Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17289 del 24/08/2016

Cassazione civile sez. I, 24/08/2016, (ud. 24/06/2016, dep. 24/08/2016), n.17289

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERNABAI Renato – Presidente –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8568-2010 proposto da:

D.F.P., (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE DI VILLA PAMPHILI 33, presso l’avvocato LUIGI DE SANTIS,

rappresentato e difeso dall’avvocato DOMENICO CORVINO, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.D.N. S.P.A., EURIZON CAPITAL SGR S.P.A.;

– intimati –

Nonchè da:

BANCO DI NAPOLI S.P.A., (c.f. (OMISSIS)), già SANPAOLO BANCO DI

NAPOLI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, e

EURIZON CAPITAL SGR S.P.A. (c.f. (OMISSIS)), già SANPAOLO ASSET

MANAGEMENT SGR S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA E. Q. VISCONTI 20,

presso l’avvocato RENZO RISTUCCIA, che li rappresenta e difende,

giusta procure in calce al controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

D.F.P.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 833/2009 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 29/09/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/06/2016 dal Consigliere Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato D. CORVINO che si riporta;

udito, per i controricorrenti e ricorrenti incidentali, l’Avvocato A.

PETRONE, con delega orale, che ha chiesto l’accoglimento del proprio

ricorso e rigetto del ricorso principale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

incidentale, assorbito il ricorso principale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

In base al rito di cui al D.Lgs. n. 5 del 2003 D.F.P., con atto di citazione notificato il 7.10.2004 al Sanpaolo Banco di Napoli S.p.A. ed alla SGR Sanpaolo IMI Asset Management S.p.A., adiva il Tribunale di Salerno, premettendo di essere correntista del Sanpaolo S.p.A., filiale di (OMISSIS), poi Sanpaolo Banco di Napoli S.p.A., filiale (OMISSIS): di avere acquistato in varie fasi, tra il 2000 ed il 2001, anche mediante operazioni di switch, quote di fondi comuni del gruppo (Liquidità, Azioni Italia, Soluzione 4) gestite dalla SGR Sanpaolo IMI Asset Management S.p.A., per un importo complessivo di Euro 148.885,71; di non essere competente in materia finanziaria e di avere pertanto, siccome residente a New York, deciso di investire i propri risparmi in attività a basso rischio; di essersi accorto (nel 2003 al rientro in Italia) che alcune operazioni finanziarie, attuate tra il 2000 ed i 2001 (operazione di investimento unico afferente prelievo da conto corrente ed acquisto di quote del fondo Liquidità per Euro 77.468.00: operazioni di disinvestimento del fondo Liquidità e Soluzione 4 e reinvestimento nel fondo Sanpaolo Azioni Italia per Euro 142.17033; operazione di acquisto di quote del fondo Sanpaolo Azioni Italia per Euro 6.715,00), erano state eseguite dalla banca senza alcuna sua autorizzazione; di non avere dalla Banca ricevuto, relativamente a dette operazioni, soddisfacenti informative, in violazione dell’art. 119 TUB e art. 28, comma 4 Reg. Consob n. 11522/1998: di essere pertanto vittima dell’inadempimento, da parte della Banca e della SGR, agli obblighi di diligenza, correttezza e trasparenza, non avendo effettuato i dovuti controlli su moduli incompleti e di incerta provenienza. tanto da eseguire veri e propri ordini “fantasma”. Ciò premesso, il D.F. chiedeva all’adito Tribunale di Salerno che, una volta accertato il grave inadempimento consistito nell’arbitraria esecuzione delle operazioni suddette e nell’omesso controllo, fosse dichiarata la nullità ed inefficacia delle medesime operazioni, con la condanna delle convenute, ciascuna per quanto di ragione o in solido, alla restituzione del controvalore, oltre commissioni, spese, interessi e rivalutazione. in ogni caso con il risarcimento dei danni patiti. Si costituivano congiuntamente le convenute, chiedendo il rigetto della domanda, a loro parere oltretutto temeraria, in quanto le operazioni contestate erano state eseguite sulla base di regolari disposizioni sottoscritte dalla controparte e spedite a mezzo fax, cosi come consentito dal Regolamento Unico di gestione dei fondi comuni di investimento mobiliare Sanpaolo IMI Asset Management SGR.

Con sentenza n. 1796/06, pubblicata il 9.5.06, il Tribunale di Salerno:

– revocava il decreto di fissazione dell’udienza nella parte in cui dichiarava tardiva la notifica della comparsa di risposta;

– confermava il rigetto delle istanze istruttorie. vuoi perchè già documentate, vuoi perchè generiche, vuoi perchè vertenti su circostanze abbisognevoli di prova scritta, vuoi perchè relative a documentazione comunque acquisita agli atti di causa;

– disattendeva la premessa del D.F. sulla sua inesperienza nel settore finanziario, alla stregua dei pregressi e complessi rapporti proprio con la Banca e delle frequenti personali operazioni e richieste di chiarimenti da lui disposte;

– riscontrava la piena validità della trasmissione degli ordini a mezzo fax, in conformità alle norme che regolavano il rapporto;

– disattendeva la difesa del D.F. di violazione dell’art. 23 TUF (necessità di consegna di copia scritta del contratto). sia perchè nuova, sia perchè si trattava di norma riguardante i soli servizi di investimento, essendo esclusa per i servizi di collocamento ed accessori, anche in modalità di offerta fuori sede e a distanza;

– qualificava come disposto effettivamente dal D.F. l’acquisto delle quote del 19.12.2000. sulla base della condotta successiva dell’attore e soprattutto di un’operazione di switch del 15.1.2001. che si poteva eseguire solo sul presupposto dell’altra;

– qualificava come validamente disposte con fax del 15 e del 17 gennaio 2001 le operazioni di switch del 16 e 18 gennaio;

– qualificava come validamente disposto con disposizioni di suo pugno l’acquisto di quote del 2.8.2001:

– rilevava come la mancata contestazione delle note di conferma delle operazioni inviategli dalla Banca denotasse il pieno gradimento, da parte dell’attore, delle medesime;

– si esimeva dalla verifica dei calcoli, oltretutto esplicitati per la prima volta con tabella in comparsa conclusionale;

– rigettava pertanto la domanda e condannava il D.F. alle spese del giudizio.

Il D.F. proponeva appello contro questa sentenza, resistito dalla Sanpaolo Banco di Napoli S.p.A. anche nell’interesse di Eurizon Capital SGR S.p.a..

Con sentenza del 6.07-29.09.2009 la Corte di appello di Salerno, in accoglimento per quanto di ragione del gravame del D.F. ed in riforma dell’impugnata sentenza, dichiarato l’inadempimento delle società Sanpaolo Banco di Napoli S.p.A. e della SGR Sanpaolo IMI Asset Management S.p.A., nella gestione del contratto con il medesimo D.F., condannava tra loro in solido il Sanpaolo Banco di Napoli S.p.A. e l’Eurizon Capital SGR S.p.A. al pagamento, in favore dell’appellante la della somma di Euro 23.841,00. oltre rivalutazione (secondo gli indici ISTAT di cui in motivazione) dal 5.5.04 ed oltre interessi al tasso legale sulla stessa, via via annualmente rivalutata (secondo i medesimi indici) dalla stessa data, fino al soddisfo; 16) dei soli interessi al tasso legale sulle somme di Euro 77.468,00 e 6.715.00, via via annualmente rivalutate (secondo gli indici ISTAT di cui in motivazione) rispettivamente dal 20.12.00 e dal 2.8.01 fino al 5.5.04. da dette scadenze al soddisfo: 2.) dei due terzi delle spese di lite del doppio grado di giudizio, spese compensate per il rimanente terzo.

Per quanto ancora d’interesse, la Corte Salernitana osservava e riteneva che:

l’appello del D.F. era fondato solo in parte;

dovevano esaminarsi partitamente i motivi di appello riguardanti la regolarità dell’esecuzione di almeno sei ordini od operazioni sul mercato mobiliare da parte dell’intermediario. La violazione degli obblighi dell’intermediario, quali discendenti dalla legge o dal contratto-quadro, nello sviluppo del rapporto con l’investitore non dava luogo alla nullità dei singoli atti di esecuzione del contratto-quadro originario, comunque indispensabile per la validità stessa di quelli, ma all’imperfetto adempimento o all’inadempimento del secondo. Poteva quindi prendersi in considerazione soltanto la domanda subordinata del D.F. e, una volta acclarato l’inadempimento, non avendo lui instalo per la declaratoria di risoluzione del contratto-quadro a causa di quello – aveva diritto soltanto al risarcimento del danno patito. Orbene, in materia di contratti di intermediazione finanziaria. allorchè fosse risultato necessario accertare la responsabilità contrattuale per danni subiti dall’investitore, andava appurato se l’intermediario avesse diligentemente adempiuto alle obbligazioni scaturenti dal contratto di negoziazione nonchè, in ogni caso, a tutte quelle obbligazioni specificamente poste a suo carico dal D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (T.U.F.) e prima ancora dal D.Lgs. 23 luglio 1996. n. 415, nonchè dalla normativa secondaria, risultando, quindi, cosi disciplinato. il riparto dell’onere della prova: l’investitore doveva allegare l’inadempimento delle citate obbligazioni da parte dell’intermediario, nonchè fornire la prova del danno e del nesso di causalità fra questo e l’inadempimento, anche sulla base di presunzioni, l’intermediario. a sua volta, doveva provare l’avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico. allegate come inadempiute dalla controparte, e, sotto il profilo soggettivo, di avere agito “con la specifica diligenza richiesta”. Tutto ciò posto in ordine alla ricostruzione dei principi generali applicabili alla fattispecie, la peculiarità di quest’ultima – da un punto di vista processuale – stava in ciò, che le appellate, costituendosi in secondo grado non avevano ridepositato i documenti prodotti nel precedente grado di giudizio, sulla cui disamina il Tribunale aveva fondato la reiezione della domanda attorca: dal canto suo, l’appellante si era limitato a depositare nuovamente i documenti versati originariamente in primo grado. Ciò nonostante. sulla base delle concordi affermazioni delle parti, le operazioni contestate potevano ricostruirsi come appresso: – investimento in quote del fondo “Liquidità” del 20.12.00 per Euro 77.468.00, derivante da un prelevamento dal c/c (OMISSIS): tre operazioni di switch del 16 e del 18 gennaio 2001, con disinvestimento di quote dei fondi “Liquidità” e “Soluzione 4” con contestuale duplice reinvestimento nel fondo “Azioni Italia”, per Euro 142.170.73; – di investimento del 2.8.01, con prelevamento dal c/c (OMISSIS) ed acquisto di quote del fondo “Azioni Italia” per Euro 6.715,00. Di tali operazioni risultavano versati dal solo attore i documenti relativi al gruppo delle tre centrali, vale a dire le domande di disinvestimento di quote dei fondi “liquidità” (una prima, per 12.370,318 quote, modulo n. 4.599.292 09 del 16.1.01; una seconda, per 8.700 quote modulo n. 6294932 07 della stessa data) e “Soluzione 4″ (per 2.087 quote. modulo n. 6294938 00 del 18.1.01) nonchè i contestuali reinvestimenti nel fondo – Azioni Italia” (modelli recanti numeri di operazione (OMISSIS)), per un asserito valore finale di Euro 142.170,73. Nessuno di tali documenti recava peraltro la sottoscrizione dell’ordinante ed anzi quest’ultimo negava di averla mai apposta. Mancavano però dagli atti quasi tutti i documenti cui si era riferito il Tribunale e che le appellate invece presupponevano, avendo prescelto di non ridepositarc il relativo fascicolo di parte; in particolare (e tra l’altro), pur facendovi le appellate espresso riferimento nella comparsa di costituzione al fine di confutare l’avverso gravame. non si avevano a disposizione: – la memoria conclusionale in primo grado delle odierne appellate, nelle quali esse si erano dolute del carattere nuovo della deduzione che le operazioni fossero state ad insaputa del D.F. e comunque inadeguate secondo la vigente normativa; – il Regolamento generale che avrebbe consentito la modalità di trasmissione anche a mezzo fax dei singoli ordini; – il contratto -quadro intercorso tra le parti in data 1.8.97; – i fax contenenti gli ordini del 16 e del 18 gennaio 2001; – la documentazione sull’ordine del 2.8.01; – la prova della spedizione delle note informative al recapito statunitense del D.F.. Tale carenza rendeva impossibile. prima di ogni altra cosa, provare la tempestività dell’eccezione di novità delle argomentazioni o causae petendi obiettivamente diverse da quelle contenute nell’atto di citazione, visto che, per il regime di cui al D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, art. 10, comma 2, era onere della controparte reagire avverso la violazione delle preclusioni e soprattutto era suo onere farlo entro la prima difesa successiva; ma la carenza di tale difesa impediva di valutare se realmente le convenute in primo grado si fossero dolute della ricordata novità. La stessa carenza rendeva peraltro, più radicalmente sfornita di prova anche la tesi della sussistenza di ordini riferibili al D.F. a fronte delle operazioni contestate e soprattutto della loro validità in conformità alla regolamentazione contrattuale o normativa del rapporto. Spettava, per la vista ricostruzione della fattispecie come inadempimento delle obbligazioni facenti capo all’intermediario a quest’ultimo la prova del rispetto delle forme previste per legge o per contratto al fine della stessa sussistenza o almeno della validità degli ordini via via impartiti e per i quali era causa: mancavano in primo luogo i fax – oltretutto disconosciuti dal D.F. – addotti dalle appellate a fondamento della loro eccezione di applicazione delle modalità disciplinate dalle condizioni generali, nonchè tutti gli altri documenti a sostegno della riconducibilità all’odierno appellante di ognuno dei detti ordini, tra cui gli elementi su cui fondare la sussistenza di validi ordini in forma diversa. Tale carenza rendeva irrilevante la prova offerta dall’appellante, che non ne era onerato, sulla mancanza di una sua particolare esperienza o competenza idonea a classificarlo come operatore qualificato perchè tale circostanza – della cui prova oltretutto era onerata la controparte – non poteva desumersi da elementi estrinseci di mero fatto o da una serie di condotte; al contrario, di fronte al disposto chiaro ed univoco della normativa secondaria vigente sul punto, si esigeva una persona fisica che dichiarasse espressamente particolare competenza ed esperienza ed al contempo la sussistenza dei requisiti di professionalità stabiliti per i soggetti che svolgevano funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso società di intermediazione mobiliare (art. 31, comma 2, Reg. CONSOB 11522/98): e non vi era prova nè della dichiarazione. nè di tali requisiti. Sul punto la banca intermediaria, prima di effettuare le operazioni anche conformemente agli ordini ricevuti, aveva l’obbligo di fornire all’investitore un’informazione adeguata in concreto, tale cioè da soddisfare le specifiche esigenze del singolo rapporto, in relazione alle caratteristiche personali e alla situazione finanziaria del cliente. e, a fronte di un’operazione non adeguata, poteva darvi corso soltanto a seguito di un ordine impartito per iscritto dall’investitore in cui fosse fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute; ed all’operatività di detta regola – applicabile anche ed appunto quando il servizio fornito dall’intermediario fosse consistito nell’esecuzione di ordini – non era di ostacolo neppure il fatto che il cliente avesse in precedenza effettuato altre operazioni a rischio. tanto non bastando a renderlo operatore qualificato ai sensi della normativa regolamentare dettata dalla Consob. Non solo la mancanza della prova della pattuizione di una forma più agile o applicabile ad un cliente di cui si desse la prova della particolare competenza od esperienza, ma a ben vedere anche la carenza di qualsiasi prova sull’esistenza di una qualunque forma di consenso del cliente ridondavano quindi a danno non già dell’investitore, ma delle odierne appellate e non potevano dirsi valide ed efficaci nei loro rapporti le operazioni per le quali era causa. Neppure vi era prova della sottoposizione al cliente delle particolari informative indispensabili dinanzi alla – non adeguatezza” delle operazioni di reinvestimento al profilo di quegli, esplicitata perfino nei moduli di domanda in atti. Le operazioni contestate consistevano: nell’acquisto, previo prelevamento da c/c, di quote per (OMISSIS): in tre operazioni del 16 e 18 gennaio 2001 – “switch” – per un controvalore complessivo di Euro 142.170,73, di disinvestimento su Fondi preesistenti e contestuale reinvestimento in altri per pari importo. Per quelle del (OMISSIS) era poi indicata con evidenza, nello stesso modulo prodotto dall’investitore fin dal primo grado, la “non adeguatezza” dell’operazione. Ora, la forma scritta necessaria per il contratto – quadro, che si desumeva con certezza dall’art. 23, comma 1 T.U.F. (D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, “Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi della L. 6 febbraio 1996, n. 52, artt. 8 e 21”), non si estendeva ai “servizi accessori”, come accennato anche dai primi giudici: ma, a parte il dubbio che entro tale definizione potessero ricondursi tutti i singoli ordini di acquisto/vendita o di investimento/disinvestimento successivi (che, più che accessori, erano proprio l’oggetto principale del contratto quadro), la forma scritta era ripristinata per le “operazioni non adeguate” ai sensi dell’art. 29 del Regolamento Consob n. 11522 del giorno 1.7.88 (adottato in attuazione del medesimo T.U.F.). Dinanzi a questa restaurata necessità, le appellate avrebbero dovuto fornire la prova dell’ordine scritto con la menzione dell’avviso al cliente investitore della non adeguatezza, menzione oltretutto che non si risolveva in una mera dicitura priva di concreta specificazione del significato dell’avvertimento, nonchè della successiva conferma dell’ordine, firmata dal cliente stesso, nonostante l’avvertimento medesimo. Anche in tal caso la carenza della produzione del Fascicolo di primo grado privava di qualunque supporto probatorio la tesi delle appellate sulla sussistenza della necessaria forma scritta: e non poteva sostenersi la validità delle operazioni del 16 e 18 gennaio 2001. La forma scritta non poteva mancare, peraltro. nemmeno per le altre due operazioni: ma, a ben vedere, nessuna documentazione. relativa ad ordini verbali confermati o scritti anche solo a mezzo fax, si ravvisava per la prima, cioè per l’acquisto per contanti di quote del fondo “Liquidità- del 20.12.00: lo stesso Tribunale aveva ritenuto di poter provare la circostanza deducendola dai successivi ordini del 16 e del 18 gennaio ‘01, che evidentemente presupponevano la precedente operazione, ma il ragionamento era scorretto. Infatti, non poteva rilevare a convalidare la carenza di ordine a forma vincolata un’operazione successiva. quando anch’essa fosse stata – come in effetti era nel caso di specie – radicalmente contestata e fosse manata la prova della sua validità; e non poteva ritenersi valida l’operazione del 20.12.00. Quanto all’operazione del 2.8.01, infine, le appellate deducevano che esisteva un ordine scritto di pugno del D.F., ma vi facevano riferimento come prodotto nel fascicolo di primo grado: e. questo mancando integralmente, la relativa prova mancava ed il loro assunto sull’esistenza di un valido ordine andava disatteso, con accoglimento della doglianza della loro controparte anche in ordine a tale profilo. Nè poteva validamente sostenersi la legittimità di una forma diversa da quella scritta, mediante il richiamo all’art. 31, comma 2 Regolamento Consob n. 11522/88: a parte qualunque dubbio sulla riconducibilità di una qualunque persona fisica al concetto di operatore qualificato disegnato da tale norma, il possesso della relativa qualità personale presupponeva alternativamente o la dichiarazione in tal senso da parte dell’interessato (che aveva, secondo la Suprema Corte, la funzione di esonerare da altre indagini o accertamenti l’intermediario: Cass. 26.5.09 n. 12138) o la prova positiva di un’esperienza e competenza particolari, quali non si desumevano da alcuno degli atti di causa, vista la carenza del fascicolo di parte delle appellate. La prova contraria di cui pure si era fatto carico l’appellante era quindi irrilevante ed era per questo motivo che non andava ammessa, visto che ad analoga conclusione si poteva giungere in applicazione del criterio formale dell’art. 2697 c.c. e naturalmente essendo della relativa prova onerato l’intermediario, a cui giovava la maggiore agilità di forme consentita a guisa di eccezione. In definitiva, non vi era prova di un valido ordine per nessuna delle operazioni per cui era causa. La domanda del D.F. era quindi fondata in ordine alla sussistenza di inadempimento delle controparti relativo alla forma degli ordini di disinvestimento e di acquisto per cui era causa: ma, pur non potendo essi avere effetto nei confronti del cliente, occorreva valutare se vi fosse prova del danno che ne era derivato a quest’ultimo. In particolare, non era provato dal D.F. che il reinvestimento delle operazioni irregolari. consistente nell’acquisto di quote (totali n. 4.013.152) del fondo di investimento denominato “Azioni Italia”, gli fosse costato complessivi Euro 148.885,73: nè vi era traccia alcuna della circostanza di un disinvestimento finale avvenuto il 5.5.04 per un controvatore di Euro 106.725.76. Peraltro, entrambe le circostanze potevano dirsi provate ovvero non contestate.

I fatti storici dedotti dedotti dal D.F. erano quindi provati anche in ordine alla differenza dei valori del coacervo iniziale delle operazioni irregolari e di quello finale al momento del disinvestimento: e poteva rilevarsi come altrettanto indiscussa fosse la percentuale di perdita, ricavabile dal raffronto tra i due capitali. quello via via investito e quello ottenuto alla fine, vale a dire 106.725,76/148.885.73 – 28.32%. Spettava peraltro al D.F. la prova del nesso causale tra detta differenza e l’inadempimento: ed al riguardo potevano certamente soccorrere le presunzioni. Del resto, la prova di tale nesso causale era evidente per la perdita di valore del denaro contante prelevato direttamente dal conto corrente, relativo cioè alla prima ed all’ultima delle operazioni suddette, per Euro 77.468,00 ed Euro 6.715,00: vista la notoria naturale fruttuosità del denaro depositato in banca o comunque la sussistenza, quanto ai depositi ordinari, del principio nominalistico. in base alla quale il cliente non avrebbe mai potuto subire la decurtazione in valore assoluto del capitale depositato. Se il denaro fosse restato depositato. insomma, certamente non avrebbe perso il 28,32% ed anzi non avrebbe, di per sè, perso proprio alcuna parte del suo valore nominale. Diverso discorso andava fatto però quanto alle operazioni di “switch”, per la parte non finanziata con il ricavato dell’operazione di acquisto quote in data 20.12.00 ed il prelevamento per contanti del 2.8.01 (ed in parte evidentemente con altra fonte, l’accertamento della quale comunque restava irrilevante, attese le prospettazioni e le allegazioni del cliente): valeva dire per un importo pari al totale dell’investimento in quote “Azioni Italia” (Euro 148.885.73). diminuito degli acquisti per prelevamenti per contanti dal c/c del cliente (Euro 77.468 ed Euro 6.715), cioè per Euro 64.702,73. Per tale operazione finanziaria (di sostituzione di valori mobiliari a rischio con altri valori mobiliari a rischio) non vi era prova che il valore delle quote dei fondi “Soluzione 4” e “Liquidità” disinvestite sarebbe stato maggiore al 5.5.04 di quello raggiunto in negativo dalle quote del fondo “Azioni Italia”. Al riguardo, era indispensabile la prova del diverso andamento e dell’eventuale diverso e minore deprezzamento delle quote dei differenti fondi originari: potendosi – in mancanza di tanto – ascrivere la perdita di valore all’andamento generale dei mercati e quindi all’accettazione della relativa alea da parte del D.F.. Egli, benchè non classificabile come operatore qualificato. aveva comunque, investendo in titoli mobiliari, anche accettato il rischio delle relative oscillazioni e non dato prova del fatto che minore era stata l’oscillazione dei fondi sui quali giacevano le sue disponibilità invece reinvestite con le irregolari operazioni del 16 e 18 gennaio 2001 e 2 agosto 2001; mentre invece gli incombeva provare che, senza l’irregolare operazione di “switch”, il valore del suo patrimonio non si sarebbe deprezzato nella misura in cui in concreto ciò era avvenuto: e tanto soprattutto dinanzi al fatto notorio delle notevoli flessioni dei mercati finanziari subito dopo gli eventi del giorno 11 settembre 2001. In mancanza di tale prova e quanto ad Euro 64.702,73, non poteva allora dirsi provato che la perdita di valore su tale somma fosse ascrivibile al pure più su riscontrato inadempimento dell’intermediario. Di tale perdita di valore rispondevano invece gli intermediari quanto alle somme prelevate dalle disponibilità liquide dei conti correnti, vale a dire per Euro (77.468.00 + 6.715,00 84.183, essendo evidente la naturale fruttuosità del denaro depositato presso un esercente professionale del credito. Applicando a tale importo la percentuale di perdita ricavata come sopra cioè il 28,32%. la diminuzione patrimoniale patita dal D.F. per le irregolari operazioni di investimento su prelevamento in contanti si adeguava, con una valutazione da intendersi se del caso anche soltanto equitativa, ad Euro 23.841,00 in c.t.; la diminuzione stessa era divenuta palese al momento del disinvestimento e cioè il 5.5.04, sicchè da tale data sulla stessa somma sarebbero spettate sia la rivalutazione secondo gli indici FOI elaborati dall’ISTAT (che sembravano corrispondere ad un adeguato parametro anche equitativo, in carenza di qualifica imprenditoriale del danneggiato), sia gli interessi al tasso legale sulla somma stessa, via via annualmente rivalutata dal 5.5.04 al soddisfo effettivo. Come separata voce di danno, infine, non poteva dimenticarsi che per la mancata disponibilità dell’importo originario di Euro 84.183, il D.F. aveva patito anche la mancata percezione di interessi sulla stessa somma almeno fino a quando egli non l’aveva recuperata, sia pure con la vistosa perdita suddetta e cioè fino al 5.5.04: ed allora egli aveva diritto al ristoro del relativo danno, in ragione degli interessi legali fino al soddisfo sulle somme di Euro 77.468 e di Euro 6.715, via via rivalutate annualmente secondo gli indici FOI elaborati dall’ISTAT rispettivamente dal 20.12.00 e dal 2.8.01 a detta ultima data.

Avverso questa sentenza il D.F. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi e notificato il 24.03.2010 alla Consob. che non ha svolto difese, nonchè al Banco di Napoli S.p.A. ed all’Eurizon Capital SGR S.p.A. che il 30.04.2010 hanno resistito con controricorso e proposto ricorso incidentale fondato su tre motivi, illustrati da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

A sostegno del ricorso principale il D.F. si duole della limitata misura dell’accordato risarcimento e denunzia:

1. “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto: in relazione ai criteri di diligenza e vigile affidamento imposti dalla legge, correlativamente al disposto dell’art. 2043 c.c. e art. 29 reg. CONSOB n. 11522 del 1.7.88 -, con riguardo al riscontrato difetto di prova del danno patrimoniale derivato dalle operazioni di Switch per la parte del reinvestimento nel fondo “Azioni Italia – finanziata con le risorse tratte da precedente disinvestimento di preesistenti Fondi.

2. “Falsa applicazione di norme di diritto: in relazione al disposto dell’art. 115 c.p.c.”.

Con particolare riferimento alle 2 operazioni di switch “Liquidità&Azioni Italia ” effettuate il (OMISSIS). il ricorrente assume che la prova del diverso andamento dell’originario fondo “investimento emergeva dal relativo, acquisito estratto conto, non esaminato e presumibilmente andato smarrito, sicchè si sarebbe dovuto disporre ricerche di quel documento o ricostruire il fascicolo di parte ovvero disporre la richiesta CTU onde acquisire, se necessario i dovuti riscontri.

Col ricorso incidentale il Banco di Napoli S.p.A. e l’Eurizon Capital SGR S.p.A. deducono:

1. Violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 166 c.p.c. e art. 168 c.p.c., comma 2, artt. 169 e 175 c.p.c., art. 183 c.p.c., comma 4, art. 279 c.p.c., art. 356 c.p.c., comma 1; degli artt. 72, 73, 74 e 77 disp. att. c.p.c.; nonchè degli artt. 24 e 111 Cost. in relazione all’ art. 360 c.p.c., n. 3”.

2. “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto decisivo della controversia in merito alla rilevanza dei documenti in tutto (o in parte) scomparsi dal fascicolo di parte di primo grado delle appellate (art. 360 c.p.c., n. 5).”.

Coni primi due motivi le ricorrenti incidentali si dolgono, anche per vizi motivazionali, che l’appello del D.F. e in definitiva le sue domande risarcitorie siano stati accolti sostanzialmente in ragione di carenze probatorie documentali a loro illegittimamente addebitate.

3. “Violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. in correlazione al D.Lgs. n. 5 del 2003, artt. 8, 9 e art. 10, comma 2; dell’art. 168 c.p.c., comma 2 e art. 73 disp. att. c.p.c. in correlazione all’art. 347 c.p.c., u.c.; nonchè dell’art. 24 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Il motivo s’incentra sull’omesso esame del contenuto della memoria conclusionale depositata in primo grado nell’interesse delle convenute, che in tesi avrebbe dovuto essere rimasta inserita in copia nel fascicolo d’ufficio ed il cui mancato rinvenimento non avrebbe perciò potuto giustificare l’accoglimento delle domande, superando ed assorbendo il dibattito processuale sulle eccezioni, anche di novità, svolte in quell’atto. In via logico-giuridica esige esame prioritario il ricorso incidentale, che merita favorevole sorte per le ragioni in prosieguo chiarite, le quali assorbono le ulteriori censure dedotte col medesimo ricorso e con il principale.

In effetti le riscontrate carenze probatorie che dal tenore dell’impugnata sentenza risultano avere decisivamente influito sull’esito del giudizio d’appello, sfavorevole agli istituti bancari, attenevano ad atti che dalla stessa sentenza del Tribunale risultavano depositati dalle società convenute ed esaminati dal giudice di primo grado e che, in rapporto alla loro diversa natura, avrebbero dovuto essere rimasti inseriti o in copia nel fascicolo di ufficio (art. 168 c.p.c., comma 2, e art. 73 disp. att. c.p.c.) o nei fascicoli di parte depositati dagli enti bancari in entrambi i due gradi di merito. Pertanto, relativamente al giudizio d’appello gli atti in questione avrebbero dovuto essere reperibili nel fascicolo d’ufficio e/o di parte appellata e se ciò, come appare accaduto, non Cosse stato possibile, intanto la carenza avrebbe potuto essere addebitata agli enti bancari, in quanto fosse risultato attestato che il loro difensore aveva proceduto al ritiro dei fascicoli di parte in uno o in entrambi i due gradi di merito e non anche poi provveduto al tempestivo rideposito di essi prima delle pronunce definitive (cfr art. 169 c.p.c. e art. 77 disp. att. di tali evenienze, invece, la Corte di merito non ha dato alcun riscontro nè esse emergono altrimenti dimostrate. In tale situazione, quindi, la Corte del merito, una volta riscontrata la carenza documentale, avrebbe dovuto riaprire l’istruttoria per chiarire e verificare la situazione con l’ausilio della cancelleria (anche tenuta agli adempimenti di cui all’art. 347 c.p.c., comma 3, e art. 58 c.p.c.) e per eventualmente adottare le iniziative necessarie all’individuazione, al recupero o alla ricostituzione degli atti giù ritualmente acquisiti ma ingiustificatamente non più inseriti nei fascicoli, e ciò in funzione anche del rispetto dei diritti delle parti al contraddittorio ed alla difesa, che, invece, a ragione le ricorrenti affermano essere stati violati nell’impugnata pronuncia.

Conclusivamente si deve accogliere il ricorso incidentale nei precisati sensi, con conseguente assorbimento del ricorso principale, cassazione dell’impugnata sentenza e rinvio alla Corte di appello di Salerno, in diversa composizione, cui si demanda anche la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso incidentale nei precisati sensi, dichiara assorbito il ricorso principale, cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Salerno. in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 24 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2016.

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