Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17292 del 27/06/2019

Cassazione civile sez. I, 27/06/2019, (ud. 14/05/2019, dep. 27/06/2019), n.17292

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giusepp – rel. Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15018/2017 proposto da:

Comune di Milano, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, via Polibio 15, presso lo studio dell’avvocato

Giuseppe Lepore che lo rappresenta e difende unitamente agli

avvocati Antonello Mandarano, Irma Marinelli, Ruggero Meroni, in

forza di procura in calce al ricorso

– ricorrente –

contro

Rai Way Spa, in persona del legale rapp.te pro tempore, elettivamente

domiciliata in Roma Via Nazionale, 200 c/o Studio Uckmar presso lo

studio dell’avvocato Caterina Corrado Oliva che la rappresenta e

difende in forza di procura in calce al controricorso;

– controricorrente

avverso la sentenza n. 4549/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 09/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/5/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. SORRENTINO Federico, nel senso del

rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La società Rai Radiotelevisione Italia s.p.a. (Rai), concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo ha costituito una società per azioni poi denominata Ray Way s.p.a., di cui si avvale per lo svolgimento di attività inerenti all’installazione e all’esercizio degli impianti tecnici.

Con atto notarile del 29/2/2000 Rai ha trasferito a Rai Way il complesso aziendale denominato “(OMISSIS)” e le ha contrattualmente affidato la fornitura dei servizi relativi all’installazione, alla manutenzione e alla gestione delle reti e la prestazione dei servizi di trasmissione, distribuzione e diffusione del segnale e dei programmi radiofonici e televisivi.

La Rai ha pagato regolarmente al Comune di Milano il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (acronimo: Cosap) per gli anni dal 2000 al 2003; per gli anni dal 2004 al 2006 ha invece provveduto Rai Way.

Non ricevendo pagamenti del Cosap per gli anni dal 2007 al 2011 il Comune di Milano ha notificato gli avvisi di pagamento relativi a tali annualità sia a Rai sia a Rai Way,, in proprio o in via solidale con la Rai. La richiesta è stata formulata secondo il criterio ad utenze ai sensi del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 63, comma 2, lett. f) e cioè sulla base della moltiplicazione della tariffa fissa per il numero dei cittadini milanesi abbonati al servizio televisivo.

La presente controversia si riferisce al canone dovuto per l’annualità 2010.

2. Ray Way ha convenuto in giudizio il Comune dinanzi al Tribunale di Milano chiedendo di accertare l’infondatezza della sua pretesa, così come richiesta, o comunque di accertare la debenza del Cosap nella misura fissa annuale di Euro 516,46.

Oppostosi il Comune di Milano, il Tribunale ha accolto l’opposizione di Rai Way avverso l’avviso di pagamento del 7/11/2012, a spese compensate. Il Tribunale ha escluso l’applicabilità del D.Lgs. n. 446 del 2007, art. 63, comma 2, lett. f), sia al punto 1, sia al punto 3, ritenendo invece applicabili i criteri di cui alle lettere b) e c), oppure della lett. f) contemperati con correttivi.

3. La sentenza è stata impugnata dal Comune milanese, lamentando la violazione, in primo luogo, del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 52, comma 1 e art. 63, commi 1 e 2, nonchè degli artt. 8, 11 e 15 del regolamento Cosap del Comune di Milano, e, in secondo luogo, dell’art. 112 c.p.c., art. 183 c.p.c., comma 5 e art. 189 c.p.c., comma 1, art. 111 Cost. e del D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 93, comma 2 art. 93, comma 2.

Si è costituita l’appellata Rai Way, che ha resistito al gravame e ha proposto appello incidentale, affermando l’applicabilità nei suoi confronti del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 63, comma 2, lett. f) e del D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 93,comma 2.

La Corte di appello di Milano con sentenza del 9/12/2016 ha respinto l’appello principale del Comune e ha accolto parzialmente l’appello incidentale di Rai Way, dichiarando che essa era tenuta a pagare il Cosap per l’anno 2010 nella misura di Euro 516,46, a spese compensate.

La Corte di appello ha ritenuto irragionevole il criterio di commisurazione del tributo sostenuto dal Comune, con riferimento al D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 63, comma 2, lett. f), n. 1, che attribuisce rilievo al numero di utenze raggiunte dal fornitore del servizio, escludendo che i cittadini milanesi potessero essere definiti utenti del servizio ai fini Cosap; ha individuato invece il criterio corretto di commisurazione in quello previsto al n. 3, secondo periodo, della lettera f), che contempla la misura fissa del canone di Euro 516,46 annui, previsto per le attività strumentali al servizio pubblico che non occupano il suolo in maniera significativa per raggiungere i singoli utenti.

4. Con atto notificato il 9/6/2017 avverso la predetta sentenza della Corte di appello del 9/12/2016 ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Milano, affidato ad un unico motivo.

Ha resistito con controricorso notificato il 18/7/2017 Rai Way, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto del ricorso.

5. Con istanza del 28/9/2017 il Comune di Milano, prospettando l’opportunità di un esame congiunto della vicenda strettamente collegata e il rischio di giudicati contrastanti ha chiesto la riunione, o quantomeno la trattazione congiunta, del presente ricorso e di quello recante il n. r.g. 15185/2017 relativo al connesso contenzioso fra il Comune di Milano e Rai s.p.a..

Rai Way si è opposta alla riunione, non ravvisandone i presupposti normativi.

Rai Way ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c., in data 30/4/2019.

Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unitario e articolato motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il Comune ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 63, comma 2, lett. f), art. 8 del regolamento Cosap del Comune di Milano e del D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 2, comma 1, art. 89 e art. 93, comma 2.

1.1. La Corte di appello ha basato la propria decisione sul fatto che i cavi che trasportano contributi audio e video collegano fra loro solo insediamenti di Rai e Rai Way.

Secondo il Comune di Milano, il rilievo ostativo attribuito alla trasmissione del segnale via etere ai televisori ai fini dell’applicazione del comma 1 della predetta lett. f) era illogico perchè le stesse ragioni avrebbero dovuto indurre ad escludere l’applicazione della disciplina del n. 3, primo e secondo capoverso, per le quali vigeva lo stesso presupposto, con l’iniqua e assurda conseguenza di esonerare totalmente Rai e Rai Way dal pagamento di alcun canone Cosap.

1.2. Il servizio pubblico in esame doveva essere valutato nella sua globalità, tenendo conto di tutte le reti di comunicazione distribuite capillarmente sul territorio.

Il D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 2, comma 1 (Codice delle comunicazioni elettroniche) prende in considerazione le reti utilizzate per la diffusione circolare di programmi sonori e televisivi e le reti della televisione via cavo.

L’art. 93 dello stesso Codice grava gli operatori che forniscono servizi di comunicazione elettronica di tenere indenni la Pubblica Amministrazione e gli Enti Locali dalla spese necessarie per la sistemazione delle aree pubbliche coinvolti dagli interventi di installazione e manutenzione, escludendo qualsiasi altro onere finanziario, reale o contributo, fatta salva la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (acronimo: Tosap) o del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (Cosap), calcolato secondo quanto previsto dal comma 2, lett. e) e f).

Come ritenuto dalla Corte di Milano il testo originario dell’art. 93, era frutto di un errore, emendato dal D.Lgs. n. 70 del 2012, art. 68, comma 1, con l’aggiunta della lett. f) dianzi pretermessa. Il rinvio è stato così operato a tutte le ipotesi considerate dalla predetta lett. f).

L’effettiva entità dell’occupazione, il valore economico del suolo e il sacrificio imposto alla collettività rilevano solo per il calcolo del Cosap a metri lineari e non già fini del canone in esame.

1.3. Non era neppur vero che fosse ininfluente la fruizione tramite Internet dei programmi Rai, poichè essa era resa possibile attraverso arie piattaforme e varie modalità per espandere al massimo il bacino d’utenza.

1.4. Rai Way doveva quindi pagare il canone nella misura di cui al n. 1 della lett. f), quale occupante di fatto e distributore del servizio, dovendosi ritenere irrilevante il rapporto giuridico che abilita l’utente finale a ricevere il servizio e assumendo invece rilievo solo il fatto materiale dell’erogazione del servizio da parte del soggetto tenuto al pagamento.

1.5. Secondo il ricorrente, in denegata ipotesi, se mai effettivamente per Rai Way il criterio di calcolo corretto fosse quello di cui al n. 3 della lett. f) in misura fissa, allora tale tributo dovrebbe aggiungersi a quello dovuto dalla Rai, commisurato al criterio forfettario per utenze a carico delle aziende erogatrici del servizio pubblico.

2. In via preliminare, Rai Way ha eccepito l’inammissibilità dell’avversario ricorso per difetto di interesse, poichè il Comune non avrebbe censurato con specifico motivo di ricorso l’autonoma ratio decidendi che sorreggeva la sentenza impugnata.

La controricorrente osserva che la sentenza impugnata non poggiava soltanto sull’applicazione dell’art. 63, comma 2, lett. f), secondo periodo, ma anche sul primo periodo di tale norma e in particolare sulla mancanza del rapporto di utenza fra Rai Way e i cittadini milanesi, desunta sia dal fatto chi i cavi di Rai Way occupanti il suolo pubblico non servono a raggiungere le loro utenze ma collegano fra loro i siti di Rai e Rai Way e che comunque i cittadini milanesi che corrispondono il canone di abbonamento radiotelevisivo versano un tributo allo Stato e non hanno alcun rapporto di fornitura con Rai e tantomeno con Rai Way.

L’eccezione non merita accoglimento perchè il ricorrente dirige le proprie critiche anche nei confronti del pilastro motivazionale sopra citato, nel momento in cui nega rilievo alla mancanza di un collegamento fisico dei cavi di Rai Way con le utenze radiotelevisive.

3. Il Comune di Milano sostiene che Rai Way è obbligata al pagamento del Cosap (dovuto per il 2010) secondo il criterio di calcolo commisurato al numero di utenze servite, o tuttalpiù in estremo subordine, se si dovesse accedere alla determinazione della sua obbligazione in misura fissa, tale debito si dovrebbe aggiungere a quello della Rai quantitativamente commisurato al numero di utenze servite.

Rai Way invece assume di dovere corrispondere il Cosap solo in misura fissa annuale di Euro 516,46.

La controversia evidentemente attiene alla misura e non alla debenza del canone de quo.

Le censure sollevate del ricorrente rispetto alla decisione della Corte milanese appaiono infondate, come già ritenuto da questa Corte con la sentenza n. 11550 del 7/2-3/5/2019 relativa allo stesso canone dovuto per il 2011.

4. Il D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 63, come sostituito dalla L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 31, dispone che i Comuni e le Province possono, con regolamento adottato a norma dell’art. 52, escludere l’applicazione, nel proprio territorio, della tassa per occupazione di spazi ed aree pubbliche (acronimo: Tosap) e altresì prevedere che l’occupazione, sia permanente che temporanea, di strade, aree e relativi spazi soprastanti e sottostanti appartenenti al proprio demanio o patrimonio indisponibile, comprese le aree destinate a mercati anche attrezzati, sia assoggettata, in sostituzione della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, al pagamento di un canone da parte del titolare della concessione (acronimo: Cosap), determinato nel medesimo atto di concessione in base a tariffa.

Il comma 2 dello stesso articolo detta i criteri a cui il regolamento dell’Ente locale in tema di Cosap deve essere informato e alla lett. c) si riferisce alla tariffa analitica determinata sulla base della classificazione in categorie di importanza delle strade, aree e spazi pubblici, dell’entità dell’occupazione, espressa in metri quadrati o lineari, del valore economico della disponibilità dell’area nonchè del sacrificio imposto alla collettività, con previsione di coefficienti moltiplicatori per specifiche attività esercitate dai titolari delle concessioni anche in relazione alle modalità dell’occupazione.

In particolare, la lett. f) del comma 2, per le occupazioni permanenti, realizzate con cavi, condutture, impianti o con qualsiasi altro manufatto da aziende di erogazione dei pubblici servizi e da quelle esercenti attività strumentali ai servizi medesimi, prevede la corresponsione di un canone determinato forfettariamente secondo alcune ipotesi alternative.

Fra queste assume rilievo quella contemplata al n. 1), propugnata come la soluzione corretta dal Comune, che per le occupazioni del territorio comunale prevede la commisurazione del canone al numero complessivo delle relative utenze, moltiplicato per la misura unitaria di tariffa riferita alle separate classi di comuni, dotate di coefficienti diversi a seconda del numero degli abitanti.

Assume inoltre rilievo l’ipotesi di cui al n. 3), propugnata come soluzione corretta da Rai Way e accolta dalla Corte di appello, che prevede che in ogni caso l’ammontare complessivo dei canoni dovuti a ciascun comune o provincia non può essere inferiore a Euro 516,46 e aggiunge che la medesima misura di canone annuo è dovuta complessivamente per le occupazioni permanenti di cui alla lettera f), effettuate dalle aziende esercenti attività strumentali ai pubblici servizi.

Il presupposto del canone così quantificato è, anche nell’ambito della norma in analisi, la realizzazione di occupazioni permanenti di spazi pubblici, mediante cavi, condutture, impianti o con qualsiasi altro manufatto da aziende di erogazione dei pubblici servizi e da quelle esercenti attività strumentali ai servizi medesimi. Deve pagare il Cosap, cioè, chi realizza l’occupazione e quindi assume di diritto o di fatto la veste di concessionario all’uso speciale ed esclusivo del bene pubblico.

Le stesse considerazioni valgono per l’art. 8 del Regolamento comunale Cosap, che riprende – e non potrebbe essere diversamente – le formulazioni del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 63, senza ampliarne la base impositiva.

5. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il predetto canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche è stato concepito dal legislatore come un quid ontologicamente diverso, sotto il profilo strettamente giuridico, dalla tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, e risulta configurato come corrispettivo di una concessione, reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva), dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici.

Esso, pertanto, è dovuto non in base alla limitazione o sottrazione all’uso normale o collettivo di parte del suolo, ma in relazione all’utilizzazione particolare o eccezionale che ne trae il singolo; il presupposto applicativo del Cosap è costituito dall’uso particolare del bene di proprietà pubblica ed è irrilevante la mancanza di una formale concessione quando vi sia un’occupazione di fatto del suolo pubblico (Sez. 1, n. 1435 del 19/01/2018, Rv. 646855 – 01; 04/05/2018, n. 10733; Sez. 5, n. 18037 del 06/08/2009, Rv. 609326 – 01).

Tale principio è stato espresso anche dalla decisione del 7/1/2016 n. 61 delle Sezioni Unite, in tema di riparto di giurisdizione, che ha ribadito che il Cosap si configura come corrispettivo di una concessione, reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva), dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici, e non è dovuto per la sottrazione al sistema della viabilità di un’area o spazio pubblico.

6. La Corte di appello è partita da alcune premesse accertate in fatto, ossia: che Rai Way nel Comune di Milano utilizza alcuni cavi (una ventina) che non servono alla trasmissione del segnale televisivo agli utenti; che tali cavi assolvono a esigenze interne e trasportano contributi audio e video o altri dati da talune postazioni di ripresa (Teatro della Scala, Stadio Meazza, Conservatorio Verdi) al Centro Rai – Rai Way di (OMISSIS); che tali cavi non raggiungono i singoli cittadini utenti radiotelevisivi e non trasmettono il segnale radiotelevisivo; che invece il segnale è irradiato da una serie di ripetitori dislocati sul territorio nazionale (in particolare, per (OMISSIS), dal sito di (OMISSIS)).

Tale accertamento in fatto, peraltro conforme a quello effettuato dal Giudice di primo grado e pertanto incensurabile in sede di legittimità per vizio motivazionale con il mezzo previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, alla luce del disposto preclusivo di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5, non è stato aggredito con il ricorso per cassazione, proposto esclusivamente per violazione di legge.

La Corte territoriale ha pertanto ritenuto che il criterio per utenze presupponga necessariamente che l’utente sia raggiunto dal fornitore attraverso la occupazione di spazio pubblico realizzata; che solo in tale ottica il criterio forfettario può collegarsi al presupposto del canone e cioè all’occupazione del bene pubblico (demanio o patrimonio indisponibile) del Comune; che, di conseguenza, il numero dei cittadini milanesi che ricevono il segnale televisivo non era assolutamente un fattore indicativo dell’occupazione di suolo pubblico realizzata.

7. Il Collegio ritiene corretta la decisione della Corte di appello di Milano.

Il criterio di commisurazione previsto dal punto 1) della lett. f) del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 63, comma 2, rinviene il suo presupposto logico e giuridico nel fatto che l’azienda, attraverso l’occupazione di spazi pubblici appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile del Comune, eroghi un servizio, raggiungendo l’utenza; solo in tale prospettiva infatti il criterio forfettario va a riconnettersi alla funzione e alla ragion d’essere del canone, e cioè all’occupazione del bene pubblico.

I fattori che esprimono l’incidenza dell’occupazione sono indicati in linea generale nella lett. c) dell’art. 63, comma 2, ossia: entità dell’occupazione, espressa in metri quadrati o lineari, valore economico della disponibilità dell’area e del sacrificio imposto alla collettività.

La forfetizzazione di cui alla lett. f), comma 1, che si riferisce all’ipotesi speciale delle occupazioni realizzate con cavi, condutture, impianti o con qualsiasi altro manufatto da aziende di erogazione dei pubblici servizi e da quelle esercenti attività strumentali ai servizi medesimi, con l’introduzione del criterio del numero di utenti, sottende un riferimento, implicito ma necessario, all’esistenza di una relazione di servizio tra l’occupazione dello spazio pubblico e la fornitura del servizio ai singoli utenti.

Si tratta di un criterio forfettario che permette di prescindere, per ragioni intuitivamente semplificatorie, dall’onerosissimo calcolo analitico della lunghezza dei cavi, sostituendolo con un valore, quello degli utenti serviti, più facilmente conteggiabile, ma ascrivibile alla stessa logica; se l’azienda fornitrice deve servire un certo numero di utenti, raggiungendoli con i suoi cavi, presumibilmente occuperà uno spazio pubblico corrispondente.

Tale criterio non ha invece alcuna base logica se non vi è contatto diretto fra l’azienda e gli utenti, che non vengono affatto raggiunti dai cavi siti nello spazio pubblico e se addirittura non vi è alcun rapporto fra l’azienda e gli utenti, come nella fattispecie.

Non persuade la tesi del ricorrente secondo il quale l’effettiva entità dell’occupazione, il valore economico del suolo e il sacrificio imposto alla collettività rilevano solo per il calcolo del Cosap a metri lineari e non già fini del canone dovuto dalle aziende di erogazione dei pubblici servizi e da quelle esercenti attività strumentali ai servizi medesimi.

Per queste sono previsti dei criteri forfetizzati, volte a semplificare il calcolo della misura del canone, che peraltro, anche al fine di mantenere una coerenza complessiva del sistema, deve tendere a esprimere una determinazione forfettaria che si ispiri ai parametri generali che delineano l’istituto, che si caratterizza in termini di corrispettivo imposto per la concessione di occupazione di uno spazio pubblico, sottratto, in parte, agli usi collettivi.

Inoltre, come argomenta lucidamente la controricorrente, tale interpretazione della norma di legislazione delegata trova conforto anche in una chiave di lettura interpretativa costituzionalmente orientata, volta a scongiurare un dubbio di illegittimità costituzionale ex art. 76, Cost., alla luce del tenore della legge delega (L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3,comma 149, lett. h)).

Questa disposizione infatti, attribuendo alle province e ai comuni la facoltà di prevedere, per l’occupazione di aree appartenenti al demanio e al patrimonio indisponibile dei predetti enti, il pagamento di un canone determinato nell’atto di concessione, ha chiaramente individuato la necessità di conformare la relativa tariffa, tenendo conto (oltre che delle esigenze del bilancio) del valore economico della disponibilità dell’area in relazione al tipo di attività per il cui esercizio l’occupazione è concessa, del sacrificio imposto alla collettività con la rinuncia all’uso pubblico dell’area stessa, e dell’aggravamento degli oneri di manutenzione derivante dall’occupazione del suolo e del sottosuolo.

Nella logica perseguita dalla legge-delega l’entità del canone deve calibrarsi, in nesso tendenzialmente sinallagmatico, in relazione all’estensione dell’occupazione e, conseguentemente, all’entità del sacrificio imposto alla collettività.

Trova quindi applicazione il criterio forfettario residuale previsto specificamente dal punto 3) della stessa lett. f), come ritenuto dalla Corte di appello di Milano.

8. Il Comune di Milano sostiene che il rilievo ostativo attribuito alla trasmissione del segnale via etere ai televisori ai fini dell’applicazione del comma 1 della predetta lett. f) sarebbe illogico.

Le stesse ragioni avrebbero dovuto indurre ad escludere l’applicazione della disciplina del n. 3, primo e secondo capoverso, per le quali vigeva lo stesso presupposto, con l’iniqua e assurda conseguenza di esonerare totalmente Rai e Rai Way dal pagamento di alcun canone Cosap.

L’obiezione è basata solo sulla prospettazione di una asserita conseguenza pregiudizievole dell’interpretazione non condivisa della norma e quindi appare non concludente, poichè adducere inconveniens non est solvere argumentum.

In ogni caso, le conseguenze prospettate non hanno fondamento: il numero 3) prevede infatti una misura minima forfettaria fissa, comunque dovuta, anche a prescindere dall’esistenza di un collegamento con l’utenza alla sola condizione della realizzazione di una occupazione permanente, realizzata con cavi, condutture, impianti o con qualsiasi altro manufatto da aziende di erogazione dei pubblici servizi e da quelle esercenti attività strumentali ai servizi medesimi, visto che anche tale ipotesi è comunque sorretta dalla premessa introduttiva della lett. f).

9. Il Comune di Milano sostiene che il servizio pubblico in esame doveva essere valutato nella sua globalità, tenendo conto di tutte le reti di comunicazione distribuite capillarmente sul territorio e ricorda che il D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 2,comma 1 (Codice delle comunicazioni elettroniche) prende in considerazione le reti utilizzate per la diffusione circolare di programmi sonori e televisivi e le reti della televisione via cavo.

Il ricorrente aggiunge che l’art. 93 dello stesso Codice grava gli operatori che forniscono servizi di comunicazione elettronica di tenere indenni la Pubblica Amministrazione e gli Enti Locali dalla spese necessarie per la sistemazione delle aree pubbliche coinvolti dagli interventi di installazione e manutenzione, escludendo qualsiasi altro onere finanziario, reale o contributo, fatta salva la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (Tosap) o del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (Cosap), calcolato secondo quanto previsto dal comma 2, lett. e) e f).

La censura è infondata.

Il D.Lgs. 1 agosto 1993, n. 259, art. 93, dopo la generale premessa volta ad escludere che gli Enti pubblici possano imporre per l’impianto di reti o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, oneri o canoni che non siano stabiliti per legge (comma 1), al comma 2 stabilisce che gli operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica hanno l’obbligo di tenere indenne la Pubblica Amministrazione, l’Ente locale, ovvero l’Ente proprietario o gestore, dalle spese necessarie per le opere di sistemazione delle aree pubbliche specificamente coinvolte dagli interventi di installazione e manutenzione e di ripristinare a regola d’arte le aree medesime nei tempi stabiliti dall’Ente locale.

La norma prosegue ribadendo che nessun altro onere finanziario, reale o contributo può essere imposto, in conseguenza dell’esecuzione delle opere di cui al Codice o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, fatta salva l’applicazione della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui al capo II del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, oppure del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui al D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 63 e successive modificazioni, calcolato secondo quanto previsto dal comma 2, lettere e) ed f), del medesimo articolo.

La giurisprudenza di questa Corte, sia pur con riferimento ad altri oneri, ha avuto modo di sottolineare che la riserva di legge introdotta dalla citata norma esclude a carico dei fornitori di reti di comunicazione elettronica il pagamento di oneri o canoni che non siano previsti dal D.Lgs. n. 259 del 2003 o da legge statale ad esso successiva (Sez. 1, 14/8/2014 n. 18004; Sez. 1, 30/6/2014 n. 14788 e 14789; Sez. 1, 20/10/2014 n. 22187; Sez. 1, 3/9/2015 n. 17524)

Tale disposizione non ha affatto una funzione impositiva e al contrario persegue espressamente lo scopo di preservare i fornitori di reti di comunicazione elettronica da ulteriori oneri, mentre il richiamo di salvaguardia d’efficacia tanto della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (Tosap) e del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (Cosap) presuppone la loro rispettiva debenza, secondo la disciplina propria dell’uno e dell’altro istituto, puntualmente richiamata nelle sue coordinate normative.

In termini ancora più chiari, il citato art. 93 non obbliga i fornitori di reti di comunicazione elettronica a pagare la Tosap o il Cosap, ma fa salva la debenza di tali oneri, se e in quanto dovuti secondo le rispettive discipline; è quindi al D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 63 e non al D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 93, che occorre mirare per verificare la debenza del canone in capo a Rai Way.

10. Il ricorrente rileva che, come ritenuto anche dalla Corte di Milano, il testo originario dell’art. 93 predetto era frutto di un errore, emendato dal D.Lgs. n. 70 del 2012, art. 68, comma 1, con l’aggiunta della lett. f) dianzi pretermessa. Il rinvio è stato così operato a tutte le ipotesi considerate dalla predetta lett. f).

L’art. 93, u.c., è stato interpretato dalla Corte milanese come affetto da “errore del legislatore” per non aver inizialmente previsto il richiamo alle modalità di calcolo del Cosap di cui al del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 63, comma 2, lett. f), ma solo alla lett. e), errore successivamente corretto con il D.Lgs. n. 70 del 2012, art. 68, comma 1.

Su tale presupposto la Corte di appello ha ritenuto di accogliere l’appello incidentale di Rai Way e ha così stabilito che la misura dovuta del canone era quella fissa di Euro 516,46 ai sensi dell’art. 63, comma, lett. f), n. 3, respingendo la tesi sostenuta da Rai Way, ritenuta pretestuosa, che escludeva la debenza del Cosap per via dell’unico riferimento contenuto nella norma alle agevolazioni di cui alla lett. e).

Può anche dubitarsi della correttezza dell’interpretazione della Corte milanese, laddove essa ha ritenuto l’esistenza di un “errore del legislatore” e ha applicato retroattivamente il testo dell’art. 93, come emendato nel 2012 e inclusivo del richiamo anche dell’art. 63, comma 2, lett. f).

Resta il fatto che tale statuizione non è stata impugnata da nessuna delle parti in lite e, per quel che rileva, neppure da Rai Way, che semmai avrebbe avuto interesse a sostenere la tesi dell’unicità del richiamo di salvaguardia alla sola lett. e) nel D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 93, nel testo ratione temporis applicabile.

In effetti la prima stesura della norma, lungi dal suffragare le tesi dell’appellante, le deprimerebbe ulteriormente, consentendo l’imposizione del Cosap agli operatori fornitori di reti di comunicazione elettronica solo in relazione a “speciali agevolazioni per occupazioni ritenute di particolare interesse pubblico e, in particolare, per quelle aventi finalità politiche ed istituzionali”.

La Corte osserva che il testo originario dell’art. 93 predetto, prima di essere modificato dal D.Lgs. n. 70 del 2012, art. 68,comma 1, con l’aggiunta della lett. f) dianzi pretermessa, non conteneva inizialmente il richiamo alle modalità di calcolo del Cosap di cui alla lett. f) del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 63, comma 2, ma solo a quelle della lettera e) (“speciali agevolazioni per occupazioni ritenute di particolare interesse pubblico e, in particolare, per quelle aventi finalità politiche ed istituzionali”).

Quindi, delle due l’una: o l’art. 93 nel testo originario, in vigore sino al 2012 e applicabile al rapporto de quo, non richiamava affatto le ipotesi di cui alla lett. f), sicchè la sua evocazione da parte del ricorrente non assume rilievo; oppure, come appare preferibile, come ritenuto dalla Corte di appello di Milano e come sembra condividere lo stesso ricorrente, il mancato richiamo di salvaguardia era frutto di un mero errore di coordinamento legislativo, che non comprometteva la debenza del canone secondo le regole di cui alla lett. f), dell’art. 63, comma 2; quel che è certo è che il richiamo all’intera lettera f) non risolveva affatto il contrasto fra le due tesi in gioco circa l’entità del canone, visto che esse si richiamano a punti diversi della stessa lett. f) in questione.

Per completezza, la Corte ritiene di precisare che l’interpretazione corretta del testo dell’art. 93 in parola, prima dell’intervento correttivo del 2012 ad opera del D.Lgs. n. 70 del 2012, appare la seconda, poichè il richiamo della sola lett. e) del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 63, comma 2, non possedeva una valenza autonoma per la determinazione della tariffa applicabile; le “speciali agevolazioni per occupazioni ritenute di particolare interesse pubblico e, in particolare, per quelle aventi finalità politiche ed istituzionali” presuppongono pur sempre, quand’anche sussistenti (e non risulta essere il caso) il riferimento a una tariffa determinata in altro modo.

Appare quindi logico ritenere che anche prima dell’intervento correttivo praticato nel 2012, con l’introduzione del richiamo espresso alla lett. f), occorresse determinare la misura del canone Cosap per fornitori di reti di comunicazione elettronica con riferimento a tale lettera: fermo restando che l’anodino richiamo all’intera lett. f) non risolve di per sè il problema di quale punto della lett. f) occorra prendere in considerazione per il calcolo.

11. Il Comune ricorrente aggiunge che non era vero neppure che fosse ininfluente la possibilità di fruizione tramite Internet dei programmi Rai, poichè essa rende possibile, attraverso varie piattaforme e modalità, di espandere al massimo il bacino d’utenza.

Questa circostanza è del tutto ininfluente: Rai Way, secondo la ricostruzione fattuale insindacabile operata dal Giudice di merito e comunque non censurata, occupa il suolo pubblico con cavi che servono a trasmettere dati a Rai e non agli utenti radiotelevisivi, che ricevono le trasmissioni attraverso il segnale diffuso via etere.

E’ quindi irrilevante che Rai fornisca i propri prodotti non solo via etere ma anche attraverso Internet, visto che ciò non incide sulla natura e sulla funzione dell’occupazione dello spazio pubblico da parte di Rai Way.

12. Il Comune ricorrente sostiene che Rai Way doveva quindi pagare il canone nella misura di cui al n. 1 della lett. f), quale occupante di fatto e distributore del servizio, proclama l’irrilevanza del rapporto giuridico che abilita l’utente finale a ricevere il servizio e conferisce rilievo solo al fatto materiale dell’erogazione del servizio da parte del soggetto tenuto al pagamento.

Come già in precedenza esposto, non esistono rapporti giuridici fra Rai Way e gli utenti radiotelevisivi e comunque Rai Way con i propri cavi installati in suolo pubblico non si connette affatto agli utenti, quand’anche tali possano essere ritenuti i cittadini abbonati radiotelevisivi (nonostante la natura tributaria dell’importo da essi corrisposto alle casse erariali) ma trasmette i propri dati a Rai, che è l’unico soggetto servito dai cavi in questione e che nella logica che permea la disciplina in esame potrebbe essere ritenuta l’unico utente collegato.

L’art. 63, comma 2, lett. f), si riferisce alle occupazioni permanenti, realizzate con cavi, condutture, impianti o con qualsiasi altro manufatto sia dalle aziende di erogazione dei pubblici servizi, sia da quelle esercenti attività strumentali ai servizi medesimi, e prevede la determinazione forfettaria del canone Cosap.

Il numero 1) della predetta lett. f) prevede la commisurazione del canone al numero complessivo delle utenze moltiplicato per la misura unitaria di tariffa e presuppone la sussistenza di utenze allacciate ai cavi.

Il successivo n. 3) garantisce che in ogni caso (e quindi anche se il numero delle utenze raggiunte moltiplicato per il parametro tariffario raggiunge una cifra inferiore e pure se non esistono utenze raggiunte) l’ammontare complessivo dei canoni dovuti a ciascun comune o provincia non può essere inferiore a Euro 516,46.

Il secondo periodo del predetto n. 3 aggiunge che la medesima misura di canone annuo è dovuta complessivamente per le occupazioni permanenti effettuate dalle aziende esercenti attività strumentali ai pubblici servizi, nell’evidente presupposto che tali aziende, proprio perchè esercenti attività strumentali, non colleghino i loro cavi con le utenze private.

Tale disposizione non è priva di significato, come ha rettamente inteso la Corte territoriale; non vi era infatti alcun bisogno di estendere alle aziende esercenti attività strumentali ai pubblici servizi la previsione della misura minima del canone Cosap fissata dalla prima parte del n. 3, alla luce della previsione iniziale della lett. f), che equipara ai fini delle disposizioni in essa contenute le aziende direttamente erogatrici del servizio pubblico e le aziende che forniscono servizi strumentali al servizio pubblico.

Alla stregua di tale rilievo, la precisazione del secondo periodo del n. 3 assolve invece a un ben preciso scopo, e cioè quello di chiarire, a scanso di ogni dubbio, che le aziende che forniscono servizi strumentali, proprio perchè non hanno contatti diretti con l’utenza privata, sono assoggettate al Cosap in misura fissa.

13. Infine, il ricorrente osserva che nella denegata ipotesi, in cui il criterio di calcolo corretto per Rai Way fosse quello di cui al n. 3 della lett. f) in misura fissa, come statuito dalla sentenza impugnata, quel tributo dovrebbe aggiungersi a quello dovuto dalla Rai, commisurato al criterio forfettario per utenze a carico delle aziende erogatrici del servizio pubblico.

Il rilievo è ininfluente, sia perchè non apporta una critica al contenuto decisorio della sentenza impugnata, sia perchè comunque implica una statuizione estranea al contenuto del thema decidendum della controversia e che attiene, in prospettazione, a un credito, di diverso contenuto e diversa entità, verso un diverso soggetto.

14. In sintesi: la decisione della Corte territoriale appare corretta, dovendosi applicare il D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 63,comma 2, lett. f), n. 3, sia nella prospettiva della soglia minima del canone dovuto nel caso in cui il calcolo forfettario porti a una cifra inferiore ad Euro 516,46, sia nella concorrente prospettiva dell’applicazione a una azienda esercente attività strumentale rispetto al servizio pubblico.

15. Il ricorso deve essere rigettato, con la compensazione delle spese del giudizio, in considerazione dell’assoluta novità della questione trattata, priva di puntuali precedenti giurisprudenziali capaci di orientare le contrapposte difese al momento della presentazione del ricorso, in cui non era ancora stata emessa la citata sentenza 11550/2019.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso;

dichiara compensate le spese del giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 14 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019

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