Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17284 del 23/07/2010

Cassazione civile sez. I, 23/07/2010, (ud. 06/07/2010, dep. 23/07/2010), n.17284

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Fallimento Casillo Grani s.n.c., domiciliato in Roma, via Asiago 8,

presso l’avv. S. Aureli, rappresentato e difeso dall’avv. Inzitari

B., come da mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Banca popolare di Bari s.c. a r.l., domiciliata in Roma, viale Paridi

180, presso l’avv. P. Biasotti, rappresentata e difesa dagli avv.

Giannelli Giuseppe e Gianvito Giannelli, come da mandato a margine

del ricorso e ricorso incidentale

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

Fallimento Casillo grani s.n.c.;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 216/2004 della Corte d’appello di Bari,

depositata il 23 marzo 2004;

Sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Aniello Nappi;

uditi i difensori avv. P. Parenti, delegata per il ricorrente, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

e avv. Braschi, delegato per la resistente, che ne ha chiesto il

rigetto.

Udite le conclusioni del P.M., Dr. SORRENTINO Federico, che ha

chiesto l’accoglimento del secondo motivo del ricorso principale, con

assorbimento del primo e rigetto del secondo motivo dell’incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Bari dichiarò inammissibili le domande proposte dal Fallimento Casillo Grani s.n.c. nei confronti della Banca popolare di Bari s.c. a r.l., per il risarcimento dei danni derivati dall’abusiva concessione di credito alla società poi fallita e per la dichiarazione di inefficacia dei pagamenti effettuati dalla stessa società prima del fallimento.

Quanto alla domanda di risarcimento dei danni, i giudici del merito, pur disattendendone l’eccezione di invalidità per indeterminatezza, ritennero che il curatore fallimentare non è legittimato all’azione proposta, perchè il danno lamentato è riferibile individualmente a ciascuno dei creditori e non alla massa dei creditori collettivamente considerati.

Quanto all’azione revocatoria fallimentare, pur disattendendone l’eccezione di invalidità per indeterminatezza, i giudici del merito ritennero che il periodo sospetto andasse calcolato a ritroso dalla sentenza di fallimento pronunciata il 26 marzo 1996 dal Tribunale di Foggia, e non dalla precedente sentenza di fallimento pronunciata il 7 dicembre 1994 dal Tribunale di Livorno dichiarato poi incompetente, sicchè risultavano fuori di tale periodo anche i più recenti tra gli atti di cui s’era richiesta la dichiarazione d’inefficacia.

Contro questa sentenza hanno proposto ricorso per cassazione entrambe le parti: in via principale il Fallimento Casillo Grani s.n.c., che ha dedotto due motivi d’impugnazione; in via incidentale la Banca popolare di Bari s.c. a r.l., che ha dedotto due motivi d’impugnazione, cui resiste con controricorso il Fallimento Casillo Grani s.n.c..

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Dei ricorsi proposti avverso la stessa sentenza va disposta la riunione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Rileva preliminarmente la Corte che, secondo la più recente giurisprudenza, il ricorso incidentale per cassazione della parte totalmente vittoriosa, che investa questioni pregiudiziali processuali o preliminari di merito, ha natura di ricorso condizionato, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, ma deve essere esaminato con priorità solo se le questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, rilevabili d’ufficio, non siano state esaminate nel giudizio di merito, poichè in questo caso cessano di essere rilevabili d’ufficio. Ne consegue che il loro esame postula la proposizione di un’impugnazione che sia ammissibile in presenza di un interesse della parte, che sorge solo nel caso di fondatezza del ricorso principale; in caso contrario, il ricorrente incidentale manca di interesse alla pronuncia sulla propria impugnazione, poichè il suo eventuale accoglimento non potrebbe procurargli un risultato più favorevole di quello derivante dal rigetto del ricorso principale (Cass., sez. un., 31 ottobre 2007, n. 23019, m. 600072).

In applicazione di tali principi va esclusa l’esigenza di esame preliminare dei motivi del ricorso incidentale.

2. Con il primo motivo il ricorrente principale deduce violazione degli artt. 2043, 2056, 1223, 1227, 2395 c.c., vizi di motivazione della decisione impugnata, lamentando l’erronea dichiarazione di inammissibilità per difetto di legittimazione del curatore fallimentare alla domanda di risarcimento dei danni per abusiva concessione di credito alla società poi fallita.

Il motivo va rigettato.

In realtà questa Corte ha già avuto modo di chiarire a sezioni unite in analoghi giudizi che “il curatore fallimentare non è legittimato a proporre, nei confronti del finanziatore responsabile (nella specie, una banca), l’azione da illecito aquiliano per il risarcimento dei danni causati ai creditori dall’abusiva concessione di credito diretta a mantenere artificiosamente in vita una impresa decotta, suscitando così nel mercato la falsa impressione che si tratti di impresa economicamente valida.

Nel sistema della legge fallimentare, difatti, la legittimazione del curatore ad agire in rappresentanza dei creditori è limitata alle azioni cd. di massa – finalizzate, cioè, alla ricostituzione del patrimonio del debitore nella sua funzione di garanzia generica ed aventi carattere indistinto quanto ai possibili beneficiari del loro esito positivo – al cui novero non appartiene l’azione risarcitoria in questione, la quale, analogamente a quella prevista dall’art. 2395 c.c., costituisce strumento di reintegrazione del patrimonio del singolo creditore, giacchè, per un verso, il danno derivante dall’attività di sovvenzione abusiva deve essere valutato caso per caso nella sua esistenza ed entità (essendo ipotizzabile che creditori aventi il diritto di partecipare al riparto non abbiano ricevuto pregiudizio dalla continuazione dell’impresa), e, per altro verso, la posizione dei singoli creditori, quanto ai presupposti per la configurabilità del pregiudizio, è diversa a seconda che siano antecedenti o successivi all’attività medesima” (Cass., sez. un., 28 marzo 2006, n. 7029, m. 590934).

Come eccepito dalla banca resistente già nel giudizio d’appello e chiarito ancora da questa Corte nei precedenti analoghi giudizi, d’altro canto, costituisce invece domanda nuova, inammissibile ove proposta per la prima volta nel giudizio d’appello e in sede di legittimità, “quella con la quale il curatore fallimentare – dopo aver richiesto, nei confronti del finanziatore responsabile (nella specie, una banca), il risarcimento del danno da illecito aquiliano causato alla massa dei creditori dall’abusiva concessione di credito ad una impresa in stato di insolvenza, poi fallita, allo scopo di mantenerla artificiosamente in vita – deduca a fondamento della sua pretesa la responsabilità del finanziatore verso il soggetto finanziato per il pregiudizio diretto ed immediato causato al patrimonio di questo dall’attività di finanziamento, quale presupposto dell’azione che al curatore spetta come successore nei rapporti del fallito” (Cass., sez. un., 28 marzo 2006, n. 7029, m.

590933). Sicchè questo motivo (sul quale del resto lo stesso ricorrente ha dichiarato in memoria di non insistere ulteriormente) risulta infondato per un profilo, inammissibile per l’altro.

Il rigetto di questo motivo del ricorso principale assorbe il primo motivo del ricorso incidentale, con il quale la banca aveva riproposto l’eccezione di nullità per genericità della domanda di risarcimento dei danni.

3. Con il secondo motivo il ricorrente principale deduce violazione della L. Fall., art. 67, lamentando la mancata applicazione del principio di unitarietà delle procedure fallimentari consecutive.

Sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici del merito, il periodo sospetto ai fini dell’azione revocatoria deve decorrere a ritroso già dalla prima sentenza di fallimento pronunciata 7 dicembre 1994 dal Tribunale di Livorno, dichiarato poi incompetente, e non dalla seconda sentenza di fallimento, pronunciata il 26 marzo 1996 dal Tribunale di Foggia, indicato come competente dalla Corte di Cassazione.

Il motivo è fondato.

Come questa Corte ha già avuto modo di chiarire, infatti, la sentenza di fallimento ha una duplice efficacia.

La L. Fall., art. 16, comma 1, ne prevede l’efficacia di accertamento dei presupposti oggettivi (stato di insolvenza) e soggettivi (qualità di imprenditore del debitore) della procedura concorsuale.

La L. Fall., art. 16, comma 2, ne prevede l’efficacia regolativa della procedura concorsuale appunto, che viene dichiarata aperta con la nomina del giudice delegato e del curatore, con l’ordine al fallito di depositare i bilanci e le scritture contabili entro ventiquattro ore, con la fissazione dei termini per l’avvio del procedimento di accertamento del passivo e dei diritti mobiliari su cose in possesso del fallito. E nel caso in cui a una prima dichiarazione di fallimento, da parte di un tribunale riconosciuto poi incompetente, segua una seconda dichiarazione di fallimento dello stesso imprenditore da parte del tribunale individuato come competente dalla Corte di Cassazione, sono solo gli effetti regolativi della prima pronuncia a risultare invalidati e surrogati dalla seconda sentenza. Rimangono fermi invece gli effetti di accertamento dei presupposti oggettivi e soggettivi del fallimento, in applicazione sia dell’art. 50 c.p.c., che prevede la prosecuzione del procedimento dinanzi al giudice individuato come competente dalla Corte di cassazione, sia del principio di unitarietà della procedura concorsuale (Cass., sez. 1^, 3 febbraio 2006, n. 2422, n. 588193, Cass., sez. 1^, 5 luglio 2006, n. 15321, m. 592462). Sicchè questa previsione di stabilità degli effetti di accertamento della sentenza di fallimento era implicita nel sistema già prima della sua espressa enunciazione nell’art. 9 bis inserito nella legge fallimentare dal D.Lgs. n. 5 del 2006 (Cass., sez. un., 18 dicembre 2007, n. 26619, m.

601215). E non è possibile accogliere la richiesta della banca resistente di rimessione degli atti al Primo Presidente per una riconsiderazione della questione, recentemente decisa dalle Sezioni unite nel senso indicato.

4. Riconosciuto il fondamento del secondo motivo del ricorso principale, si rende necessario l’esame del secondo motivo del ricorso incidentale, che ne precluderebbe l’accoglimento.

Con il secondo motivo del ricorso incidentale, infatti, la banca ripropone l’eccezione di nullità per genericità della domanda revocatoria, in quanto formulata senza precisare quale fattispecie tra quelle previste dalla L. Fall., art. 67, fosse dedotta e senza specifica indicazione nè degli atti nè dei destinatari dei pagamenti impugnati di inefficacia.

Lamenta in particolare che i giudici d’appello abbiano considerato individuabili per relationem al libro giornale le operazioni oggetto dell’azione revocatoria, riferibile sia ai finanziamenti erogati sia ai pagamenti effettuati.

Il motivo è infondato.

Occorre premettere che, quando viene dedotto un error in procedendo, come quello denunciato dalla ricorrente incidentale, il sindacato di legittimità investe direttamente l’invalidità denunciata e la decisione che su di essa sia stata eventualmente già adottata dal giudice del merito, indipendentemente dalle motivazioni esibite al riguardo, perchè in questi casi la Corte di Cassazione è giudice anche del fatto.

Anche quando la norma processuale sia stata già utilizzata in precedenza come criterio di valutazione, in realtà, la sua violazione non viene in rilievo in cassazione per l’errore di giudizio compiuto dal giudice dinanzi al quale la violazione sia stata eventualmente già eccepita, ma viene in rilievo solo per l’errore di attività di colui che mancò di osservarla nel compiere un atto del procedimento, perchè, se non risulti altrimenti sanata, l’invalidità di quell’atto può tradursi in un vizio della decisione impugnata per cassazione. Sicchè, quale che sia stata la giustificazione della decisione del giudice cui la violazione della norma processuale fosse stata già eccepita, la Corte di Cassazione deve comunque accertare direttamente l’esistenza della violazione originariamente dedotta. E in questa prospettiva risulta evidente come l’accertamento della violazione della norma processuale non possa prescindere dall’accertamento anche del fatto che integra la violazione denunciata.

Sicchè, anche se la violazione di una tale norma processuale sia stata già eccepita in precedenza, la questione che si pone con il ricorso per cassazione è sempre e solo quella dell’esistenza o della rilevabilità di un’invalidità, sia quando se ne lamenti la mancata dichiarazione sia quando se ne lamenti l’erronea dichiarazione. E’ vero che in questo secondo caso il ricorrente denuncia in realtà un errore di giudizio, commesso mediante la dichiarazione di un’invalidità inesistente o non rilevabile; come è vero del resto che un errore di giudizio viene denunciato anche nel caso in cui si lamenti che sia stata erroneamente esclusa un’invalidità già denunciata. Ma la norma processuale che si assume violata viene comunque in discussione solo come regola di condotta, perchè la Corte di cassazione potrà affermare o negare l’esistenza dell’invalidità anche sulla base di fatti diversi da quelli ritenuti dal giudice del merito.

Infatti, quando viene denunciata la violazione di una norma processuale che comporti invalidità, il giudizio di legittimità non ha per oggetto la sola giustificazione della decisione impugnata, come avviene nel caso di denuncia di un vizio della giustificazione in fatto della decisione di merito, bensì sempre e direttamente la decisione, anche quando se ne denunci la non corrispondenza ai fatti rilevanti ai fini dell’applicazione della norma processuale che si assume violata. Sicchè, se il giudice del merito ometta di pronunciarsi su un’eccezione di nullità, la sentenza di merito non è impugnabile per l’omessa pronuncia, ma solo per l’invalidità già vanamente eccepita: perchè ciò che rileva, ancora una volta, non è il tenore della pronuncia impugnata, sulla quale l’invalidità denunciata deve comunque incidere, bensì l’esistenza appunto di tale invalidità.

Nel caso in esame, dunque, spetta a questa Corte accertare direttamente se l’attore, nel formulare la sua domanda, abbia violato le prescrizioni dettate dall’art. 163 c.p.c., n. 3) e n. 4).

Orbene, come risulta dagli atti e dallo stesso ricorso incidentale, l’attore ha promosso il giudizio per la dichiarazione d’inefficacia di tutte le rimesse effettuate su un determinato conto corrente negli anni dal 1992 al 1994, indicando anche per ciascun anno l’importo complessivo dei pagamenti. E secondo la giurisprudenza di questa Corte in tema di revocatoria fallimentare di rimesse in conto corrente bancario, “non è affetta da nullità per indeterminatezza dell’oggetto o della “causa petendi”, ai sensi del combinato disposto dell’art. 163 c.p.c., comma 3, nn. 3 e 4, e art. 164 c.p.c., comma 4, (nel testo novellato dalla legge n. 353 del 1990), la domanda con cui la curatela ha indicato il numero di conto corrente su cui erano affluiti i versamenti e l’agenzia presso cui era stato intrattenuto il rapporto, precisando di voler chiedere la dichiarazione di inefficacia di tutte le rimesse effettuate nell’anno anteriore al fallimento ed evidenziando le stesse nell’estratto conto prodotto dallo stesso attore” (Cass., sez. 1^, 3 agosto 2007, n. 17049, m.

600397, Cass., sez. 1^, 31 marzo 2006, n. 1661, m. 589483). Nè può rendere indeterminata la domanda il fatto che, quale causa petendi della postulata inefficacia degli atti così individuati, vengano prospettate alternativamente o cumulativamente più ipotesi tra quelle elencate nella L. Fall., art. 67.

E’ indiscusso infatti in giurisprudenza che “nello stesso giudizio possono essere proposte, in forma alternativa o subordinata, due diverse richieste tra loro incompatibili, senza con ciò venir meno all’onere della domanda e al dovere di chiarezza che l’attore è tenuto ad osservare nelle proprie allegazioni: conseguentemente non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che accolga una delle domande come sopra proposte, in quanto il rapporto di alternatività e di subordinazione tra esse esistente non esclude che ciascuna di esse rientri nel petitum” (Cass., sez. 1^, 18 aprile 1978, n. 1835, m. 391222).

E il pure indiscusso principio di autonomia delle singole ipotesi di azione levocatoria fallimentare non esclude la possibilità nè che sia lo stesso attore a prospettarne diverse qualificazioni alternative nè che il giudice ne individui la qualificazione corretta, indipendentemente dalle prospettazioni della parte (Cass., sez. 1^, 21 dicembre 2005, n. 28299, m. 585484, Cass., sez. 1^, 25 maggio 2005, n. 11017, m. 581528).

5. Rigettato pertanto il primo motivo del ricorso principale, con assorbimento del primo motivo del ricorso incidentale, e il secondo motivo del ricorso incidentale, la sentenza impugnata va cassata, in accoglimento del secondo motivo del ricorso principale, con rinvio anche per le spese alla Corte d’appello di Bari in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo del ricorso principale, assorbito il primo motivo del ricorso incidentale.

Accoglie il secondo motivo del ricorso principale.

Rigetta il secondo motivo del ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia anche per le spese alla Corte d’appello di Bari in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 6 luglio 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2010

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