Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17294 del 12/07/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 17294 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: CARRATO ALDO

2001 — sentenza in

SENTENZA

forma semplificata

sul ricorso proposto da:
BRESCIANINO ELENA (C.F.: BRS LNE 86R55 A192Z), rappresentata e difesa, in
forza di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. Gabriele De Paola ed
elettivamente domiciliata presso il suo studio, in Roma, alla v. Giulia di Colloredo;
– ricorrente contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore;
– intimato avverso il decreto della Corte d’appello di Perugia n. 271 del 2012, depositato in data
21 marzo 2012 (e notificato il 14 maggio 2012).
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22 maggio 2013
dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

Data pubblicazione: 12/07/2013

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Ignazio Patrone, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Ritenuto in fatto
La sig.ra Brescianino Elena chiedeva alla Corte d’appello di Perugia, con ricorso

dell’equa riparazione del danno non patrimoniale sofferto a causa della non
ragionevole durata di un giudizio di equa riparazione introdotto dinanzi alla Corte di
appello di Roma con ricorso del 15 maggio 2007 e definito con decreto del 6
novembre 2009.
L’adita Corte di appello perugina, con decreto depositato il 21 marzo 2012,
dichiarava la domanda inammissibile, ritenendo che non fosse esperibile il rimedio di
cui alla legge n. 89 del 2001 in relazione a procedimenti riguardanti la denunciata
violazione della durata ragionevole dei giudizi di equa riparazione, non discendendo
tale proponibilità dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo ed essendo
l’eventuale ritardo nella definizione dei procedimenti ai sensi della suddetta legge
compensabile dal giudice del procedimento.
Avverso il suddetto decreto (notificato il 14 maggio 2012) ha proposto ricorso per
cassazione la Brescianino Elena, con atto consegnato per la notifica il 13 luglio 2012
e notificato il 18 luglio 2012, sulla base di un unico motivo, illustrato da memoria.
Il Ministero della Giustizia non ha svolto attività difensiva in questa fase.
Il collegio ha deliberato di adottare il modello di sentenza in forma semplificata.

Considerato in diritto
1. – Con il dedotto motivo la ricorrente ha denunciato (ai sensi dell’art. 360, n. 3,
c.p.c.) la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 89 del 2001 e
dell’art. 6, paragrafo primo, della C.E.D.U., in relazione al successivo art. 35, sul
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ritualmente depositato, il riconoscimento, ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89,

presupposto della ritenuta illegittimità del decreto impugnato avuto riguardo alla
decisiva argomentazione — già recepita in altre decisioni di questa Corte — in base
alla quale la legge n. 89 del 2001 non consente in alcun modo di distinguere i
procedimenti di equa riparazione da quelli ai quali la medesima legge si applica e di

Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dalla Costituzione italiana.
2. Il motivo è fondato e deve essere accolto nei termini che seguono.
Questa Corte ha già avuto modo (v. Cass. n. 5924 del 2012; Cass. n. 5925 del 2012;
Cass. n. 5455 del 2013 e Cass. n. 6981 del 2013) di pronunciarsi più volte in ordine
all’applicabilità del procedimento disciplinato dalla legge n. 89 del 2001 ai
procedimenti introdotti sulla base della legge stessa, per i quali deve ritenersi
predicabile l’operatività del termine ragionevole di durata e del conseguente regime
indennitario in caso di sua violazione.
A tal proposito è stato evidenziato che il giudizio di equa riparazione, che si
svolge presso le Corti di appello ed eventualmente, in sede di impugnazione,
dinanzi a questa Corte, si configura come un ordinario processo di cognizione,
soggetto, in quanto tale, all’esigenza di una definizione in tempi ragionevoli, la
quale deve ritenersi tanto più presente per tale tipologia di giudizi, in quanto
finalizzati proprio all’accertamento della violazione di un diritto fondamentale
nel giudizio presupposto, la cui lesione genera di per sé una condizione di
sofferenza ed un paterna d’animo che sarebbe eccentrico non riconoscere
anche per i procedimenti regolati dalla legge n. 89 del 2001.

Né appare

condivisibile l’assunto che il giudizio dinanzi alla Corte di appello e l’eventuale
giudizio di impugnazione costituiscano una fase necessaria di un unico procedimento
destinato a concludersi dinanzi alla Corte europea, nel caso in cui nell’ordinamento
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sottrarli, dunque, al regime di ragionevole durata, che discende direttamente dalla

interno la parte interessata non ottenga un’efficace tutela dell’indicato diritto
fondamentale, atteso che il procedimento interno rappresenta una forma di tutela
adeguata ed incisiva, sempre che, naturalmente, si svolga esso stesso nell’ambito di
una ragionevole durata.

marzo 2012, pronunciata nel ric. N. 23563/07 — Gagliano Giorgi c. Italia, che —
richiamando altri precedenti — ha affermato il principio secondo il quale “per
soddisfare le esigenze del «termine ragionevole» ai sensi dell’art. 6, § 1 della
Convenzione europea, la durata di un procedimento «Pinto» dinanzi alla Corte di
appello competente e alla Corte di cassazione, compresa la fase di esecuzione della
decisione, non dovrebbe, in linea di principio e salvo circostanze eccezionali, essere
superiore a due anni e sei mesi”, con ciò implicitamente ribadendo l’ammissibilità del
rimedio previsto dalla legge n. 89 del 2011 con riferimento ai giudizi sulla
irragionevole durata dei procedimenti presupposti.
Quanto alla determinazione della ragionevole durata di un procedimento di equa
riparazione, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte si ritiene che, ove
venga in rilievo un giudizio “Pinto” svoltosi in due gradi, la durata complessiva degli
*L
stessi debba essere computata come ragionevole ove non ecceda il termine due
anni.
Orbene, tenuto conto che il termine di durata ragionevole di un giudizio di legittimità
riguardante l’impugnazione di un decreto ai sensi della legge n. 89 del 2001 è
normalmente fissato in un anno, deve ritenersi che il giudizio di primo grado debba
essere concluso nel termine ragionevole di un anno, non potendosi a tal fine
attribuire al termine di quattro mesi di cui all’art. 3, comma 4, della legge n. 89 del
2001, natura diversa da quella sollecitatoria che gli è propria e, quindi, non
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Del resto in tal senso si è espressa la stessa C.E.D.U., da ultimo con la sentenza 6

espressiva in modo assoluto della ragionevole durata del procedimento di equa
riparazione.
Il ricorso deve, perciò essere accolto, risultando erronea la decisione della Corte
territoriale che ha ritenuto inammissibile la domanda di equa riparazione per la

presupposto di altra natura.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel
merito.
Nel caso di specie, infatti, il ricorso risulta essere stato depositato presso la Corte di
appello di Roma nel mese di maggio 2007 e l’unico grado di giudizio di merito si è
concluso con decreto depositato nel novembre 2009. Pertanto, la durata complessiva
del procedimento di equa riparazione è stata di circa due anni e sei mesi, ragion per
cui, detratto il termine ragionevole stimato in un anno, la durata non ragionevole
risulta essere stata di circa un anno e sei mesi.
Alla luce dell’accertata durata irragionevole del giudizio e tenuto conto che, in ordine
alla quantificazione del danno non patrimoniale, deve farsi applicazione del principio,
costante nella giurisprudenza di questa Corte (v., ad es., Cass. n. 21840 del 2009 e,
da ultimo, Cass. n. 8471 del 2012), secondo cui detta liquidazione deve essere, di
regola, non inferiore a euro 750 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni
eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a euro 1.000,00 per quelli successivi,
ne consegue che l’indennizzo riconoscibile alla ricorrente deve essere quantificato
nell’importo di euro 1.125,00 (di cui euro 750,00 per il primo anno ed euro 375,00 per
gli altri sei mesi), a cui devono aggiungersi gli interessi legali con decorrenza dalla
proposizione della domanda giudiziale e fino al soddisfo.

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irragionevole durata di un procedimento di equa riparazione relativamente a giudizio

Alla ricorrente compete, altresì, in base al principio della soccombenza, il rimborso
delle spese e competenze dell’intero giudizio, liquidate nella misura indicata in
dispositivo (applicandosi, per quelle del giudizio di cassazione, i nuovi criteri previsti
dal D.M. n. 140 del 2012: cfr. Cass., S.U., n. 17405 del 2012), con l’attribuzione al

PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito,
accoglie la domanda proposta nell’interesse di Brescianino Elena e condanna il
Ministero della Giustizia al pagamento, in favore della ricorrente, della somma di euro
1.125,00 a titolo di equa riparazione, oltre interessi legali dalla domanda al saldo,
nonché al rimborso delle spese del giudizio davanti alla Corte d’appello, liquidate in
complessivi euro 775,00, di cui euro 445,00 per onorari, euro 280,00 per diritti ed
euro 50,00 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge,
ponendo a carico dello stesso Ministero le spese del giudizio di cassazione, che si
liquidano in complessivi euro 606,25, di cui euro 506,25 per compensi ed euro
100,00 per esborsi, oltre accessori di legge; dispone la distrazione delle spese del
giudizio di merito e di quello di legittimità, nella misura come liquidata a vantaggio
della ricorrente, in favore dell’Aw. Gabriele De Paola, per dichiarato anticipo.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile della
Corte suprema di Cassazione, in data 22 maggio 2013.

suo difensore, per dichiarato anticipo.

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