè delle sentenze di merito ed, in particolare, di quella di secondo grado in relazione ai motivi di gravame proposti avverso quella di primo grado, il ricorso, poichè, neppure esaminato nel suo complesso, non consente d’identificare il quadro analitico degli aspetti della vicenda con le sue varie articolazioni processuali e i passaggi che ne hanno cadenzato lo svolgimento e l’esito e, quindi, un’adeguata valutazione delle ragioni di censura svolte avverso l’impugnata sentenza, va, dunque, considerato inammissibile ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3.

Alla medesima conclusione si perviene, d’altronde, come evidenziato dal consigliere relatore, anche considerando l’inottenperanza al disposto dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile, ratione temporis, all’impugnazione in esame.

Le svolte argomentazioni sembrano, infatti, denunziare una pluralità di violazioni di legge e di vizi di motivazione il che, in quanto commisti in un’unica prospettazione, determina di per sè l’inammissibilità del motivo.

In vero, come questa Corte ha ripetutamente rilevato, nell’ambito del singolo motivo non possono essere contestualmente dedotte censure aventi ad oggetto violazione di legge e vizi della motivazione, ciò costituendo una negazione della regola di chiarezza posta dall’art. 366 bis c.p.c. per la deduzione dei vizi tanto di violazione di legge quanto di motivazione, al qual riguardo prescrivendovisi che ciascun motivo debba contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

Cumulando, infatti, nella medesima argomentazione critica, il vizio di violazione di legge con quello di motivazione, si omette tale chiara indicazione, che dovrebbe comunque concludersi con un momento di sintesi equipollente al quesito di diritto, rimettendo al giudice di legittimità il compito d’enucleare, dalla mescolanza delle argomentazioni, la parte concernente il vizio di motivazione, il quale deve, invece, avere un’autonoma collocazione ed in ordine al quale la mancanza, o l’insufficienza, o la contraddittorietà della motivazione, debbono avere, ciascuna autonomamente considerata in ragione delle peculiari caratteristiche del singolo vizio, separata trattazione e distinta sintesi interrogativa (Cass. SS.UU. 17.4.09 n. 9153, Cass. 11.4.08 n. 9470, 29.2.08 n. 5471, 23.7.08 n. 20355).

Inoltre, la denunzia di violazione di norme non si conclude o, quanto meno, non contiene il prescritto quesito di diritto (Cass. SS. UU. 6.2.09 n. 2861 Cass. 9.5.08 n. 11535, Cass. SS.UU. 14.2.08 n. 3519, Cass. SS.UU. 29.10.07 n. 22640, Cass. SS.UU. 21.6.07 n. 14385, Cass. 22.6.07 n. 14682), mentre per la denunzia dei vizi di motivazione mancano la chiara indicazione del fatto controverso ed il necessario conclusivo momento di sintesi (Cass. SS.UU. 1.10.07 n. 20603, Cass. 7.4.08 n. 8897, Cass. 20.2.08 n. 4309, Cass. 25.2.09 n. 4556);

carenze che, d’altronde, costituiscono l’inevitabile conseguenza della mancata precisa prospettazione dello svolgimento del rapporto sostanziale e delle vicende del processo.

Plurime sono, in definitiva, le ragioni per le quali il ricorso va dichiarato inammissibile.

Parte intimata non avendo svolto attività difensiva, il ricorrente evita te conseguenze della soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2010

 

 

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