Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17290 del 24/08/2016

Cassazione civile sez. I, 24/08/2016, (ud. 08/07/2016, dep. 24/08/2016), n.17290

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Consigliere –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25862-2011 proposto da:

B.M.C., (C.F. (OMISSIS)), V.F. (C.F.

(OMISSIS)), V.A. (C.F. (OMISSIS)), VE.AL.

(C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA ADRIANA

15, presso l’avvocato CLAUDIO DI PIETROPAOLO, che li rappresenta e

difende unitamente agli avvocati FRANCO MARIA GRASSELLI, RITA

BOGGIANI, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

BANCA FIDEURAM S.P.A., FIDEURAM INVESTIMENTI SOCIETA’ DI GESTIONE DEL

RISPARMIO S.P.A., in persona dei rispettivi legali rappresentanti

pro tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA PACUVIO 34,

presso l’avvocato GUIDO FRANCESCO ROMANELLI, che le rappresenta e

difende unitamente all’avvocato FABRIZIO BARBIERI, giusta procure in

calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1039/2010 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 21/09/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/07/2016 dal Consigliere Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato C. DI PIETROPAOLO che si riporta;

udito, per le controricorrenti, l’Avvocato L. ROMANELLI, con delega,

che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

RENZIS Luisa, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

B.M.C., V.A., Ve.Al. e V.F. agivano in giudizio nei confronti della Banca Fideuram s.p.a. e di Fideuram Investimenti – società di gestione del risparmio s.p.a. (in prosieguo, SGR), in relazione al contratto di gestione di portafogli di investimento sottoscritto da Ve.Al., Ve.Ar. e dal coniuge B.M.C. per il tramite del promotore finanziario N.P.G., trattato effettivamente nell’agosto del 2000 dal solo Ve.Ar., deceduto l'(OMISSIS), e di cui erano eredi la moglie ed i figli A., Al. e F..

Gli attori chiedevano la declaratoria di nullità o inesistenza del contratto per effetto della violazione di normativa primaria e secondaria, con condanna delle convenute in via diretta e/o solidale (ex art. 31 TUF), in alternativa e/o in via solidale, alla restituzione delle prestazioni effettuate dagli attori nonchè al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non, oltre accessori; in subordine, facevano valere l’inadempimento alla normativa primaria e secondaria, il grave inadempimento contrattuale, da cui la condanna delle convenute ai danni, oltre accessori; in via, ulteriormente subordinata, chiedevano la declaratoria di inadempimento all’obbligo di risultato relativo al raggiungimento del benchmark, concordato e dichiarato da Banca Fideuram, con condanna al risarcimento dei danno, nella misura della perdita subita più il rendimento del benchmark indicato agli investitori nel periodo dell’investimento (gli attori avevano esercitato il recesso dai contratto).

Le convenute si costituivano – e contestavano la fondatezza delle domande.

La causa veniva istruita coi solo espletamento della prova testimoniale ammessa, ed il Tribunale di Reggio Emilia, con la sentenza depositata il 2V10/06, respingeva tutte le domande attoree, con condanna alle spese.

La Corte d’appello, con la sentenza depositata il 21/9/2010, ha accolto l’appello limitatamente alla condanna alle spese del primo grado, disponendone la compensazione, rigettando nel resto il gravame, ed ha compensato le spese del secondo grado.

La Corte del merito, nello specifico:

ha ritenuto utilizzabili i duplicati dei doc. 2-14 delle appellate, dei quali le appellanti, in sede di precisazione delle conclusioni, avevano chiesto l’accettazione in sostituzione degli originali irrintracciabili presso il Tribunale di Reggio Emilia, non essendo stata contestata dalla controparte nelle memorie conclusive la corrispondenza delle copie prodotte agli originali; ha condiviso l’orientamento secondo cui l’adeguatezza dell’informazione dell’intermediario finanziario all’investitore ex art. 28, comma 2 Reg Consob 11522/1998 va rapportata al profilo dell’investitore ed ha osservato a riguardo che nella specie si trattava del legale rappresentante di varie società di dimensioni economiche tali da consentirgli di programmare investimenti finanziari per 5 miliardi di Lire, da cui l’inverosimiglianza dell’asserita sottoscrizione del mandato di gestione nella sostanziale inconsapevolezza della sua reale portata;

Ha rilevato che, com’era incontestato, la trattativa si era svolta col solo Ve.Ar., al quale apparteneva la provvista, e che doveva presuntivamente ritenersi avere agito anche per gli altri, per cui la finale cointestazione alla moglie ed al figlio non aveva imposto all’intermediario alcun obbligo di trattativa nei confronti degli altri cointestatari, i quali, accettando la cointestazione con la sottoscrizione del contratto, avevano ratificato l’attività decisionale di Ve.Ar. e fatte proprie tutte le informazioni da questi ricevute, così come la consegna del contratto e del documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari;

ha ritenuto che l’assolvimento dell’onere di avere agito con la specifica diligenza richiesto ex art. 23, u.c. TUF può risultare anche dai documenti prodotti dall’investitore, soprattutto se contenenti clausole a contenuto specifico e che, nel caso, Ve.Ar. aveva rilasciato dichiarazione sottoscritta di ricezione del Documento sui rischi degli investimenti in generale, e per gli altri intestatari la lettera di mandato riportava analoga dichiarazione di presa visione e di ricezione del documento.

Ritenuto il perfezionamento del contratto cosi come risultante dalla lettera di mandato, la Corte d’appello, passando alla specifica valutazione dei numerosi motivi d’appello, quanto alle informazioni nella fase precontrattuale, ha osservato che la “proposta personalizzata di investimento” del 21/8/00 indicava: il non contestato obiettivo del cliente di accumulo, a dicembre 2007, di un patrimonio ai circa 9,25 miliardi di Lire e la probabilità di raggiungimento dell’obiettivo nel 911%, con la specificazione che si trattava di previsioni di andamento rei mercati che potevano anche non realizzarsi; che l’investimento comprendeva la componente monetaria/obbligazionaria, ma anche una forte componente azionaria”, in ragione dell’obiettivo di lungo periodo del cliente e dei suoi obiettivi molto ambiziosi; che v’era la diversificazione tra i diversi mercati domestici e quelli internazionali; che la nota si basava “sulle previsioni di andamento dei mercati” e non costituiva “garanzia di rendimento futuro”.

Sulla base di detti rilievi ed avuto riguardo al contenuto specifico del contratto, il giudice di merito:

ha escluso la prestazione di garanzia non solo del raggiungimento dell’obiettivo dell’investimento, ma persino dei mantenimento del capitale investito;

ha ritenuto che il contratto descriveva le effettive caratteristiche ed il grado di rischio delle linee di gestione prescelte (v lettera di mandato e punti 5.3, 5.4 e 5.5. delle condizioni generali di contratto, ove si dava atto che l’allora Fideuram Gestioni patrimoniali sim avrebbe investito in “azioni della SICAV multicompartimentale Interfund”, società di investimento a capitale variabile lussemburghese), osservando come, nell’ambito di una gestione assolutamente flessibile, con facoltà per l’Intermediario di spaziare tra i 15 variegati camparti di cui si componeva detta società, non era possibile esplicitare alcun grado, percentale, a quantitativa, di rischio della gestione, dovendosi sempre ritenere che Ve.Ar., per la professionalità e l’entità dell’investimento, fosse in grado di comprendere le differenze di rischiosità dei vari strumenti finanziari, descritte espressamente, nel documento rischi;

ha concluso nei senso che il parametro oggettivo di riferimento, il benchmark, avente ad oggetto “l’indice di capitalizzazione lordo riferito a BOT negoziati tra operatori professionali, nel Mercato Telematico dei Titoli di Stato” non poteva deporre per la bassa propensione al rischio dell’investitore o per delimitare l’ambito di operatività del gestore, che avrebbe potuto investire solo in titoli di Stato” atteso che detto parametro è imposto dall’art. 42 Reg. Consob unicamente per fornire al cliente la possibilità di confrontare le performance di portafoglio rispetto all’andamento del mercato, ed era del resto indicato al netto dell’aliquota del 12,50% ed aumentato, al fine di risultare coerente con i rischi della gestione, di una Misura determinata per ciascun contratto (nel caso, 2,7 %). Quanto all’adeguatezza dell’operazione a cui era tenuto l’intermediario, ex art. 29 Reg. Consob, pur in presenza del rifiuto degli investitori di fornire informazioni sulla propensione al rischio, la Corte bolognese:

ha ritenuto non particolarmente valorizzabili gli investimenti in strumenti finanziari ricavabili dagli estratti dei c/c intrattenuto dal VE. con la Banca popolare di VERONA e NOVARA, dal quale era stato tratto l’assegno utilizzato per la provvista dell’Investimento, ma rilevanti le condizioni soggettive per cui Ve.Ar. non poteva ritenersi paragonabile ad un piccolo risparmiatore, pur non potendosi attribuire allo stesso la qualifica di operatore qualificato (e v. dichiarazioni e firme dei mandanti bella lettera di mandato; – ha considerato che il Ve. aveva ricevuto, nel corso dei rapporto, quanto meno le, informative supplementari sulla composizione del portafoglio, sulle modifiche apportate a questo, sul rendimento, e tuttavia, nonostante l’andamento negativo registrato sin dall’inizio della gestione ed il significativo aumento della componente azionaria, portata dal 40 al 60% dopo solo tre mesi, non era intervenuto per porre limitazioni al gestore, pur dovendosi considerare il peggioramento delle sue condizioni di salute, verificatosi peraltro nel (OMISSIS), dopo oltre un anno e mezzo dalla sottoscrizione del contratto (agosto 2000).

Quanto ai motivi d’appello basati sulla dedotta responsabilità per mala gestio, il Giudice del merito ha escluso che l’inversione dell’onere della prova ex art. 23 TUF potesse incidere sull’onere di allegazione in relazione a detta domanda, ed ha rilevato che gli appellanti non avevano specificamente indicato i comportamenti asseritamente contrari alla diligenza del mandatario, nè a riugardo era sufficiente l’unica deduzione specifica, ovvero l’aumento della componente azionaria dal 40 al 60%, in considerazione della durata dell’obiettivo di investimento di 7 anni, a fronte dell’oggettiva caduta dei mercati finanziari negli anni in oggetto seguita dal notorio successivo rialzo quanto meno sino al 2007, epoca di scadenza dell’obiettivo di investimento. Ha ritenuto tardiva la deduzione del conflitto di interessi, e comunque infondata, stante l’art. 6.1 delle Condizioni generali e la stessa lettera di mandato.

Ha disatteso la tesi della non consapevolezza dell’investitore del diritto di recesso, contenute al punto 2.3 delle condizioni generali di contratto, richiamato tra le clausole specificamente approvate per iscritto nella Lettera di mandato e qui presente, ed ha ritenuto irrilevante la questione della data del contratto, indicata come 25/08/00 nel contratto prodotto dalle appellate, mentre era stato lasciato in bianco il relativo spazio nel contratto depositato dagli originari attori.

Ha ritenuto infondati i motivi d’appello sui pretesi profili penali e sulla responsabilità penale in sede civile; ha rilevato che costituiva una mera affermazione generica ed ipotetica la violazione dell’obbligo di infornare il cliente per le perdite superiori al 30% del capitale (art. 28, comma 4, Reg. Consob), a fronte delle rendicontazioni periodiche in atti, rappresentative del mancato superamento di detta soglia.

Ha rilevato, infine che la dedotta nullità della delega gestoria era contraddetta dalla Lettera del contratto, che i comportamenti sanzionati dalla Banca d’Italia non consentivano di rapportare gli stessi alla vicenda in esame, ed ha considerato inammissibile ex art. 342 c.p.c. il motivo d’appello incentrato sulla ficta confessio delle controparti, basato sul mero rinvio alla memoria di riassunzione ed alle due conclusionali di primo grado.

Ricorrono avverso detta pronuncia B.M.C. ed altri, sulla base di quindici motivi.

Si difendono con controricorso la Banca e la SGR.

I ricorrenti hanno depositato la memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo i ricorrenti denunciano i vizi ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; deducono che le appellate hanno depositato una mera ricostruzione del fascicolo di parte, non previamente autorizzata dal Giudice; che le stesse avevano fatto riferimento allo smarrimento dell’intero fascicolo e non soloo dei documenti da 1 a 14 di avere eccepito l’irregolarità della ricostruzione del fascicolo all’udienza di precisazione delle conclusioni e reiterato l’eccezione in conclusionale; che si è trattato quindi di attinon formati nel contraddittorio, per cui non è pertinentte il rilievo della mancata contestazione dell’esatta corrispondenza dei detti documenti a quelli prodotti in causa.

2.1- Il motivo è infondato, in tutti i suoi profili.

Dalla stessa esposizione dei fatti di parte ricorrente e dai verbali versati in atti, risulta che all’udienza del 25/6/07, le appellate hanno depositato le copie dei documenti del fascicolo di parte, già depositati in copia, atteso lo smarrimento del fascicolo presso Tribunale, e che nessuna contestazione è stata sollevata dalla controparte sulla corrispondenza dei documenti prodotti con quelli già versati in atti in primo grado.

Ciò posto, a fronte della doglianza degli odierni ricorrenti della mancata previa autorizzazione alla ricostruzione del fascicolo, si deve rilevare che la Corte del merito ha inteso quale istanza di autorizzazione alla ricostruzione la richiesta, in sede di precisazione delle conclusioni, di depositare i documenti da 1 a 14, visto che non erano stati questi atti rintracciati presso il Tribunale, e, considerata la non contestazione degli appellanti della corrispondenza tra dette copie e quelle già prodotte, si è limitata a dare atto della ricostruzione del Fascicolo.

Nè si vede come potrebbe nel caso configurarsi la lesione del principio del contraddittorio, visto che non si tratta di produzioni di documenti nuovi, ma del semplice deposito degli atti già prodotti in copia e dei quali la controparte non aveva in primo grado contestato la conformità agli originali.

1.2.- Col secondo mezzo, i ricorrenti si dolgono dell’avere la Corte del merito valutato il rispetto degli obblighi informativi e l’adeguatezza dell’operazione solo nei confronti del Ve.Ar., mentre la cointestazione, ove pattuita la facoltà di agire disgiuntamente, può essere intesa come conferimento di reciproco mandato in relazione agli atti dispositivi sui beni o valori cointestati ma non per assolvere agli obblighi informativi;

l’adeguatezza dell’informazione va rapportata al rappresentato e non già al rappresentante; non sussistono nè intestazione fittizia o fiduciaria nè ratifica; i cointestatari erano contraenti a tutti gli effetti, da cui la violazione o falsa applicazione dell’art. 21 TUF, artt. 28 e 29 del Regolamento Consob 11522198, e degli artt. 1298 e 1399 c.c.

2.2.- il secondo motivo è sostanzialmente inammissibile.

Sul punto specifico, il Giudice del merito ha espresso il proprio convincimento basandosi su più rilievi: oltre a riconoscere a Ve.Ar. il ruolo di investitore “principale” e la sola finale cointestazione del contratto in capo alla moglie ed al figlio, con valenza di “ratifica” dell’attività decisionale e delle informazioni dal primo ricevute, la corte Bolognese ha ritenuto che l’intermediario puop’ assolvere all’onere informativo sullo stesso gravante anche a mezzo della produzione dei documenti contrattuali ricognitivi dell’assolvimento di detto onere, e ha a riguardo rilevato che tutti gli inteestatari, quindi anche B.C. e Ve.Al., avevano reso nella lettera di mandato la dichiarazione di avere non solo preso visione del documento sui rischi degli investimenti in generale, ma anche di averlo ricevuto, e che dal contratto sottoscritto si evidenziava la specifica indicazione degli aspetti informativi fondamentali, propri del rapporto di causa.

Ciò posto, si deve rilevare come il motivo di ricorso sia stato articolato sul presupposto della totrale assenza di informativa risp4etto ai cointestatari senza però confrontarsi con il secondo profilo evidenziato dalla Corte del merito e sopra riproposto.

Il motivo è pertanto inammissibile, in quanto non muove alcuna censura alla ratio decidendi indicata.

1.3 – col terzo mezzo, i ricorrenti sostengono che nel caso di rifiuto di fornire informazioni sulla propensione al rischio, deve considerarsi il rischio minimo; che la sentenza non ha considerato la mancata prestazione delle informazioni, ed ha dato dei fatti di causa un’erronea interpretazione; che, a fronte del mantenimento da parte di Ve.Ar. sul conto corrente di cifre rilevanti per circa due anni, si sarebbe dovuto ritenere provata l’inesistenza della propensione al rischio dell’investitore.

Denunciano che le condizioni di salute del V. erano gravi sin dal 1981, e si aggravarono proprio nel periodo in esame, e che quindi l’investitore era nell’oggettiva impossibilità di occuparsi dei rapporti con le controparti, mentre la sentenza trae conseguenze che nulla hanno a che vedere con detto gravissimo stato di salute.

A prova dell’assoluta avversione al rischio del Ve. i ricorrenti richiamano la deposizione del teste C., contestano che dalla testimonianza della teste G., indotta dalla controparte, potesse ricavarsi alcunchè sul profilo soggettivo dei clienti, censurano ulteriori punti significativi della sentenza, di cui alle pagine 32 e 33, e ribadiscono di non avere affatto, compreso Ve.Ar., un profilo di rischio speculativo, che la gestione era inadeguata e che le controparti hanno violatogli obblighi comportamentali ed informativi di legge.

1.4. col quarto mezzo, i ricorrenti sostengono che la corte del merito ha dato un’errata interpretazione della normativa sul benchmark; che il Regolamento consob 11522/99 prevede agli artt. 37, 38 e 42, obbligo per gli intermediari di indicare, sempre il benchmark, che, per disposizione di legge, è un Indice, – o una composizione di indici, che chiarisce al risparmiatore qual è l’identità del prodotto offerto qual è la valutazione di rischio di quel tipo di portafoglio, e dà un importante contributo alla trasparenza, misurando il rischio dell’investimento.

Deducono che detto indice non era presente nel contratto (qui vi era, solo il rinvio alle condizioni generali, mai sottoscritte dalle parti, con l’indicazione dell’aumento di 2,7 punti percentuali), ma nel documento consegnato nella fase precontrattuale “ad uso esclusivo del promotore” e nella comunicazione al Ve. dell’11/9/00 era indicato come “pari al rendimento dell’indice di capitalizzazione MTS riferito ai BOT, aumentato di 2,7 punti percentuali, ragione di anno; lo stesso rispecchiava l’intento del Ve. di impostare la gestione con un profilo di rischio molto basso e la Banca avrebbe dovuto investire solo in titoli di Stato, mentre i risultati della gestione cd. “contro bencbmark” – in cui la Banca ha assunto la garanzia di risultato, sono stati disastrosi.

E nella sentenza impugnata è stato travisato completamente il concetto del benchmark, nulla è stato detto sulla violazione dei termini concordati dalla gestione e sul profilo di rischio concordato; la Banca, ha garantito un risultato e l’indicazione della percentuale corretta rafforza la tesi del preciso impegno contrattuale.

I ricorrenti si dolgono altresì della valenza sostitutiva degli obblighi informativi, attribuita dalla Corte d’appello alla documentazione, che è invece contraddittoria, ad uso esclusivo del promotore, priva del riferimento alla tipologia degli strumenti finanziari oggetto della gestione.

2.4 i motivi terzo e quarto, strettamente collegati, vanno valutati unitariamente e sono da ritenersi fondati nei limiti e per gli argomenti di seguito esposti.

Prima di affrontare quello che può considerarsi il nucleo essenziale delle censure, non pouò evidenziarsi il carattere fluviale delle stesse, la reiterazione e la sovrapposizione in parte delle medesime, che, evidentemente, non sono propri della espositiva dei motivi del ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., ed a riguardo deve darsi atto dell’accurato e minuzioso esame delle argomentazioni del ricorso da parte delle controricorrenti).

Pur tuttavia, ritiene questa Carte che dalla molteplicità dei rilievi svolti nei due motivi siano sostanzialmente evincibili le censure ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 relative alla violazione degli obblighi informativi ed alla inadeguatezza delle operazioni di investimento rispetto al profilo dell’investitore ed alla sua propensione ai rischio, nonchè alla mancata indicazione del grado di rischio per ciascuna linea di gestione.

Su detti specifici profili,- in relazione ad una fattispecie assimilabile a quella di cui si tratta, si è di recente pronunciata questa Corte con la sentenza 8089/2016, rilevando dagli artt. 21 TUE e 28 del Regolamento Consob 11522/1998 è un obbligo “attivo”, composto da un contenuto oggettivo, caratterizzato da un nucleo di dati oggettivamente riferibile agli investimenti che si intendono proporre contrattualmente ed eseguire, ed uno soggettivo, che condiziona la valutazione. dell’assolvimento dell’obbligo, ma non lo esaurisce; che, pur condividendosi l’assunto della Corte d’appello, e quindi a ritenere l’assolvimento dell’obbligo informativo anche la forza del contenuto dei documenti contrattuali, nella specie l’art. 5 delle condizioni generali e la individuazione della leva finanziaria come corrispondente all’unità si palesano come mera indicazione del limite contrattuale, mancando in ogni caso il contenuto descrittivo informativo in ordine agli investimenti.

Scendendo alla verifica in concreto della conoscenza del grado di rischio degli investimenti, la sentenza citata, ha rilevato che l’indicazione del limite estremo del rischio connesso alla gestione può essere uno dei criteri della preventiva valutazione dell’adeguatezza ma è inidoneo ad integrare, isolatamente, l’obbligo di assumere le informazioni necessarie al fine di formulare proposte di investimento adeguate; che, in particolare, come prescritto dall’art. 42, comma 10, del Regolamento Consob 11522/98, da integrarsi con l’allegato 3 (Documento rischi), sub. lett. c), deve essere indicato per iscritto nei contratto quadro il grado di rischio di ciascuna linea di gestione patrimoniale che sono a riguardo erronee le argomentazioni della Corte d’appello portate a giustificazione dell’omissione di tale indicazione non vincolatività del precetto in quanto non contenuto nel TUF nè nel Regolamento Consob ma solo nel Documento Rischi generali; la dedotta impossibilità di fornire tale indicazione a fronte di una gestione, assolutamente flessibile, nella quale l’investitore poteva spaziare in 15 diversi comparti di cui si componeva la Sicav multicompartimentale Interfund, atteso che si fondano “su l’erronea equiparazione tra la descrizione delle gestioni e l’indicazione relativa ai grado di rischio di ciascuna linea di gestione, omettendo di considerare che la descrizione della natura giuridica degli investimenti (azionaria, obbligazionaria, con indicazione del mercato di riferimento) e della maggiore o minore sensibilità alla variazione dei tassi di interesse non contiene una diretta esplicitazione dei grado di rischio richiesta invece dal testo integrato dell’art. 42, con l’allegato 3 sub c)”.

E tale indicazione non era certamente ritraibile dal parametro oggettivo di riferimento (benchmark) che, come affermato nella sentenza impugnata, non costituisce un indicatore diretto del grado di rischio, nè dalla leva finanziaria.

Col quinto motivo, i ricorrenti si dolgono dell’avere la Corte del merito respinto la prospettazione della mala gestio da parte del promotore, e – ribadiscono che, quanto alle – scelte di investimento, il gestore ha investita in strumenti finanziari che nulla avevano che fare con il profilo di rischio scelto (benchmark), che la percentuale azionaria iniziale è aumentata dal 39% al 69%, generando ulteriori perdite, in violazione degli artt. 24 e 26 Reg. Consob, artt. 21 e 23 TUF, oltre che delle norme generali di cui agli artt. 1218, 1375 e 1176 fanno riferimento alla testimonianza della teste G., come confermativa delle deduzioni della parte; denunciano che la sentenza omette di analizzare l’inadempimento del gestore rispetto al benchmark pattuito (secondo la parte, si dovrebbe ritenere convenuta la cd. gestione contro benchmark).

I ricorrenti reiterano altresì nel motivo censure già svolte sugli obblighi infamativi nella fase precontrattuale.

2.5.= Il motivo deve ritenersi assorbito dall’accoglimento dei motivi terzo e quarto nei limiti sopra indicati.

1.6.- Col sesto mezzo, i ricorrenti denunciano che la sentenza impugnata omette di trattare, o tratta in modo apodittico, le violazioni delle norme di comportamento nella fase successiva alla conclusione del contratto, ex art. 21 TUF, artt. 1175, 1176, 1375 e 1218 c.c..

2.6.- Il motivo à sostanzialmente inammissibile.

La parte, del tutto contraddittoriamente e genericamente, si duole della mancata trattazione del profilo indicato, e nel contempo della motivazione apparente, apodittica, indimostrata, senza in alcun modo indicare quale fosse stata la specifica doglianza non esaminata a male esaminata ed in quali nei resta, la censura si limita a riportare passi delle pronunce delle S.U., 26725/2007, e della 1 sezione, 3773/2009.

l.7.- Col settimo, le ricorrenti denunciano la violazione dell’art. 26 Regolamento Consob, e affermano che il comportamento dell’intermediaria sarebbe stato finalizzato all’applicazione di “costi, oneri e commissioni”; sostengono che era esclusivo onere della controparte fornire la prova contraria rispetto a tutte le censure; quantificano il danno subito.

2.7.- Il motivo è inammissibile.

E’ nuova la censura rivolta all’intermediario, di avere adottato la pratica del churning; nel resto, la doglianza è del tutto generica e parte ripetitiva di quanto già fatto valere.

1.8.- Con l’ottavo motivo, le ricorrenti, denunciano i vizi ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 per la ritenuta inincidenza degli accertamenti e delle sanzioni Consob per carenze gestionali e di organizzazione.

2.8.- Il motivo è inammissibile, stante la carenza di decisività.

1.9. – col nono, deducono che il conflitto di interessi è stato fatto valere tempestivamente e non tardivamente e che le controparti non hanno rispettato l’art. 21 TUF e artt. 27 e 45 Regolamento Consob.

2.9.- Il motivo è infondato.

La Corte dei merito, dopo avere ritenuto corretta la statuizione di tardività sul punto resa dal Tribunale, ha valutato nel merito la doglianza, ritenendola infondata, visto che non solo l’art. 6.1 delle condizioni generali conteneva in grassetto l’avvertenza sul conflitto di interessi, ma che nella stessa lettera di mandato i sottoscrittori avevano dichiarato di avere “preso atto degli interessi di Fideuram Gestioni Patrimoniali e di Banca Fideuram” nonchè dei Promotori Finanziari nell’ambito del servizio oggetto del presente contratto – come meglio specificato al paragrafo 6 delle condizioni generali di contratto”, acconsentendo “espressamente a che l’investimento del patrimonio conferito avvenga” e che tale clausola era stata specificamente approvata per iscritto ex art. 1341 c.c. nella stessa lettera di mandato.

Le contestazioni delle ricorrenti in parte basate sulla contestazione dei documenti di cui al primo motivo, non sono pertanto idonee a scalfire i chiari e circostanziati rilievi della sentenza impugnata.

1-10– Col decimo, denunciano i vizi ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, ribadendo la violazione della forma scritta, sostenendo che il promotore ha solo firmato per identificazione personale non per l’accettazione del contratto, non aveva i poteri di rappresentanza, nè vale la produzione in giudizio del documento da parte delle appellate, perchè v’è stata revoca implicita del consenso con la proposizione dell’azione; le condizioni generali non sopno mai state sottoscritte, ed erroneamente la corte d’appello ha ritenuto la consegna di copia del contratto alle parti; è stato altresì violato l’obbligo della doppia sottoscrizione delle clausole vessatorie.

2.10.- il motivo è sostanzialmente infondato.

La Corte d’appello, quanto alla doglianza relativa alla inesistenza del contratto per la natura di mera proposta della lettera di mandato, ha rilevato che detto atto costituiva invece il contratto, avendo gli stessi appellanti affermato di avere ricevuto una proposta dal promotore finanziario, per cui la sottoscrizione della lettera di mandato costituiva accettazione (argomento utilizzato sub c) in sentenza, rilevando altresì che dalla scrittura coerentemente si esprime in termini di definizione propriamente contrattuale”.

E detta argomentazione supera ogni rilievo degli odierni ricorrenti sulla esistenza del contratto in forma scritta; quanto alle condizioni generali, la Corte d’appello dà atto che le stesse erano richiamate nella lettera di mandato, e che i sottoscrittori avevano ivi dichiarato la presa d’atto delle dette condizioni generali, provvedendo altresì alla specifica approvazione per iscritto di alcune clausole, specificamente individuate (specifica individuazione che invece non hanno effettuato nel motivo i ricorrenti e per tale profilo la doglianza è inammissibile per genericità).

1.11.- Con l’undicesimo, denunciano, la violazione dell’art. 30, comma 7 TUF, sulla clausola prevedente la facoltà di recesso.

1.12.- Con il dodicesimo, si dolgono della lesione dello jus poenitendi, ex art. 30, comma 6 TUF.

2.11.- i due motivi, valutarsi unitariamente in quanto strettamente collegati, sono inammissibili, per la totale carenza di decisività.

1.13.- Col tredicesimo, i ricorrenti si dolgono della mancata considerazione da parte del Giudice del merito dei “profili di rilevanza penale” e di “responsabilità penale in sede civile”.

1-14.- Col quattordicesimo, dei vizi ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione ai “profili di responsabilità penale”.

2.12- I due motivi, strettamente collegati, sono inammissibili. I ricorrenti, infatti, non si confrontano con la specifica motivazione resa a riguardo dalla Carte del merito alle pagine 40 e 41 della sentenza; è nuova la doglianza sul difetto organizzativo dell’intermediario.

l.15.- Col quindicesimo mezzo, i ricorrenti si dolgono dei vizi ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5in relazione a: 1) nullità della delega gestoria; 2) violazione dell’obbligo di informare per perdite superiori al 30%; 3) legittimazione passiva; 4 ficta confessio; 5) istanze istruttorie non ammesse; spese di lite.

2-15.- Il motivo presenta profili di inammissibilità ed infondatezza.

Premesso che il motivo è un vero e proprio florilegio di doglianze eterogenee, si deve rilevare che in ogni caso non si confronta con i rilievi e gli argomenti addotti dalla corte bolognese nel respingere nel merito le censure sopra indicate sub nn. 1 e 2); nel resto, è inammissibile per genericità la doglianza sub 4), non spiegando quali sarebbero le “ammissioni o mancate contestazioni così come sono inammissibili le censure sulla legittimazione passiva e sulle richieste istruttorie, per essere state le stesse ritenute assorbite dalla corte d’appello – pag. 43 (la parte, pertanto, potrà riproporle nel giudizio di rinvio); è assorbita la censura sulle spese di lite di primo grado.

3.1.- Conclusivamente, in accoglimento dei soli motivi terzo e quarto assorbito il quinto, inammissibili a infondati gli altri, va cassata la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e va rinviata la causa alla corte d’appello di Bologna in diversa composizione, che si atterrà a quanto sopra rilevato, ed alla quale si rinvia anche decisione sulle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte accoglie i motivi terzo e quarto del ricorso, dichiara assorbito il quinto, infondati o inammissibili gli ulteriori motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Bologna in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 8 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 24 agosto 2016

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