Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17279 del 23/08/2016


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Cassazione civile sez. VI, 23/08/2016, (ud. 08/06/2016, dep. 23/08/2016), n.17279

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18998/2014 proposto da:

M.A. ((OMISSIS)), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA PARAGUAY 5, presso lo studio dell’Avvocato ROSARIO SICILIANO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’Avvocato FRANCESCO

SICILIANO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

WYETH LEDERLE S.P.A. (PI (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

DELLE MILIZIE 114, presso lo studio dell’Avvocato ANTONIO VALLEBONA,

che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 820/2014,

depositata il 4/2/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’8/6/2016 dal Consigliere Dott. CATERINA NIAROTTA;

udito l’Avvocato LUIGI CACCIAPAGLIA, difensore del controricorrente,

delega orale dell’Avvocato VALLEBONA, che si riporta agli scritti.

Fatto

RAGIONI DI FATTO EDI DIRITTO

1 – La Corte pronuncia in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c., a seguito di relazione a norma dell’art. 380 bis c.p.c., che ha concluso per l’accoglimento del ricorso e la cassazione per nullità, senza rinvio, della sentenza impugnata, condivisa dal Collegio.

2 – M.A., premesso di essere stato dipendente della Wyeth Lederle S.p.A., di aver risolto consensualmente il rapporto con conciliazione in sede assistita nel febbraio 2007, in conformità a precedente accordo sindacale di definizione della procedura di licenziamento collettivo del 7/2/2006, adiva il Tribunale, giudice del lavoro, di Latina chiedendo la condanna della società al risarcimento del danno in relazione alla individuazione (con assunzione di impegno da parte della Wyeth) quale Conctact Sales Organization, per l’assunzione dei lavoratori dell’informazione scientifica operanti nelle aree interessate dagli esuberi, di un soggetto (la Marvecs Pharma Service srl) che, lungi dall’assicurare l’assunzione con il mantenimento delle medesime garanzie occupazionali, contrattuali e di territorio, si era rivelato inadeguato dal punto di vista finanziario ed industriale tanto che in data 13/1/2011 ne era stato dichiarato il fallimento. Il Tribunale accoglieva la domanda sulla base della riconosciuta responsabilità precontrattuale e liquidava a titolo di risarcimento del danno una somma in via equitativa. Avverso tale sentenza proponevano impugnazione tanto il M. quanto la Wyeth. La Corte di appello di Roma decideva con una prima sentenza n. 820/2014 recante questo dispositivo: “in riforma della sentenza impugnata respinge le domande proposte da S.A. con il ricorso di primo gradi; dichiara la compensazione delle spese dei due gradi di giudizio”; quindi con una successiva sentenza n. 820/2014 la medesima Corte territoriale entrava nel merito dei ricorsi (principale ed incidentale) proposti dal M. e dalla Wyeth dando atto, per quanto rileva nel presente giudizio, che “per un problema tecnico connesso alla fase di invio telematico della sentenza da parte del presidente Estensore alla cancelleria relativa ai processi riuniti recanti n.i 6762/2011 e 9066/2011 vertenti tra Sogei S.p.A. e S.A., il sistema Consolle PCT ha collegato questa sentenza ai procedimenti n.i R.G. 3898 e 4323/2012, che sono stati definiti con il dispositivo letto all’udienza del 28/1/2014 e metto della presente sentenza. Nella fase di invio telematico, per ragioni tecniche in corso di accertamento, il sistema Consolle PCT, in automatico, ha mutato la intestazione della sentenza relativa ai procedimenti RG 6762/2011 e 9066/2011 ed inserito il numero di ruolo e le parti proprie dei procedimenti riuniti iscritti con i n.i R.G. 3898 e 4323/2012”.

Avverso tale seconda sentenza ricorre per cassazione M.A. con un motivo con cui denuncia la violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. per avere la sentenza n. 820/2014, notificata a mezzo PEC ai difensori in data 4/2/2014, violato il principio di irretrattabilità della decisione.

Wyeth Lederle S.p.A. resiste con controricorso sostenendo che, essendo la prima sentenza non più esistente, per essere stata la stessa “il frutto di un errore materiale della macchina”, giammai potrebbe configurarsi la denunciata violazione.

Nella memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2, la società evidenzia ulteriori profili di assenta inesistenza della prima delle due sentenze di cui si discute (mancata corrispondenza del collegio risultante dalla prima sentenza con quello che ha deciso la causa ed indicazione di una data di decisione diversa ed anteriore rispetto a quella dell’udienza di discussione).

3 – Le doglianze del ricorrente sono fondate.

Non vi è dubbio che la prima sentenza portante il n. 820/2014 sia stata ritualmente notificata alle parti a mezzo PEC in data 31 gennaio 2014 (munita della firma digitale del Presidente estensore e della attestazione del cancelliere).

Tale sentenza è venuta materialmente ad esistenza nel momento in cui il Presidente estensore ha trasmesso la stessa in formato elettronico per via telematica mediante PEC. Tanto si evince: – dalla coccarda e dalla dicitura firmato da “seguita dal cognome e dal nome del giudice in caratteri stampatello e dall’ulteriore dicitura (OMISSIS)” apposte sul margine destro di ciascuna delle pagine della copia cartacea della sentenza (ottenuta mediante il software in dotazione agli uffici giudiziari); – dal riepilogo Polisweb allegato al ricorso per cassazione dal quale si rileva che la sentenza definitiva relativa al fascicolo n. 3898/2012 è stata depositata, con la modalità telematica, in data 30/1/2014 (ore 18.21), munita della firma digitale del Presidente estensore; – dalla comunicazione dell’avvenuto deposito effettuata, sempre a mezzo PEC, dalla cancelleria all’avv. Francesco Siciliano (difensore dell’appellante) in data 31/1/2014, pure allegata al ricorso.

Come da questa Corte di recente precisato: “Il D.L. n. 193 del 2009, art. 4, convertito nella L. n. 24 del 2010, intitolato misure urgenti per la digitalizzazione della giustizia ha esteso al processo civile i principi previsti dal D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni (codice dell’amministrazione digitale: C.A.D.). Perciò, quest’ultimo costituisce, attualmente, l’apparato legislativo di riferimento qualora gli atti processuali di cui all’art. 121 c.p.c. e segg., ed in specie i provvedimenti del giudice, siano contenuti in documenti informatici. Quest’ultima eventualità è consentita, appunto, dal testo del menzionato art. 4 laddove presuppone l’adozione nel processo civile (…) delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in attuazione del principi previsti dal D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni. Quindi i principi generali del C.A.D. sono applicabili anche in ambito processuale e le relative disposizioni costituiscono le norme con valore di legge ordinaria che, per il tramite del D.L. 29 dicembre 2009, n. 193, art. 4, convertito nella L. 22 febbraio 2010, n. 24, disciplinano gli atti del processo civile redatti in forma di documento informatico (cfr. art. 1, lett. p, e art. 20, C.A.D.) e sottoscritti con firma digitale (cfr. art. 1, lett. s, e art. 21, C.A.D.). Le disposizioni del Regolamento di cui al D.M. n. 44 del 2011, emanato in attuazione dei principi previsti dal C.A.D., ed in particolare gli artt. 11 (formato dell’atto del processo in forma di documento informatico) e 15 (deposito dell’atto del 10 processo da parte del soggetti abilitati interni), coordinati con le norme tecniche del Provvedimento 18 luglio 2011 (oggi del Provvedimento 16 aprile 2014), rendono possibile che il magistrato (soggetto abilitato interno secondo la definizione contenuta nell’art. 2, comma 1, lett. m, n. 1, dello stesso Regolamento) rediga la sentenza in formato elettronico e la sottoscriva con firma digitale. In particolare, ai sensi del comma 1, dell’appena citato art. 15, nella formulazione risultante dalla sostituzione operata dal D.M. 15 ottobre 2012, n. 209, art. 2, comma 1, lett. a), l’atto del processo, redatto in formato elettronico da un soggetto abilitato interno e sottoscritto con firma digitale, è depositato telematicamente nel fascicolo informatico – cfr. Cass. 10 novembre 2015, n. 22871 che ha altresì evidenziato che la conformità della copia (analogica) all’originale (informatico), da cui è tratta, è attestata dal cancelliere, ai sensi dell’art. 23, comma 1, C.A.D., in tutte le sue componenti (compresa quindi la firma) e l’attestazione del cancelliere completa la rappresentazione esterna dell’apposizione della firma digitale, garantendo che il documento informatico ne sia munito in originale”.

Ed allora è del tutto irrilevante, ai fini della materiale esistenza di tale provvedimento, il successivo invio da parte del medesimo giudice estensore di altra sentenza relativa allo stesso fascicolo avvenuto, egualmente con modalità telematica, il 4/2/2014 (ore 9.22) – si veda sempre il riepilogo Polisweb allegato al ricorso per cassazione e la comunicazione dell’avvenuto (nuovo) deposito effettuata, sempre a mezzo PEC, dalla cancelleria all’avv. Francesco Siciliano (difensore dell’appellante) in data 4/2/2014, pure allegata al ricorso -, sulla base di un asserito “problema tecnico” relativo al precedente invio. Prima ancora di tale nuovo invio, infatti, la sentenza precedente, redatta in formato elettronico, regolarmente firmata e trasmessa a mezzo PEC dal Presidente estensore, era già da considerarsi depositata e pubblicata alla data di ricezione della stessa da parte della cancelleria (c.d. deposito telematico nel fascicolo informatico), come risultante documentato in atti.

I rilievi del ricorrente, che riguardano, dunque, un provvedimento intervenuto dopo che altro e precedente conclusivo era già stato depositato (non come semplice “minuta” ma come provvedimento definitivo, irretrattabile), colgono, così, nel segno.

Si consideri, infatti, che con la pubblicazione, ovvero il suo deposito in cancelleria, la sentenza diventa immodificabile ed irrevocabile da parte del giudice che l’ha pronunciata (e ciò anche laddove tale sentenza risulti affetta da una nullità assoluta ed insanabile, equiparabile all’inesistenza del provvedimento medesimo: con riferimento, ad esempio, all’omessa sottoscrizione della sentenza da parte del giudice, la nullità, in quanto non coperta dal giudicato formale, può essere fatta valere, anche al di fuori dell’impugnazione nello stesso processo, con un’autonoma azione di accertamento, non soggetta a termini di prescrizione o decadenza, ovvero in via di eccezione, ed altresì in sede di opposizione all’esecuzione; tuttavia ad essa non può ovviarsi, dopo il deposito in cancelleria, attraverso l’integrazione dell’originale mediante le sottoscrizioni dei giudicanti, in quanto alla pubblicazione della sentenza fa riscontro la consumazione del potere – dovere del giudice adito di pronunciare sulla domanda oggetto della decisione – cfr. Cass. 31 ottobre 2005, a 21193 -.

Con riguardo all’ipotesi che alla redazione integrale della sentenza provveda direttamente il giudice estensore, in particolare, in formato elettronico, questa Corte, a Sezioni Unite, si è già pronunciata (“anche in previsione dell’entrata in vigore delle regole e specifiche tecniche dettate – artt. 15, 16 e 34 – dal Regolamento contenuto nel D.M. n. 44 del 2011, per l’adozione nel processo civile delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in attuazione del D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, e succ. mod. ai sensi del D.L. 29 dicembre 2009, n. 193, art. 4, commi 1 e 2, convertito nella L. 22 febbraio 2010 n. 24”) ed ha precisato che: “dal momento in cui il documento, conforme al modello normativa (art. 132 c.p.c., e art. 118 disp. att. c.p.c.), è consegnato ufficialmente in cancelleria – ovvero è trasmesso in formato elettronico per via telematica mediante PEC (D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 48) – il procedimento della decisione si completa e si esterna e dalla relativa data la sentenza diviene irretrattabile dal giudice che l’ha pronunziata; è legalmente nota a tutti; inizia a decorrere il termine lungo di decadenza per le impugnazioni di cui all’art. 327 c.p.c., comma 1; produce tutti i suoi effetti giuridici” – cfr. Cass., Sez. Un., 1 agosto 2012, n. 13794 -.

Nella specie il suddetto deposito in cancelleria era già avvenuto con la trasmissione (e contestuale deposito telematico nel fascicolo informatico) della sentenza definitiva relativa al fascicolo n. 3898/2012 in data 30/1/2014 (ore 18.21), munita della firma digitale del Presidente estensore.

A fronte di una sentenza già redatta, ritualmente trasmessa in formato elettronico per via telematica mediante PEC, munita della firma digitale del Presidente estensore, non sussisteva più la possibilità per il giudice di esprimersi nuovamente.

E’ pur vero che è stato ritenuto che, qualora sia stato emesso nei confronti delle parti del giudizio un provvedimento giurisdizionale avente contenuto decisorio, ma con motivazione e dispositivo relativi a diversa causa concernente altri soggetti, tale provvedimento, affetto da nullità radicale (cd. inesistenza giuridica), comporta un incompiuto esercizio della giurisdizione ed una inattitudine al giudicato, con possibilità per lo stesso giudice di procedere alla sua rinnovazione, attraverso l’emanazione di un atto valido conclusivo del giudizio, tuttavia ciò presuppone necessariamente un’autonoma azione di accertamento negativo (“actio nullitatis”) – che può essere fatta valere in ogni tempo e che comunque non esclude che tali vizi possano essere fatti valere tempestivamente con i normali mezzi di impugnazione, ove ricorra l’interesse della parte ad una espressa rimozione dell’atto processuale viziato – cfr. Cass. 28 dicembre 2009, n. 27428; Cass. 29 dicembre 2011, n. 30067; Cass. 17 marzo 2014, n. 61623 -; deve, perciò, essere escluso che alla suddetta nullità radicale possa ovviarsi, dopo il deposito in cancelleria, attraverso l’emanazione di una nuova sentenza “integrata” con appropriate motivazione e dispositivo (si veda anche la già sopra citata Cass. 31 ottobre 2005, n. 21193 -).

Nè fondatamente la società evidenzia, con la memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2, ulteriori profili di asserita inesistenza della prima delle due sentenze di cui si discute.

Va al riguardo evidenziato che una indicazione, nell’intestazione della sentenza, del nome di magistrato diverso da quelli componenti il collegio dinanzi al quale la causa è stata discussa e che ha trattenuto la causa in decisione, può anche essere ascritta ad un mero errore materiale, come tale neppure comportante la nullità della sentenza, ma suscettibile di correzione ai sensi dell’art. 287 cod. proc. civ., considerato che detta intestazione è priva di autonoma efficacia probatoria, esaurendosi nella riproduzione dei dati del verbale di udienza, e che, in difetto di elementi contrari, si devono ritenere coincidenti i magistrati indicati in tale verbale come componenti del collegio giudicante con quelli che in concreto hanno partecipato alla deliberazione della sentenza stessa – così Cass. 6 ottobre 1998, n. 9898; Cass. 13 settembre 2006, n. 19662; Cass. 14 dicembre 2007, n. 26372; Cass. 6 luglio 2010, n. 15879; Cass. 5 febbraio 2016, n. 2318 -. Eguale ragionamento deve essere fatto con riguardo all’indicazione risultante dalla sentenza di una data di deliberazione diversa da quella reale evincibile dal verbale dell’udienza di discussione. Di conseguenza entrambi i rilievi sono da considerare assorbiti nelle considerazioni sopra svolte con riguardo alla irretrattabilità della sentenza depositata in data 30 gennaio 2014.

4 – Ricorre con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375 c.p.c., n. 5, per la definizione camerale del processo.

5 – In conclusione il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata per nullità, senza rinvio (risolvendosi il vizio riscontrato in un eccesso di potere giurisdizionale).

6 – La particolarità dei temi trattati ed il solo recente esame da parte di questo giudice di legittimità delle questioni poste dal codice sull’amministrazione digitale consentono di compensare tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa per nullità la sentenza impugnata, senza rinvio; compensa tra le parti le spese.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2016

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