Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17275 del 23/07/2010

Cassazione civile sez. I, 23/07/2010, (ud. 26/05/2010, dep. 23/07/2010), n.17275

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

A.M. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, CORSO TRIESTE 87, presso l’avvocato BELLI BRUNO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato BONARDI PIETRO,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.M.C.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 636/2005 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 09/07/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/05/2010 dal Consigliere Dott. MASSIMO DOGLIOTTI;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato RAPISARDA, con delega, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso e deposita nota spese;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato in data 25-3-1999, C.M. C. chiedeva che fosse dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio, contratto con A.M.. Chiedeva l’affidamento a sè del figlio minore e un assegno mensile di L. 3.000.000 per sè e per il figlio.

Costituitosi il contraddittorio, l’ A. non si opponeva al divorzio, ma contestava le domande di contenuto economico.

Il Presidente del Tribunale di Brescia confermava, con ordinanza, il regime di separazione consensuale. Con sentenza non definitiva del 31- 1-2001, il Tribunale di Brescia dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Nelle more il figlio delle parti diveniva maggiorenne.

Con sentenza definitiva dell’11-30/3/2004, il Tribunale di Brescia determinava assegno mensile a carico dell’ A. e a favore della C. e del figlio, maggiorenne ma non autosufficiente autonomamente, di Euro 1.032,91.

Con riscorso in appello, depositato in data 16-6-2004, l’ A. chiedeva revocarsi l’assegno per la moglie e ridursi quello per il figlio.

Costituitosi il contraddittorio, la C. chiedeva rigettarsi l’appello.

La Corte d’Appello di Brescia, con sentenza 25-5-/9-7-2005, rigettava l’appello.

Ricorre per cassazione l’ A., sulla base di tre motivi.

Non ha svolto attività difensiva la C..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione degli artt. 147, 148 c.c. e art. 6 L. Divorzio, nonchè omessa e contraddittoria motivazione.

Il motivo va dichiarato inammissibile.

Il ricorrente, pur lamentando violazione di legge, nella specie insussistente, introduce nella sostanza elementi di fatto insuscettibili di valutazione in questa sede, in contrasto con le indicazioni della sentenza impugnata. Egli afferma che il figlio, maggiorenne, non abita più nella casa della madre, e che questa non provvede più al suo accudimento, laddove la sentenza impugnata precisa, con motivazione adeguata e non illogica, che vi è bensì un certo pendolarismo del figlio tra madre e padre; che il ragazzo, a (OMISSIS) dove abita il padre, ha sicuri interessi e relazioni, e tuttavia egli non ha abbandonato la casa materna a (OMISSIS), presso cui mantiene la residenza anagrafica; nella casa quindi ha il suo guardaroba e considera la stessa come propria abitazione; il “pendolarismo” del figlio è effettuato, utilizzando l’auto della madre, ed essa deve provvedere a tutte le necessità conseguenti:

secondo il Giudice a quo dunque la convivenza tra madre e figlio non è cessata, e la madre, che ha un reddito di gran lunga inferiore a quello dell’ex coniuge, continua a sostenere le spese dalla convivenza derivanti, e in particolare l’affitto di casa. Ne consegue – secondo la pronuncia impugnata – il diritto della C. a vedersi sollevata, almeno parzialmente, dai relativi oneri, da parte dell’ A..

Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 155 e 147 c.c., nonchè omessa e contraddittoria motivazione della sentenza. Egli sostiene la carenza di legittimazione della C. a percepire l’assegno per il figlio.

Come sembra, del resto, ammettere lo stesso ricorrente, giurisprudenza ampiamente consolidata (per tutte Cass. n. 4765 del 2002) precisa che il genitore già affidataria del figlio, successivamente maggiorenne, ma non autosufficiente economicamente, e ancora convivente, è legittimato a chiedere un contributo all’altro genitore, a titolo di rimborso di quanto da lui anticipato, anche per il contributo dell’altro genitore (ai sensi dell’art. 148 c.c., i genitori devono adempiere all’obbligo di mantenimento del figlio in proporzione alle rispettive sostanze e secondo le loro capacità di lavoro professionale o casalingo) nonchè il versamento in via preventiva di tale contributo.

Queste indicazioni non sono certo contraddette dal contenuto dell’art. 155 quinquies c.c., introdotto dalla L. n. 54 del 2006, che prevede la possibilità di un versamento diretto dell’assegno, dal genitore obbligato al figlio maggiorenne (ma ciò poteva accadere anche anteriormente, se il figlio maggiorenne avesse convenuto in giudizio il genitore per ottenere il mantenimento): ciò che non esclude, alternativamente, la legittimazione del genitore, già affidatario e convivente con il figlio, a richiederlo all’altro genitore.

Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della L. Divorzio, art. 5, artt. 115 e 116 c.p.c., omessa pronuncia, omessa insufficiente e contraddittoria motivazione, in ordine alla sua condanna a corrispondere assegno mensile alla C..

Il motivo va rigettato, in quanto infondato.

Per giurisprudenza ampiamente consolidata (tra le altre Cass. n. 18477 del 2005), l’inadeguatezza dei redditi del coniuge divorziato, va rapportata al tenore di vita da lui goduto in costanza di matrimonio.

Afferma il ricorrente che la moglie ha acquisito redditi notevoli derivanti dalla sua attività, che non sono stati presi in considerazione dal giudice a quo, il quale invece ha sopravvalutato quelli propri del ricorrente. Al contrario, la Corte di merito, con motivazione adeguata e non illogica, da un lato, ha precisato che la modestia dell’assegno per la C. si concretizza un parziale contributo, che presuppone il godimento di un qualche reddito da parte di essa. Precisa che, sulla base della dichiarazione dei redditi e sul flusso di entrate derivanti da conti correnti bancari ad essa intestati, la C. gode di un reddito di circa L. 1.000.000/1.200.000 mensili, ivi compreso il “fondo spese” derivante da una sua attività politica; al contrario – continua il Giudice a quo – l’ A., di professione architetto, gode di redditi elevati, è nudo proprietario di un prestigioso immobile, ha venduto altro prestigioso immobile di cui era comproprietario, dispone di una lussuosa vettura, ecc…

Conclusivamente, il ricorso va rigettato.

Nulla sulle spese, non avendo svolto attività difensiva la C..

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 26 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2010

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