Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17281 del 23/07/2010

Cassazione civile sez. I, 23/07/2010, (ud. 15/06/2010, dep. 23/07/2010), n.17281

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.R.G. Costruzioni s.r.l. in persona del legale rappresentante,

elettivamente domiciliata in Roma, via M. Prestinari 13, presso

l’avv. Giuseppe Ramadori, rappresentata e difesa dall’avv. D’Arrigo

Domenico giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

Fallimento C.R.G. Costruzioni s.r.l. in persona del curatore, Cassa

Edile di Mutualità ed Assistenza della Provincia di Milano in

persona del legale rappresentante;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 2269/08 del

28.7.2008.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15.6.2010 dal Relatore Cons. Dr. Carlo Piccininni;

Udito l’avv. Buccellato con delega per la ricorrente;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 28.7.2008 la Corte di Appello di Milano rigettava il reclamo proposto dalla C.R.G. Costruzioni s.r.l. avverso la decisione con la quale il Tribunale di Milano in data 13-15.3.08 ne aveva dichiarato il fallimento, sull’istanza sulla Cassa di Mutualità e Assistenza della Provincia di Milano.

In particolare la Corte, sui due motivi di reclamo sottoposti al suo esame, rilevava rispettivamente: a) che l’onere della prova in ordine ai requisiti dimensionali di non fallibilità sarebbe a carico del debitore, il quale detto onere non avrebbe assolto, e che, anche a voler ritenere la permanenza di una iniziativa istruttoria di ufficio, la stessa avrebbe potuto trovare concreta attuazione esclusivamente sulla base di un principio di prova sull’esistenza dei requisiti dimensionali in questione, nella specie non fornita; b) che il tribunale avrebbe correttamente ritenuto esistente lo stato d’insolvenza anche sulla base di un solo debito (di Euro 36.547,39), come indirettamente desumibile anche dalle risultanze dello stato passivo, dalle quali era emersa una esposizione debitoria complessiva di Euro 257.920,22.

Avverso la decisione la C.R.G. Costruzioni proponeva ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui non resistevano gli intimati.

La controversia veniva quindi decisa all’esito dell’udienza pubblica del 15.6.2010.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i motivi di impugnazione la ricorrente ha rispettivamente denunciato: 1) violazione della L. Fall., art. 15, per il mancato esercizio, da parte del tribunale, dei poteri officiosi di indagine in ordine all’esistenza dei fatti impeditivi della fallibilità dedotti dal socio ed amministratore P.G.. Questi, nel marzo 2008, aveva infatti riferito che la società era inattiva dal marzo 2005 e che l’altro socio che si occupava della parte contabile – amministrativa si era reso irreperibile; ciò sarebbe stato dunque sufficiente per determinare la necessità di svolgere ulteriori indagini prima di procedere alla dichiarazione di fallimento;

2) vizio di motivazione sull’esclusione dei mezzi di prova dedotti ai sensi della L. Fall., art. 18. Nel procedimento per reclamo la C.R.G. Costruzioni aveva infatti richiesto di provare per testimoni l’avvenuta cessazione dell’attività a far tempo dal marzo 2005, richiesta disattesa senza alcuna motivazione al riguardo;

3) violazione della L. Fall., art. 18, con riferimento alla denegata ammissione della prova di cui al punto 2), trattandosi di mezzi necessari alla dimostrazione dei fatti allegati.

Le censure sono infondate.

Per quanto concerne il primo motivo di impugnazione, si osserva che la questione prospettata al Collegio riguarda la permanenza o meno di poteri istruttori del Tribunale nell’ambito di una procedura per la dichiarazione di fallimento, rispetto alla quale il legislatore ha abolito l’iniziativa di ufficio e, nell’ipotesi positiva, quali ne siano i presupposti ed i limiti. Sul punto sembra utile preliminarmente precisare che il legislatore, dopo la previsione del discrimine fra imprenditore commerciale soggetto a fallimento e imprenditore esentato da tale procedura introdotto con il D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, art. 1 e le incertezze interpretative sorte in ordine all’attribuzione dell’onere della prova circa la sussistenza degli elementi idonei a distinguere le due categorie, è nuovamente intervenuto con il D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, modificando la L. Fall., art. 1, nel senso di stabilire differenti indici per la dichiarazione di fallimento e di attribuire all’imprenditore l’onere della dimostrazione del loro possesso.

L’esigenza di evitare per quanto possibile la dichiarazione di fallimenti ingiustificati in relazione alle caratteristiche del debitore (Corte Cost. 2009/198) ha tuttavia indotto il legislatore a conservare un ampio potere di indagine officioso in capo all’organo giudicante.

In tal senso univocamente depongono la L. Fall., art. 1, comma 2, che prevede l’utilizzabilità dei dati relativi ai ricavi lordi ” in qualunque modo risulti “, e quindi anche indipendentemente dalle allegazioni del debitore; la L. Fall., art. 15, comma 4, laddove è precisato che il tribunale, dopo aver ordinato il deposito dei bilanci relativi agli ultimi tre esercizi, può comunque chiedere informazioni urgenti; la L. Fall., art. 18, comma 1, che in sede di reclamo contro la sentenza dichiarativa di fallimento legittima il collegio ad assumere, anche di ufficio, i mezzi di prova ritenuti necessari.

Peraltro dalla intervenuta soppressione dell’iniziativa officiosa per la dichiarazione di fallimento (che di per sè altrimenti giustificherebbe l’assunzione di un autonomo ruolo istruttorie del tribunale) discende che l’oggetto dell’indagine, finalizzata a colmare le lacune probatorie ritenute sussistenti, dovrà essere necessariamente limitato ai fatti dedotti dalle parti quali allegazioni difensive.

Si tratta dunque, sostanzialmente, di un ruolo di supplenza assegnato al tribunale, il cui esercizio non è rimesso all’esistenza di presupposti vincolanti, ma che (al contrario, richiede una valutazione di merito da parte del giudice competente per la dichiarazione di. fallimento, relativamente alla incompletezza del materiale probatorio acquisito, alla individuazione di quello astrattamente utile per una corretta definizione della procedura, alla concreta acquisibilità dei dati idonei a colmare le deficienze riscontrate, alla rilevanza dei detti dati sulla decisione da adottare.

Orbene nella specie tale valutazione è stata espressa dalla Corte di Appello che, correttamente riconducendo l’iniziativa istruttoria di ufficio al potere discrezionale del giudice, ha ritenuto irrilevante la circostanza riferita dal legale rappresentante della C.R.G. in sede di interrogatorio libero, secondo la quale la società avrebbe cessato ogni attività di impresa a far tempo dal marzo 2005. Ciò in quanto la detta dichiarazione non solo non era stata confortata dalla documentazione (libri matricola, lettere di licenziamento dei dipendenti, dichiarazioni IVA, verbali assembleari) che pure avrebbe potuto essere agevolmente prodotta, ma si sarebbe posta addirittura in contrasto con la mancata apertura della fase della liquidazione, con l’omessa cancellazione della società e con il numero di dipendenti addetti all’impresa nel 2005, che, secondo le risultanze della Camera di Commercio di Milano, sarebbe stato, all’epoca, di sedici unità.

Si tratta dunque di valutazione di merito sorretta da motivazione immune da vizi logici, e pertanto incensurabile in questa sede di legittimità.

Analogamente priva di pregio appare la doglianza prospettata con il secondo motivo di impugnazione. Al riguardo la C.R.G. ha lamentato che la Corte di Appello non abbia ammesso le prove testimoniali dedotte per dimostrare la cessazione dell’attività, senza fornire alcuna motivazione sul punto.

Il rilievo è tuttavia inesatto poichè la detta Corte ha disatteso la richiesta indicata sotto il duplice profilo che la stessa avrebbe dovuto essere dimostrata con la produzione di documenti e che comunque l’istanza risultava tardiva, essendo stata formulata solo in sede di reclamo.

Indipendentemente da ogni considerazione in ordine alla fondatezza delle dette argomentazioni, resta il fatto che la Corte di appello ha motivato il proprio convincimento e che sui due punti sopra considerati la ricorrente non ha proposto alcuna censura.

Resta infine il terzo motivo, che è anch’esso sostanzialmente privo di censura poichè il ricorrente si è limitato a richiamare in proposito il disposto della L. Fall., art. 18, comma 10, che legittima il Collegio ad assumere i mezzi di prova ritenuti necessari, senza tuttavia indicare le ragioni (oltre a quelle rappresentate con il secondo motivo) per le quali l’eventuale espletamento della prova avrebbe potuto comportare un diverso esito del giudizio (fra l’altro la prova tendeva alla dimostrazione dell’intervenuta cessazione dell’attività a far tempo dal marzo 2005, mentre il triennio di cui alla L. Fall., art. 1, comma 2, va calcolato con riferimento alla data di deposito dell’istanza di fallimento, risalente al 17.1.2008) e la Corte di Appello avrebbe errato nel ritenere insussistenti i presupposti per esercitare il potere conferito al Collegio dalla disposizione in oggetto.

Conclusivamente il ricorso deve dunque essere rigettato, mentre nulla va stabilito in ordine alle spese processuali poichè gli intimati non hanno svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 15 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2010

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