Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17295 del 19/08/2020

Cassazione civile sez. II, 19/08/2020, (ud. 06/12/2019, dep. 19/08/2020), n.17295

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3896-2016 proposto da:

P.G., elettivamente domiciliato in Roma, via Toscana 10,

presso lo studio dell’avvocato Antonio Rizzo, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato Gianpaolo Valcavi;

– ricorrente –

contro

P.E., elettivamente domiciliato in Roma, v.le Delle Milizie

34, presso lo studio dell’avvocato Fabio Piacentini, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Cetti Cinzia Cascio;

– controricorrente –

avverso La Sentenza N. 2811/2015 della Corte d’appello di Milano,

depositata il 29/06/2015;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/12/2019 dal Consigliere Dr. Casadonte Annamaria.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

– il presente giudizio trae origine dalla domanda proposta da P.E. nei confronti del fratello G. al fine di conseguire lo scioglimento, mediante assegnazione della quota del 50% di sua spettanza, della comunione ereditaria instauratasi dopo la morte dei genitori, deceduti ab intestato;

– per quanto ancora qui di interesse, l’attrice chiedeva la condanna del fratello a versarle un’indennità per il possesso esclusivo esercitato su uno dei beni immobili costituenti parte dell’eredità;

– costituendosi il fratello G. contestava la domanda di condanna al pagamento dell’indennità e chiedeva la collazione della somma donata dal de cuius alla figlia per l’aiuto dell’acquisto della casa;

-all’esito del giudizio di primo grado il Tribunale di Milano dichiarava lo scioglimento della comunione ereditaria fra i due fratelli e assegnava al fratello l’intera proprietà di tutti i beni immobili caduti in successione, determinando in Euro 126.849,27 l’importo dovuto da quest’ultimo alla sorella E.;

– l’attrice impugnava in via principale la decisione ed il convenuto a sua volta proponeva appello incidentale;

– la Corte d’appello di Milano ha parzialmente accolto il gravame principale e respinto quello incidentale;

– in particolare, il giudice d’appello ha accolto la domanda di rideterminazione dell’indennità per l’occupazione abusiva dell’immobile di via Roma 82 da parte di P.G. con riferimento al periodo successivo al 2006 ed erroneamente non considerato dal giudice di prime cure;

– inoltre la corte distrettuale ha ridotto l’importo dei debiti gravanti sulla massa ereditaria escludendo le spese sostenute asseritamente da P.G. per la ristrutturazione dell’immobile di via Roma 82 (pari a L. 10.400.000 e L. 90.064.000) ma in realtà risultate documentalmente pagate dal de cuius P.M.;

– la corte d’appello ha poi respinto l’impugnazione incidentale dell’originario convenuto P.G. laddove contestava l’erroneità della sentenza di primo grado per avere provveduto ad assegnargli tutti i beni immobili, sia i terreni che i fabbricati facenti parte della massa ereditaria, mentre egli aveva chiesto l’assegnazione del solo bene immobile sito alla via Roma 82 di Vellezzo Bellini (PV);

-la cassazione della sentenza d’appello è chiesta dal medesimo P.G. con ricorso affidato a tre motivi ed illustrato da memoria ex art. 380-bis.1. c.p.c., cui resiste con controricorso P.E.;

considerato che:

-va in via preliminare disattesa in ragione della sua genericità l’eccezione di inammissibilità del ricorso ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, proposta dalla controricorrente sulla base dell’asserita mancata specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali si fonda, potendosi evincere con chiarezza le doglianze ed i documenti sui quali esso si fonda;

– parimenti generica è l’eccezione di improcedibilità ex art. 369 c.p.c. per asserito mancato deposito degli atti processuali, dei documenti, dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda e dunque anche essa va respinta;

– con il primo motivo il ricorrente censura, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la sentenza della corte d’appello milanese per avere erroneamente disposto l’assegnazione a P.G. di tutti i beni immobili facenti parte della massa ereditaria, nonostante il convenuto avesse chiesto, fin dall’atto costitutivo, di procedere alla divisione dei beni ereditari, nella forma di assegnazione in natura, segnalando al contempo l’intenzione di ottenere il solo immobile sito in comune di Vellezzo Bellini, via Roma 82;

– diversamente, il giudice di prime cure (e poi quello d’appello confermava) gli aveva assegnato tutti i beni immobili, terreni e fabbricati, facenti parte della massa ereditaria e tale previsione, ad avviso di parte ricorrente, integrava una violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c.;

– il motivo è fondato;

– è stato opportunamente evidenziato da parte ricorrente come il principio secondo cui l’interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti dà luogo ad un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito, non trovi applicazione quando si assume che tale interpretazione abbia determinato un vizio riconducibile alla violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.) od a quello del “tantum devolutum quantum appellatum” (art. 345 c.p.c.), trattandosi in tal caso della denuncia di un “error in procedendo” che attribuisce alla Corte di cassazione il potere-dovere di procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali e, in particolare, delle istanze e deduzioni delle parti. (cfr. Cass. Sez. Un. 8077/2012; 21421/2014);

– ciò posto, rileva il Collegio, ritenendo che la censura debba essere ricondotta nell’alveo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ed esaminando, di conseguenza, la comparsa di costituzione e risposta nel giudizio di primo grado, come il convenuto abbia fin dal primo atto costitutivo formulato la seguente letterale conclusione sub 4) “Procedere con la divisione, anticipando sin d’ora la volontà di ottenere ex art. 718 c.c.., l’assegnazione di beni in natura e, segnatamente, di quello sito in (OMISSIS) (…)”;

– ebbene, l’individuazione dei limiti della domanda di assegnazione, pur involgendo un profilo interpretative, non ha ad oggetto un fatto storico preesistente dedotto dalla parte ma l’esercizio del potere-dovere del giudice di pronunciare entro il confine indicato dalla parte;

– ne consegue che l’errato esercizio di tale potere comporta, diversamente dal caso in cui il giudice riqualifica la domanda mantenendo inalterati i fatti costitutivi dedotti dalle parti, un vizio di nullità della pronuncia per ultrapetizione che deve poter essere vagliato dal giudice di legittimità;

– in tale prospettiva emerge dal tenore letterale della domanda del convenuto che essa mirava ad ottenere, nell’ambito della scioglimento della comunione ereditaria, un’assegnazione in natura e specialmente, in modo particolare (tale è il significato del termine “segnatamente”), l’immobile sito in (OMISSIS);

– nè, si osserva, la domanda di assegnazione dei beni in natura è accompagnata dall’aggettivo “tutti”, così come non può ritenersi corretto il criterio interpretativo adottato dalla corte territoriale laddove, nel dubbio sulla portata della domanda di assegnazione del convenuto ha fatto ricorso, in luogo del potere del giudice di chiedere chiarimenti alle parti (cfr. artt. 117,183 e 350 c.p.c.) alla comparazione con la domanda della controparte che non aveva fatto richiesta di assegnazione per dedurre la legittimità dell’assegnazione di tutti i beni a chi ne aveva esplicitamente richiesto uno solo (cfr. pag. 12 in conclusione del paragrafo 9);

– la censura va, quindi, accolta;

-con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un punto decisivo riguardante l’indennità di occupazione sine titulo, e la ritenuta incompatibilità della fissazione da parte del P. della propria residenza presso il suddetto immobile con l’uso comune dell’immobile stesso;

– ad avviso del ricorrente la corte territoriale aveva trascurato di considerare che egli non aveva mai ostacolato il godimento del bene da parte della sorella, la quale aveva sempre avuto la disponibilità delle chiavi, oltre ad avervi una stanza riservata al godimento esclusivo;

– il motivo appare infondato perchè la corte territoriale ha ritenuto recessiva, secondo un motivato apprezzamento incensurabile in tale sede, la circostanza – dedotta dall’appellante incidentale – di non aver frapposto alcun ostacolo al godimento dell’immobile da parte della sorella E. rispetto a quella, assorbente, della fissazione nell’immobile in questione della propria residenza;

– con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame da parte del giudice d’appello di punti decisivi in relazione alla operata riduzione delle spese gravanti sull’eredità nel minore importo di Euro 67.437,49;

– il ricorrente si riferisce alle circostanze costituite rispettivamente dal fatto che il de cuius P.M. aveva sì deciso la ristrutturazione dell’immobile di (OMISSIS), ma che i lavori erano proseguiti anche dopo la morte del padre, di comune accordo dei figli G. ed E. e che il pagamento delle stesse fosse stato eseguito da lui eseguito;

– inoltre, il ricorrente denuncia con il medesimo motivo il mancato esame di altre circostanze evidenziate nella comparsa conclusionale (cfr. pag. 24 del ricorso) così come nel doc. n. 11 prodotto dal convenuto in primo grado;

– il motivo è per come formulato inammissibile per difetto di specificità in relazione al contenuto del doc. n. 11, che non è nè trascritto nè sinteticamente richiamato;

– la censura è pure inammissibile facendo riferimento a circostanze riferite per la prima volta nella comparsa conclusionale e pertanto non oggetto di discussione fra le parti;

– in conclusione, il ricorso va accolto in relazione al primo motivo mentre vanno respinti gli altri e la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello di Milano anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo, respinge i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Milano, altra sezione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, della Sezione Seconda Civile, il 6 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 agosto 2020

 

 

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