Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17288 del 23/07/2010

Cassazione civile sez. II, 23/07/2010, (ud. 28/01/2010, dep. 23/07/2010), n.17288

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – rel. Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

F.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAPPONI 16, presso lo studio dell’avvocato GIORGINI ARMANDO,

rappresentato e difeso dall’avvocato FANTAUZZI CARLA, giusta procura

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI VITERBO in persona Sindaco pro-tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE G. MAZZINI 88, presso lo studio

dell’avvocato PIERETTI MARIA CRISTINA, che lo rappresenta e difende,

giusta Delib. G.C. n. 215 del 2007 e giusta procura speciale a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 527/2006 del Giudice di Pace di VITERBO

dell’1.2.06, depositata l’8/02/2006;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/01/2010 dal Consigliere Relatore Dott. IPPOLTSTO PARZIALE.

E’ presente il P.G. in persona del Dott. GIAMPAOLO LECCISI, che si

riporta alle conclusioni scritte.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. – F.A. impugna la sentenza n. 527 del 2006 del Giudice di Pace di Viterbo, che rigettava la sua opposizione al verbale di contestazione n. (OMISSIS) della Polizia municipale di Viterbo per la violazione dell’art. 126 bis C.d.S., comma 2, e art. 180 C.d.S., comma 8, perchè, in relazione ad una precedente violazione al Codice della Strada, egli, in qualità di proprietario, non aveva fornito i dati personali e della patente di guida del conducente.

A motivo dell’opposizione deduceva la mancata applicazione del D.L. 21 settembre 2005, n. 184, che aveva modificato l’art. 126 bis C.d.S., introducendo una disciplina più favorevole, anche quanto alla sanzione. A suo giudizio la norma era applicabile anche retroattivamente in relazione alla decisione della Corte Costituzionale n. 27 del 2005. Inoltre deduceva la circostanza che l’autovettura era utilizzata da altri componenti della famiglia e non era stato quindi possibile effettuare la comunicazione dei dati del conducente stante il lungo lasso di tempo intercorso tra l’accertamento della violazione e la sua notifica.

2. – Il Giudice di Pace rigettava l’opposizione ritenendo non applicabile la normativa invocata.

3. – Il ricorrente articola due motivi di ricorso.

4. Resiste con controricorso l’amministrazione.

5. Attivatasi procedura ex art. 375 c.p.c., il procuratore generale concludeva per la trattazione del ricorso in pubblica udienza e in subordine per il suo accoglimento quanto al secondo motivo.

Il Comune di Viterbo ha depositato memoria.

6. – Occorre rilevare che tali conclusioni della Procura Generale non ostano alla pronuncia in Camera di consiglio. Infatti, l’inammissibilità della pronuncia in camera di consiglio è ravvisabile solo ove la Corte ritenga che non ricorrano le ipotesi di cui all’art. 375 c.p.c., comma 1 e 2, oppure emergano condizioni incompatibili con una trattazione abbreviata. In tali casi la causa deve essere rinviata alla pubblica udienza. Nel caso in cui, invece, la Corte ritenga, come nella specie, che la decisione del ricorso presenta aspetti di evidenza compatibili con l’immediata decisione, può pronunciarsi la manifesta infondatezza o la manifesta fondatezza dell’impugnazione, anche ove le conclusioni del pubblico ministero siano, all’opposto, per la trattazione in pubblica udienza (Cass. 2007 n. 23842; Cass. 2007, n. 1255).

7. – I motivi del ricorso.

7.1 – Col primo si deduce violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 5, in relazione all’art. 132 c.p.c. e art. 180, comma 8 e art. 126 bis C.d.S.. Il Giudice di Pace non aveva chiarito le ragioni per le quali la normativa invocata non era stata ritenuta applicabile.

6.2 – Con il secondo motivo si deduce “la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, numeri 3 e 5, in relazione all’art. 24 Cost., all’art. 112 c.p.c. e art. 180 C.d.S., comma 8”. L’art. 180 C.d.S., comma 8, prevede l’esimente del giustificato motivo che, nel caso in questione, era costituito dal fatto che l’autovettura di proprietà del ricorrente era in uso a più componenti della famiglia e, in relazione al lungo tempo trascorso tra la prima violazione accertata l’11 marzo 2005 e la contestazione del 10 maggio 2006, non era possibile ricostruire con esattezza i movimenti dell’autovettura a distanza di tanti mesi.

7. – Il ricorso è infondato e va respinto.

7.1 – Quanto al primo motivo, occorre osservare che la normativa di cui l’odierno ricorrente chiede l’applicazione e specificamente il D.L. 21 settembre 2005, n. 184, oltrechè emanato in data successiva all’accertamento della violazione, non fu convertito in legge ed è quindi inapplicabile.

7.2 – Neppure il secondo motivo merita accoglimento.

Quanto al primo profilo, con il quale si deduce omessa motivazione in ordine alle dedotte cause di giustificazione dell’illecito (pluralità d’utenti della vettura e tempo trascorso) esso è inammissibile in quanto erroneamente dedotto, dacchè si denuncia non un vizio di motivazione ma un’omessa pronunzia.

Ora, come ripetutamente evidenziato da questa Corte, l’omessa pronuncia, quale vizio della sentenza, deve essere, anzi tutto, fatta valere dal ricorrente per cassazione esclusivamente attraverso la deduzione del relativo error in procedendo e della violazione dell’art. 112 c.p.c. e non già con la denunzia della violazione di norme di diritto sostanziale ovvero del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. 24.6.02 n. 9159, 11.1.02 n. 317, 27.9.00 n. 12790, 28.8.00 n. 11260, 10.4.00 n. 4496, 6.11.99 n. 12366); perchè, poi, possa utilmente dedursi il detto vizio, è necessario, da un lato, che al giudice del merito fossero state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si rendesse necessaria ed ineludibile, e, dall’altro, che tali domanda od eccezione siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente e/o per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per Cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo del giudizio nel quale l’una o l’altra fossero state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primis, la ritualità e la tempestività ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi; ove, infatti, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, dell’art. 112 c.p.c., ciò che configura un’ipotesi di error in procedendo per il quale questa Corte è giudice anche del “fatto processuale”, detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità d’esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato all’adempimento da parte del ricorrente, per il principio d’autosufficienza del ricorso per Cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio per relationem agli atti della fase di merito, dell’onere d’indicarli compiutamente, non essendo consentita al giudice stesso una loro autonoma ricerca ma solo una loro verifica (Cass. 23.9.02 n. 13833, 11.1.02 n. 317, 10.5.01 n. 6502).

Quanto al secondo profilo, è, a sua volta inammissibile, da un lato, per difetto d’autosufficienza, non essendo riportato il capitolato delle prove che si assumono ingiustamente non ammesse dal giudice de quo e, dall’altro, per difetto d’interesse, essendo dette prove, ove intese a dimostrare la pluralità d’utenti del veicolo e l’impossibilità d’identificare l’utente del caso specifico dato il tempo trascorso, prive di decisività in quanto irrilevanti.

Come questa Corte ha avuto plurime occasioni d’evidenziare, infatti (e pluribus, Cass. 13748/07), in tema di violazioni al codice della strada, integra l’ipotesi di illecito amministrativo previsto dal combinato disposto degli artt. 126 bis e 180 C.d.S. l’omessa collaborazione che il cittadino deve prestare all’autorità amministrativa onde consentirle d’effettuare i necessari e previsti accertamenti per l’espletamento dei servizi di polizia stradale.

Nella specie il giudice di pace ha applicato correttamente la citata norma del codice della strada posta a base dell’infrazione contestata al ricorrente.

Nella lettura della sentenza 27/05 della Corte Costituzionale, non va confusa la parte dell’art. 126 bis C.d.S., comma 2, come modificato dal D.L. 27 giugno 2003, n. 151 a sua volta modificato dalla Legge di Conversione 1^ agosto 2003, n. 214, dichiarata incostituzionale, che è quella in cui era comminata la riduzione dei punti della patente a carico del proprietario del veicolo che non fosse stato anche responsabile dell’infrazione stradale, con altra parte della stessa norma, che è quella rilevante nel presente giudizio, non solo non dichiarata incostituzionale ma, anzi, la cui applicabilità è espressamente richiamata dal giudice delle leggi che, a conclusione della motivazione, ha testualmente affermato: “L’accoglimento della questione di legittimità costituzionale, per violazione del principio di ragionevolezza, rende, tuttavia, necessario precisare che nel caso in cui il proprietario ometta di comunicare i dati personali e della patente del conducente, trova applicazione la sanzione pecuniaria di cui all’art. 180 C.d.S., comma 8. In tal modo mene anche fugato il dubbio – che pure e stato avanzato da taluni dei rimettenti – in ordine ad una ingiustificata disparità di trattamento realizzata tra i proprie tari di veicoli, discriminati a seconda della loro natura di persone giuridiche o fisiche, ovvero, quanto a queste ultime, in base alla circostanza meramente accidentale che le stesse siano munite o meno di patente”.

Tale asserzione, in quanto interpretativa e confermativa della validità di norma vigente, trova applicazione anche ai fatti verificatisi precedentemente e regolati dalla norma stessa.

Il giudice a quo ha, dunque, correttamente disatteso la giustificazione dell’omessa comunicazione dei dati relativi al conducente dedotta dall’opponente con la pretesa impossibilità d’identificare il soggetto autore dell’illecito in ragione dei numerosi utenti del veicolo, dacchè, con tale deduzione, l’opponente non ebbe a fornire, in realtà, alcuna idonea ragione per esimersi dalla responsabilità accollatagli dalla norma.

Il proprietario del veicolo, infatti, in quanto responsabile della circolazione dello stesso nei confronti delle pubbliche amministrazioni non meno che dei terzi, e tenuto sempre a conoscere l’identità dei soggetti ai quali ne affida la conduzione, onde dell’eventuale incapacità d’identificare detti soggetti necessariamente risponde, nei confronti delle une per le sanzioni e degli altri per i danni, a titolo di colpa per negligente osservanza del dovere di vigilare sull’affidamento in guisa da essere in grado d’adempiere al dovere di comunicare l’identità del conducente con l’unico limite, quanto al tempo, della prescrizione dei diritti fatti valere dai terzi, privati o P.A. che siano. La pluralità degli utenti del veicolo non fa venir meno tale dovere nè esime dalla responsabilità in caso d’inadempimento.

In tali termini integrata, ex art. 384 c.p.c., la motivazione dell’impugnata sentenza, questa, conforme a diritto, non e soggetta a cassazione.

8. – Le spese seguono la soccombenza.

P.T.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alle spese di giudizio, liquidate in complessivi 400,00 Euro per onorari e Euro 200,00 per spese, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 28 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2010

 

 

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