Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17298 del 13/07/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 13/07/2017, (ud. 26/06/2017, dep.13/07/2017),  n. 17298

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana M.T. – rel. Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

Dott. PICARDI Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4924-2012 proposto da:

COMUNE DI PARGHELIA, domiciliato in ROMA CIRCONVALLAZIONE CLODIA 36,

rappresentato e difeso dagli Avvocati MARIA IDA OREFICE, MARIA

CATERINA INZILLO;

– ricorrente –

contro

AURUM GESTIONI SPA, elettivamente domiciliato in ROMA VIA ALESSANDRO

II 6, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO MANGAZZO,

rappresentato e difeso dagli avvocati RAIMONDO NOCERINO, ALESSANDRO

BARBIERI, FERDINANDO SCOTTO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 279/2011 della COMM. TRIB. REG. di CATANZARO,

depositata il 20/06/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/06/2017 dal Consigliere Dott. ZOSO LIANA MARIA TERESA.

Fatto

ESPOSIZIONE DEI FATTI DI CAUSA

1. La società Aurum Gestioni s.p.a. impugnava l’avviso di pagamento con cui il Comune di Parghelia l’aveva invitata al pagamento della somma di Euro 97.774,00 per la tariffa relativa allo smaltimento dei rifiuti inerente l’anno 2007. La commissione Tributaria provinciale di Vibo Valentia accoglieva il ricorso con sentenza che era confermata dalla commissione tributaria regionale della Calabria.

2. Avverso la sentenza della CTR propone ricorso per cassazione il Comune di Pargelia affidato a tre motivi. Resiste con controricorso la contribuente.

Diritto

ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 5. Sostiene che ha errato la CTR nel rigettare il motivo di appello concernente l’inammissibilità del ricorso originario proposto dalla contribuente derivante dal fatto che mancava l’attestazione di conformità del ricorso depositato a quello notificato al Comune, che era rimasto contumace, essendosi con ciò violata la norma di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22.

2. Osserva la Corte che il motivo, in realtà, contiene distinte censure, riferite alle diverse ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. La prospettazione del ricorrente non esclude, tuttavia, lo scrutinio delle censure stesse. Infatti, in tema di ricorso per cassazione, la configurazione formale della rubrica del motivo di gravame non ha contenuto vincolante per la qualificazione del vizio denunciato, poichè è solo la esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico,il contenuto della censura. Ciò in quanto il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere bensì articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, ma non è necessaria l’adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Il fatto che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come autonomo motivo, non costituisce, dunque, ragione d’inammissibilità dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato, esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Cass. S.U. n. 9100 6/5/2015; Cass. S.U. n. 17931 del 24//2013; Cass. n. 17514 del 2/9/2016).

Ciò premesso, osserva la Corte che costituisce principio oramai consolidato quello secondo cui il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22, comma 3 – che disciplina il deposito in segreteria della commissione tributaria adita della copia del ricorso notificato mediante consegna o spedizione a mezzo del servizio postale – va interpretato nel senso che costituisce causa di inammissibilità non la mancata attestazione, da parte del ricorrente, della conformità tra il documento depositato ed il documento notificato, ma solo la loro effettiva difformità, accertata d’ufficio dal giudice in caso di detta mancanza (così Cass. n. 11760 del 26/05/2014; Cass. n. 5370/2010; Cass. n. 6780 del 20/03/2009: Cass. n. 4615 del 22/02/2008 che richiama, a sua volta, Cass. n. 17180/2004).

Ora, la questione dirimente concerne la rilevanza che assume la contumacia del convenuto nel procedimento officioso volto all’accertamento in concreto della conformità del documento depositato e del documento notificato.

In via generale e preliminare si devono richiamare i principi interpretativi affermati dalla Corte Costituzionale (Sent. 18 marzo 2004, n. 98, e Sent. 6 dicembre 2002, n. 520) circa la costituzionalità delle norme processuali sulle cause di inammissibilità secondo cui: 1) si deve far valere l’esigenza di ridurre i profili d’inammissibilità a quelle sole cause che costituiscano una ragionevole sanzione per la parte processuale; 2) si deve mirare a contrastare la realizzazione della giustizia solo per ragioni di serie importanza; 3) i profili di forma devono essere valutati con criteri di equa razionalità; 4) si deve assicurare l’armonia sistematica del regime dell’istituto controverso con lo specifico sistema processale cui esso appartiene.

Tanto premesso, ritiene questo collegio che l’applicazione dei richiamati principi debba condurre a diverse conclusioni a seconda che vi sia o meno la costituzione del resistente o dell’appellato, posto che, nel primo caso, la difformità tra i due esemplari di ricorso è suscettibile di essere contestata dalla parte costituita e, comunque, agevolmente rilevata dal giudice, attraverso il diretto raffronto del ricorso depositato con quello notificato, trattandosi di atti, entrambi, acquisiti in giudizio. Nel secondo caso, ovvero nel caso di contumacia del resistente o dell’appellato, viene a mancare per la parte la possibilità di riscontrare e denunciare la difformità e risulta, peraltro, impedita al giudice ogni effettiva possibilità di verifica ufficiosa della prescritta conformità, attraverso la diretta comparazione dell’esemplare depositato a quello notificato, dato che la contumacia del resistente o dell’appellato preclude l’acquisizione del secondo esemplare agli atti del giudizio. E mette conto considerare che, qualora si ritenesse non necessaria l’attestazione di conformità pur nella contumacia del convenuto, la prescritta formalità risulterebbe priva di qualsiasi reale funzione. Ed allora si deve ritenere che, in ipotesi di contumacia del resistente (o dell’appellato), la mancata attestazione della conformità del ricorso depositato in commissione a quello notificato a mezzo posta alla controparte costituisce di per sè, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22, comma 3, causa d’inammissibilità del ricorso (in senso conforme si veda Cass. n. 13398 del 28/4/2016; Cass. n. 4615 del 22/02/2008).

Questo collegio intende, dunque, discostarsi dal principio opposto affermato dalla Corte di legittimità con la sentenza n. 6780 del 20/03/2009, secondo cui si presume la conformità sia quando l’appellato si costituisca e non sollevi alcuna eccezione al riguardo, sia quando non si costituisca, così rinunciando a sollevare l’eccezione di cui si tratta. Ciò in quanto la valutazione che compie l’appellato circa l’opportunità o meno di costituirsi avviene sulla base dell’atto che gli è stato notificato e non si può ragionevolmente ritenere che sia suo onere accedere alla segreteria della commissione per verificare l’eventuale difformità tra l’atto a lui notificato e quello depositato, trattandosi di attività difensiva che presuppone, comunque, sia già sorto un interesse concreto a contraddire sulla base dell’atto notificato. Ne consegue che non può attribuirsi alla mancata costituzione in giudizio il significato della non contestazione di una circostanza – la mancata corrispondenza tra l’atto notificato e l’atto depositato – che è formalmente ignota all’appellato non costituito. L’inammissibilità conseguente alla mancata attestazione di conformità del documento depositato e del documento notificato costituisce, dunque, alla luce dei ricordati principi espressi dalla Corte Costituzionale, una ragionevole sanzione per la parte la quale ben può prevedere che, nel caso in cui il resistente o l’appellato non si costituisca, il giudice si trovi nell’impossibilità di effettuare la verifica officiosa. Trattasi, poi, di inammissibilità dettata da una ragione di seria importanza e di equa razionalità, considerato che a parte potrebbe ignorare il contenuto effettivo dell’atto che ha originato il processo qualora si ritenesse che la sua mancata costituzione implicasse la non contestazione di un atto a lui sconosciuto (in senso conforme R.G. 28046/2012 sentenza 30 marzo 2017).

3. Gli altri motivi di ricorso rimangono assorbiti.

4. Il ricorso va dunque accolto e l’impugnata sentenza cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 2, e il ricorso originario della contribuente va rigettato. L’esistenza di un orientamento giurisprudenziale non univoco giustifica la compensazione delle spese dell’intero giudizio.

PQM

 

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza d’appello e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario della contribuente. Compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 26 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2017

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