Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17281 del 12/08/2011

Cassazione civile sez. II, 12/08/2011, (ud. 04/05/2011, dep. 12/08/2011), n.17281

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 29274/2005 proposto da:

CIC IMM DI STEVANATO MAURIZIO & C SAS IN PERSONA DEL

LEGALE

RAPPRESENTANTE PRO TEMPORE sOCIO ACCOMANDATARIO S.M.

P.I. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 24,

presso lo studio dell’avvocato CECI PAOLO, rappresentata e difesa

dall’avvocato BELLUSSI Germano;

– ricorrente –

contro

B.E. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DOMENICO BARONE 31, presso lo studio dell’avvocato BOTTAI

Enrico, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ZANOTTO

ANTONIO;

– controricorrente –

e contro

S.M., D.M., B.M., G.

T.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 345/2005 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 22/02/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/05/2011 dal Consigliere Dott. CESARE ANTONIO PROTO;

udito l’Avvocato Bottai Enrico difensore del resistente che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del 18/4/1998 B.E. conveniva in giudizio la CIC Immobiliare s.a.s. di S.M. ed esponeva di avere conferito in data 28/4/1997 alla CIC Immobiliare mandato irrevocabile a vendere avente ad oggetto la vendita, previo frazionamento, di unità immobiliari promesse in vendita da S.M. al B. con contratto in pari data; ciò premesso, chiedeva dichiararsi la legittimità della revoca del mandato per giusta causa e in relazione a condotte dello S.. Il B., con distinta citazione, conveniva in giudizio lo S. per sentir dichiarare risolti per inadempimento del convenuto il contratto preliminare del 28/4/1997 avente ad oggetto i beni per la cui vendita era stato conferito il mandato alla CIC s.a.s., nonchè altro contratto preliminare stipulato con lo stesso S., questa volta quale promissario acquirente.

Lo S. chiamava in causa i promittenti venditori dei beni che a sua volta avrebbe dovuto rivendere al B.. Le due cause venivano riunite e con sentenza n. 111/01 il Tribunale di Venezia, per quanto qui interessa, dichiarava risolto per impossibilità sopravvenuta il preliminare del 28/4/1997 tra il B. e lo S. e dichiarava risolto per giusta causa il mandato a vendere conferito dal B. alla CIC s.a.s. Sia la CIC in persona di S.M., sia S.M. in proprio proponevano appello al quale resistevano il B. e i terzi chiamati in primo grado i quali avevano promesso in vendita l’immobile allo S..

Con sentenza del 22/2/2005 la Corte di Appello di Venezia rigettava gli appelli di CIC e di S. in proprio condannandoli in solido al pagamento delle spese del grado sia a favore del B., sia a favore dei terzi chiamati D. e G..

La Corte di Appello, per quanto qui interessa, riteneva:

che il mandato conferito alla CIC, in quanto non qualificabile come mandato in rem propriam, era revocabile per giusta causa, che la giusta causa poteva ravvisarsi nel comportamento del mandatario pregiudizievole rispetto al rapporto fiduciario;

– che, nel caso concreto, la condotta dello S., che si era reso inadempiente rispetto agli obblighi assunti con il preliminare costituiva giusta causa di recesso in quanto determinava il venir meno del rapporto fiduciario anche nei confronti della s.a.s. CIC che agiva attraverso lo S. quale unico socio accomandatario.

La CIC s.a.s ricorre per cassazione sulla base di due motivi; resiste con controricorso il B.; non si sono costituiti gli intimati G. e D., nonchè B.M., già contumace in appello.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente, deducendo violazione dell’art. 1723 c.c., comma 1, assume:

– che il giudice di appello avrebbe ravvisato giusta causa di revoca del mandato in un preteso inadempimento di un soggetto (lo S.) distinto dalla società mandataria il cui operato era invece inappuntabile;

– che il giudice di appello non avrebbe valutato la natura dell’attività (ricercare acquirenti per le unità immobiliari in vendita) che avrebbe dovuto espletare la mandataria, priva di rischio per il mandante che avrebbe sempre potuto negare il proprio gradimento rispetto ai potenziali acquirenti; se il giudice di appello avesse compiuto tale valutazione avrebbe dovuto concludere che nessuna perdita di fiducia nell’esecuzione del mandato era giustificabile.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deducendo violazione degli artt. 91 e 10 c.p.c., lamenta che, in presenza di due distinte cause, seppur, riunite, il giudice di appello avrebbe condannato i due soccombenti in solido per l’intero importo delle spese liquidate con la conseguenza che sarebbe stato violato anche il criterio di determinazione del valore della controversia in quanto la CIC avrebbe subito condanna alle spese liquidate sulla base di uno scaglione di valore maggiore rispetto a quello applicabile al valore della causa nella quale era rimasta soccombente.

3. Con il primo motivo si riconosce l’applicabilità dell’art. 1723 c.c., che prevede il recesso per giusta causa, ma si contesta che gli elementi di fatto considerati dal giudice di appello fossero idonei ad integrare la giusta causa di recesso; in sostanza si contesta la motivazione con la quale il giudice ha ritenuto sussistere la giusta causa.

La giusta causa di recesso nel mandato è costituita da circostanze che, influendo sul rapporto fiduciario, non ne consentano la prosecuzione e pertanto può derivare anche da situazioni che non costituiscano inadempimento nel caso in cui siano idonee ad elidere l’iniziale affidamento che il mandante ripone nel mandatario (cfr.

con riferimento alla diversa ipotesi della revoca dell’amministratore di società, ma con principi applicabile anche alla revoca del mandato, Cass. n. 16526/2005; Cass. 23557/2008).

Pertanto la prima censura, fondata sull’assunto per il quale l’inadempimento dello S. quale persona fisica non poteva integrare giusta causa di recesso nei confronti della società personale che, invece non si era resa inadempiente, è inammissibile perchè, oltre ad avere ad oggetto una mera valutazione di merito, non coglie affatto la ratio decidendi della sentenza laddove non si da autonomo rilievo all’inadempimento della persona fisica, ma al fatto che la persona fisica che si era resa inadempiente rispetto agli obblighi contrattuali assunti nei confronti del B. (e nei confronti del quale era in corso una vertenza giudiziaria) era la stessa persona che, quale socio accomandatario della società, avrebbe dovuto curare gli interessi economici del mandante.

La seconda censura è altrettanto inammissibile perchè, così come la prima, non solo propone una mera, diversa valutazione di merito, ma non coglie la ratio decidendi della sentenza, fondata non già sulla valutazione della astratta capacità della mandataria di portare a compimento l’incarico affidato, ma sulla ragionevole perdita di affidamento del mandante nei confronti della mandataria, posto che essa avrebbe curato i suoi interessi con la stessa persona (che ancora risulta l’unico accomandatario della società) che ne aveva tradito l’affidamento rendendosi inadempiente.

4. Con il secondo motivo si censura la violazione di due norme che non sono state violate: non è stato violato l’art. 91 c.p.c. perchè il giudice di appello ha correttamente condannato alle spese la CIC s.a.s. in quanto soccombente e non risulta violato l’art. 10 c.p.c. che riguarda la determinazione del valore della controversia ai fini della competenza.

Dal tenore della censura si desume che la ricorrente abbia inteso censurare l’applicazione, nel caso concreto, dell’art. 97 c.p.c., che consente la condanna solidale di tutte le parti soccombenti quando queste abbiano un interesse comune; essa sostiene che non ricorrevano i presupposti per la condanna solidale in quanto la domande proposte dal B., parte vittoriosa, contro la CIC s.a.s e contro lo S. erano distinte e dovevano dar luogo a due condanne alle spese distinte.

Il motivo è infondato.

E’ del tutto irrilevante che le due cause fossero autonome perchè l’autonomia di più cause connesse e riunite (tali essendo le due cause, già riunite per connessione in primo grado, come risulta dalla sentenza impugnata) non esclude l’unicità del processo derivante dalla loro trattazione congiunta e non è, perciò, sufficiente ad escludere la condanna solidale alle spese delle rispettive parti soccombenti, aventi interesse comune (Cass. 23/7/1968 n. 2644); infatti, la condanna solidale al pagamento delle spese processuali nei confronti di più parti soccombenti ai sensi dell’art. 97 c.p.c. può essere pronunciata non solo quando vi sia indivisibilità o solidarietà del rapporto sostanziale, ma anche quando sussista un interesse comune.

Questa stessa sezione ha già avuto occasione di affermare, con orientamento al quale si reputa di dovere dare continuità, che la possibilità di porre le spese di lite solidalmente a carico di più parti soccombenti ove le stesse abbiano “interesse comune”, costituisce esercizio di una facoltà discrezionale del giudice di merito, esercitabile anche nei casi in cui vi sia una sostanziale convergenza di interessi, desumibile anche dalle condotte processuali e difensive in concreto osservate dalle parti, in base ad apprezzamento incensurabile in sede di legittimità (Cass. 21/11/2006 n. 24680).

La ricorrente, in un processo nel quale la comunanza di interessi era implicito nella riunione di due cause rispetto alle quali i convenuti avevano un comune interesse alla reiezione di entrambe le domande, non ha dedotto un vizio motivazionale attinente agli indicati profili, ma si è limitata a censurare la decisione sotto il profilo della violazione di norme di legge per giunta erroneamente indicate.

5. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese a favore di B.E., mentre non v’è luogo a provvedere sulle spese nei confronti degli altri intimati in quanto non costituiti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare al controricorrente B.E. le spese di questo giudizio di cassazione che si liquidano in complessivi Euro 2.800,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 4 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2011

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