Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17274 del 30/07/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 17274 Anno 2014
Presidente: CECCHERINI ALDO
Relatore: GENOVESE FRANCESCO ANTONIO

Ud. 11/06/2014

SENTENZA
PU

sul ricorso 15309-2008 proposto da:
INTESA

SANPAOLO

S.P.A.

(C.F.

00799960158),

denominazione assunta per incorporazione del
SANPAOLO IMI S.P.A. in BANCA INTESA S.P.A., in

Data pubblicazione: 30/07/2014

persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DI VILLA
2014
1218

GRAZIOLI 15, presso l’avvocato BENEDETTO GARGANI,
che la rappresenta e difende unitamente
all’avvocato FERRAGUTO ANTONIO, giusta procura in
calce al ricorso;

1

– ricorrente contro

LEONESSA INVESTIMENTI S.R.L. A SOCIO UNICO (già
FALLIMENTO DELLASCHIAVA S.P.A.), in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente

l’avvocato SARROCCO PIETRO, che lo rappresenta e
difende unitamente all’avvocato LINO GERVASONI,
giusta procura speciale per Notaio dott. FRANCESCO
LESANDRELLI di BRESCIA – Rep.n. 105.688 del
23.5.2014; – c

o8004So – controri corrente –

avverso la sentenza n. 3039/2007 della CORTE
D’APPELLO di MILANO, depositata il 16/11/2007;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 11/06/2014 dal Consigliere
Dott. FRANCESCO ANTONIO GENOVESE;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato R. CATALANO,
con delega, che ha chiesto l’accoglimento del

domiciliata in ROMA, VIA PASUBIO 4, presso

ricorso;
udito, per il controricorrente,

l’Avvocato P.

SARROCCO che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PASQUALE FIMIANI che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

2

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.La Corte d’appello di Milano ha parzialmente accolto
l’impugnazione proposta da

Banca Intesa spa

Intesa

Intesa Gestione

SanPaolo spa a mezzo del suo procuratore

avverso la sentenza del Tribunale di Milano

con la quale era stata, a sua volta, accolta la domanda
revocatoria proposta dalla curatela del fallimento della
società

Dellaschiava Spa

e la prima condannata al

pagamento, in favore della seconda, di una somma di danaro,
comprensiva degli accessori, previa dichiarazione di
inefficacia, ai sensi dell’art. 67, comma 2, lf, delle
rimesse effettuate dalla società fallita, nell’anno
anteriore alla dichiarazione di fallimento, sul conto
corrente (n. 17035/17) da essa intrattenuto con la predetta
Banca

(nella figura della incorporata

Veneto),

riducendo l’ammontare del

Banco Ambrosiano

quantum

da restituire

alla Curatela per l’errato computo di due effetti tornati

7

insoluti.

4
(

2.Secondo la Corte territoriale,

peraltro,

andavano

respinte quasi tutte le censure proposte dalla Banca
avverso la sentenza di primo grado, perché:
a)non sarebbe mancato l’elemento soggettivo dell’azione
proposta dalla curatela fallimentare, anzi, tanto copioso
da giustificare la triplice aggettivazione di «eclatante,
3

Crediti spa)

(ora

consistente e convergente». Infatti, il coacervo di
elementi dai quali risultava la

sci entia decoctionis

sarebbe costituito da vari decreti ingiuntivi, per un
rilevante importo complessivo; da 22 procedure esecutive
mobiliari, in pregiudizio della debitrice; da una

compravendita con concessione di ipoteca volontaria in
favore dell’acquirente; dalla qualità di osservatore
professionalmente qualificato, propria di ogni banca;
dall’andamento al rientro del conto corrente bancario;
dall’esame dei bilanci nel quadriennio 1993-1996;
b)sul piano oggettivo, l’azione revocatoria era stata
fondatamente esperita in considerazione dell’insussistenza
di un preteso affidamento (non essendo stata fornita la
prova del fido, non bastando la sola dicitura figurante
sull’estratto conto) nonché dalla mancata prova di cessioni
di credito contestuali alle richieste di anticipazioni di
effetti «rimessi al s.b.f.», nonché di partite bilanciate e
dell’esclusione di alcune ipotesi di compensazioni legali,
esulanti dalla previsione dell’art. 1853 c.c.
3.Avverso tale decisione la Banca ha proposto ricorso per
cassazione affidato a tredici motivi.
4.La curatela resiste con controricorso.
5.

In

prossimità

dell’udienza,

ha

spiegato

atto

d’intervento, totalmente adesivo alle ragioni esposte nel
4

suo ricorso dalla Curatela fallimentare, la soc.
Investimenti srl a socio unico,

Leonessa

in qualità di terzo

proponente della domanda di concordato, omologato dal
Tribunale di Milano con decreto divenuto definitivo in data
3 aprile 2012, nella veste di successore a titolo

particolare del Fallimento nel diritto controverso, anche a
seguito della chiusura della procedura fallimentare (con
decreto del 1 0 febbraio 2013).
MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1.Con il primo mezzo di ricorso (Omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della
controversia prospettato dalla convenuta: irrilevanza ai
fini della

scientia decoctionis

di decreti ingiuntivi,

procedure monitorie, protesti e atti di dismissione del
patrimonio della fallita) la ricorrente ha premesso che la
Corte d’Appello ha considerato indici presuntivi della
scientia decoctionis della Banca i decreti ingiuntivi, le
procedure esecutive mobiliari nei confronti della fallita e
la stipula di una compravendita con il rilascio di una
garanzia ipotecaria in favore di un terzo sui beni immobili
di sua proprietà, in tal modo mostrando una sintomatologia
d’insolvenza della società fallita che non sarebbe potuta
sfuggire all’attenzione di un osservatore professionalmente
qualificato quale è la Banca. Tale motivazione sarebbe
prima ancora che insufficiente del tutto tautologica perché
5

non spiegherebbe come e perché le dette circostanze
costituirebbero un indice di

scientia decoctionis da parte

della Banca, considerato che:
a)

i decreti ingiuntivi non sono soggetti a forme

particolari di pubblicità, non essendo conoscibili dai
terzi (anche per l’esclusione del diritto alla libera
consultazione dei registri relativi a tali procedimenti);
b) i pignoramenti immobiliari non integrano la prova della
scientla decoctionis,

se non nel caso che essi siano stati

eseguiti dallo stesso creditore, e ciò per la mancanza di
pubblicità che li caratterizza;
c) la compravendita, con la contestuale prestazione di
garanzia a favore dello stesso soggetto acquirente,
sarebbero stati posti in essere alla fine di luglio 1997,
ossia dopo il compimento di tutte le operazioni delle quali
il curatore ha chiesto la revoca.
1.2. Con il secondo

(Violazione e falsa applicazione degli

artt. 2727 c.c. e 67, 2 ° co 1.f.) la ricorrente censura la
decisione di appello nella parte in cui ha posto a base del
suo ragionamento presuntivo un complesso di circostanze
(le procedure esecutive e monitori, i negozi di
disposizione del patrimonio immobiliare compiuti dopo le
operazioni revocate) assolutamente inidonee a condurre alla
prova della conoscenza dello stato d’insolvenza della
6

fallita, per la loro inidoneità a creare il necessario
rapporto di inferenza del fatto ignoto da quello noto.
A tale proposito, la ricorrente ha posto il seguente,
articolato, quesito di diritto, ai sensi dell’art. 366-bis

c.p.c.: a)«Dica la Corte Suprema che in tema di revocatoria
fallimentare la mera prova dell’esistenza di procedure
monitorie ed esecutive promosse a carico del fallendo, in
difetto di prova della effettiva conoscenza di esse da
parte del convenuto, non costituisce elemento presuntivo
idoneo a provare la conoscenza dello stato d’insolvenza
dell’accipiens»;

b)

«dica conseguentemente la SC che al

fini della prova della scientia decoctionis, le procedure
monitorie ed esecutive mobiliari possono eventualmente
venire in rilievo solo se sia stato dimostrato mediante
prova diretta che il convenuto ne sia effettivamente venuto
a conoscenza e che, in difetto di tale ulteriore prova,
tali circostanze non possono essere poste alla base di un
valido ragionamento presuntivo della scientia decoctionis
dell’accipiens»; c) «dica altresì la CS che il curatore che
agisca in revocatoria nei confronti della Banca deve
dimostrare che quest’ultima fosse a conoscenza dello stato
d’insolvenza della correntista poi fallita al momento
dell’esecuzione delle rimesse oggetto di revocatoria,
mentre sono irrilevanti tutte le circostanze successive, in
particolare gli atti di disposizione del patrimonio da
7

parte del debitore successivi al compimento delle
operazioni oggetto di revocatoria, salvo che l’attore
fornisca la prova che il convenuto ne fosse in anticipo a
conoscenza».
Con il terzo

(Omessa, insufficiente e contraddittoria

1.3.

motivazione circa un punto decisivo della controversia
prospettato dalla convenuta: irrilevanza ai fini della
scientia decoctionis

dell’andamento del conto corrente

della fallita. Violazione e falsa applicazione dell’art.
2727 c.c.) la ricorrente ha lamentato un’apparente
motivazione in ordine all’andamento del conto corrente
bancario, affermando che il suo andamento si era delineato
come prevalentemente al rientro (con «sporadiche
eccezioni»), ma ignorando diversi fatti contrari: le
numerosissime registrazioni anche nella colonna «dare»; il
pagamento di assegni emessi dalla cliente; l’esecuzione di
ordini di pagamento impartiti dalla stessa; l’andamento del
conto in saldo attivo dalla fine di aprile 1997 fino alla
sua chiusura. Inoltre, la ricorrente censura la decisione
in esame perché essa avrebbe ritenuto che l’andamento del
conto possa, di per sé, essere considerato un elemento
presuntivo della scientia decoctionis.

La sentenza quindi

andrebbe annullata anche sotto un diverso e secondo
profilo, attinente alla violazione dell’art. 2727 e ss.
c.c., in relazione alla quale viene posto il seguente
8

quesito di diritto:

«Dica la S.C. che, al fini della prova

della scientia decoctionis, il preteso irregolare andamento
del conto corrente costituisce un elemento indiziarlo di
valutazione di natura non univoca che non può pertanto

ex art. 2727 c.c. di conoscenza dello stato d’insolvenza in
capo al terzo convenuto in revocatoria».

47

1.4. Con il quarto (Omessa, insufficiente e contraddittoria

motivazione circa un punto decisivo della controversia
prospettato dalla convenuta: irrilevanza ai fini della

sci entia decoctionis

dei bilanci della fallita) la

ricorrente ha lamentato la contraddittorietà e illogicità
della motivazione in ordine alla considerazione dei bilanci
della società fallita, dimenticando che tali documenti
sarebbero considerati da tali operatori economici solo con
riferimento alla cd. clientela affidata ed ai fini
dell’erogazione ed il mantenimento del credito, non anche
per la cd. clientela non affidata, quale sarebbe stata la
società fallita proprio secondo il giudice di appello. Non
avrebbero rilievo le affermazioni del giudice di merito
circa la presunzione della conoscenza dei bilanci della
fallita in ragione della «

rilevanza economica della

società Dellaschiava e dell’apertura, a nome di questa, di
due conti “anticipi su fatture” e di “anticipi su ricevute”
postulanti operazioni di sconto ».

Infatti, la rilevanza
9

assumere un preciso significato, né fondare una presunzione

economica della società poi fallita sarebbe un concetto
evanescente mentre il cd. castelletto di sconto non
attribuirebbe al cliente della banca, a differenza
dell’apertura di credito, alcuna facoltà di disporre, con
immediatezza, di una somma determinata. Mancando i dati

certi per presumere la conoscenza dei bilanci societari da
parte della banca si profilerebbero due vizi nella
sentenza: uno, quello di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. ed un
altro, quello di cui all’art. 360 n. 3 c.p.c..
Alla fine della prima parte del ragionamento svolto, la
ricorrente ha, pertanto, posto il seguente quesito di
diritto:

«Dica la S.C., considerato che i doveri di

vigilanza sulle condizioni economiche della clientela
imposte agli Istituti di credito dalla Banca d’Italia
riguardano la sola clientela affidata, che i bilanci della
società fallita non possono assumere rilievo ai fini della
prova della scientia decoctionis dell’istituto di credito
che non abbia concesso alla correntista fallita alcuna
apertura di credito in conto corrente».
Proseguendo nella critica motivazionale, la ricorrente ne
denuncia carenza ed insufficienza facendo ampio richiamo
alle affermazioni contenute nella relazione,

ex art. 33

1.f., del curatore; all’irrilevanza del bilancio relativo
all’esercizio 1996 (perché depositato dopo il compimento di
tutte le operazioni revocate); al rilievo che avrebbero
10

particolari poste del bilancio dell’esercizio 1995; per
concludere per l’impossibilità che la Banca potesse
avvedersi della loro irregolare tenuta.
1.5.

Con il

quinto

(Violazione e falsa applicazione

dell’art. 67, 2 ° co 1.f.) la ricorrente, facendo evidente
richiamo a quanto svolto ed argomentato nel corpo del
quarto e precedente mezzo di ricorso, ribadito che i
bilanci della società debitrice si chiudevano tutti con
utili di esercizio, pone il seguente, articolato, quesito
di diritto:
«Dica la S.C. che il presupposto soggettivo per la
proposizione dell’azione revocatoria fallimentare si
identifica nella conoscenza effettiva e concreta, da parte
del creditore, dello stato d’insolvenza del debitore poi
fallito e non anche solo potenziale ed astratta; dica, di
conseguenza, la S.C. che la conoscenza effettiva dello
stato di insolvenza della correntista poi fallita non può
ritenersi dimostrata in base a bilanci che non
rappresentino in modo chiaro ed incontrovertibile tale
insolvenza, soprattutto laddove si chiudano con utili di
esercizio»
1.6. Con il sesto

(Omessa, insufficiente e contraddittoria

motivazione circa un punto decisivo della controversia
prospettato

dalla

convenuta:

il

saldo

disponibile
11

giornaliero. Violazione e falsa applicazione dell’art.
67,2 ° co 1.f.) la ricorrente ha censurato la decisione
della Corte territoriale, con riferimento al profilo
oggettivo della fattispecie revocatoria, nella parte in
cui, facendo proprie le meno favorevoli (alla Banca)

risultanze della Ctu assunta nel corso del giudizio di
secondo grado, ha disatteso l’eccezione della ricorrente,
circa la necessità di far riferimento al «saldo disponibile
giornaliero» (ossia al saldo di fine giornata), facendo
invece proprio il criterio del «saldo disponibile
infragiornaliero», in caso di plurime operazioni di segno
opposto in relazione a ciascuna delle quali appaia uno
scoperto di conto. In tal caso, secondo la ricorrente, la
curatela avrebbe avuto l’onere di dimostrare la cronologia
dei singoli movimenti atteso che essa non potrebbe essere
desunta dall’ordine delle operazioni risultante
dall’estratto conto onde, in mancanza di tale prova, le
rimesse revocabili dovrebbero essere individuate secondo il
criterio del saldo disponibile di fine giornata.
Il quesito di diritto proposto è stato:

«Dica la S.C. che

in caso di plurime operazioni di segno opposto nella
medesima giornata, in cui appaia uno scoperto di conto, il
fallimento che chieda la revocatoria di rimesse aventi
carattere solutorio in relazione al saldo infragiornaliero
(e non al saldo della giornata) ha l’onere di dimostrare la
12

cronologia del singoli movimenti: non potendo questa essere
attendibilmente desunta dall’ordine delle operazioni
risultante dall’estratto conto e, in mancanza di tale
prova, le rimesse revocabili devono essere individuate
secondo il criterio del saldo disponibile di fine

1.7.

Con il

settimo

giornata».
(Insufficiente motivazione circa un

punto decisivo della controversia prospettato dalla
convenuta: l’inclusione dell’operazione di £ 64.070.469 in
data 10 aprile 1997 fra quelle oggetto di revocatoria.
Violazione e falsa applicazione dell’art. 67,2 ° co 1.f.) la
ricorrente censura la motivazione spesa dalla Corte
territoriale (a p. 13), laddove fa propria la
considerazione dell’ausiliario circa la natura imprecisata
di una certa operazione economica, e lamenta che la Corte
territoriale avrebbe considerato due volte la stessa
rimessa (di £ 64.070.469), in quanto una volta annotata per
mero errore e perciò stornata e quindi riaccreditata in un
momento successivo, compiendo la duplicazione della
revocatoria della stessa operazione.
Il quesito plurimo proposto dal ricorrente è stato il
seguente:
«Dica la SC che il contenuto degli estratti conto prodotti
in giudizio dal Curatore che agisca in revocatoria nel
13

confronti della Banca devono essere considerati nella loro
interezza e valgono come prova, anche presuntiva, elle
ragioni della Banca; dica conseguentemente la SC che
qualora dagli estratti del cc risulti chiaramente che una
determinata operazione è stata annotata per mero errore,

stornata e quindi riaccreditata in un momento successivo,
va esclusa l’ipotesi di estendere la revocatoria ad
entrambi gli accrediti, trattandosi sempre delle medesime
somme e, quindi, di una duplicazione di domanda; dica in
ogni caso la Corte di cassazione che, qualora a fronte di
un’annotazione registrata nella colonna “avere” del conto
corrente risulti nella medesima giornata una speculare
registrazione in “dare” di importo superiore od identico,
tale per cui ai fini del saldo del conto la prima posta è
neutra e non produce alcun effetto solutorio, essa non può
essere considerata un pagamento in favore della Banca e non
è di conseguenza soggetta alla sanzione di cui all’art. 67,
2° comma, L.F.».
1.8.

Con l’ottavo

(Violazione e falsa applicazione degli

artt. 1853 c.c.; 56 e 67,2 ° co 1.f.) la ricorrente censura
la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la
compensazione tra due registrazioni (una di £ 15 milioni ed
altra di £ 5 milioni) annotate con la causale di
«giroconto» da un conto corrente ordinario ad altro

14

intrattenuto dalla stessa società Dellaschiava con la
stessa Banca.
Pertanto essa ha posto il seguente quesito di diritto:
«Dica la SC che l’art. 1853 c.c., applicazione del

principio generale dell’operatività della compensazione
sancito dall’art. 1241 c.c., consente, salvo patto
contrario, la compensazione tra la banca e il correntista
dei saldi attivi e passivi di più conti correnti di
corrispondenza a quest’ultimo intestati, anche quando i
relativi rapporti siano ancora in corso; dica altresì la CS
che in caso di fallimento del correntista, la compensazione
si sottrae, a norma dell’art. 56 1. f., alla revocatoria
fallimentare».
1.9.

Con il nono

(Omessa, insufficiente e contraddittoria

motivazione circa un punto decisivo della controversia
prospettato dalla convenuta: la cessione in favore della
Banca dei crediti da questa anticipati) la ricorrente ha
censurato la sentenza impugnata nella parte in cui (p. 11
lett. b) ha ritenuto non provati i contratti di cessione
dei crediti dalla società debitrice alla Banca, in
corrispondenza della anticipazione al sbf. La Banca censura
tale conclusione in quanto avrebbe fornito la prova dei
contratti ritenuta inspiegabilmente come mancante dalla
Corte territoriale con una motivazione apodittica e
apparente.
15

1.10.

Con

il

decimo

(Omessa,

insufficiente

e

contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della
controversia prospettato dalla convenuta: non revocabilità
dell’operazione di £ 5.355.000 in data 5 giugno 1997.
Violazione e falsa applicazione dell’art. 67,2 ° co 1.f.) la

ricorrente ha censurato la sentenza impugnata nella parte
in cui (p. 12) ha ritenuto soggetta a revocatoria sia la
rimessa corrispondente all’anticipazione di un credito del
cliente sia di quella corrispondente al pagamento da parte
del terzo debitore in ragione della distinta annotazione
cronologica delle due operazioni ciò che le renderebbe
autonome e suscettibili di revocatoria. La Banca ha
censurato tale conclusione in quanto non avrebbe fornito
una motivazione sufficiente e logica atteso che
l’operazione di anticipazione deve avvenire sempre prima
del pagamento dei titoli da parte dei relativi debitori.
Con riferimento alla violazione di legge, la ricorrente ha
posto il seguente quesito di diritto:

«Dica la SC che in

tema di revocatoria fallimentare delle rimesse su conto
corrente bancario, il curatore non può chiedere la revoca
sia della rimessa corrispondente all’anticipazione di un
credito del cliente sia di quella corrispondente al
pagamento da parte di un terzo».
1.11. Con l’undicesimo

(Insufficiente motivazione circa un

ulteriore punto decisivo della controversia prospettato
16

dalla convenuta: la non revocabilità delle anticipazioni
compiute dalla Banca in favore della correntista) la
ricorrente ha censurato la sentenza impugnata nella parte
in cui (a pp. 10-11) ha considerato revocabili le
anticipazioni dai conti anticipi a quello ordinario, in

difetto dell’autonomia delle operazioni di accredito (e
corrispondente addebito). Secondo la ricorrente, invece, le
anticipazioni costituiscono somme messe a disposizione
della Banca in favore del correntista, ciò che produrrebbe
l’unico effetto di incrementare il debito del correntista
verso di essa; l’operazione economica, pertanto, non
costituirebbe un pagamento revocabile.
1.12.

Con il dodicesimo

(Violazione e falsa applicazione

degli artt. 1853 c.c. e 67,2 ° co 1.f.) la ricorrente
critica l’orientamento maggioritario che escluderebbe
l’applicabilità al rapporto di conto corrente bancario
dell’art. 1823c.c., applicabile invece al solo rapporto di
conto corrente ordinario.
La ricorrente ha, pertanto, posto il seguente quesito di
diritto:
«Dica la SC che il credito della Banca per saldo passivo di
conto corrente diventa esigibile per effetto del recesso
della Banca dall’apertura di credito e, comunque, della
chiusura del conto corrente; dica la CS che finché il
17

rapporto è in essere le singole operazioni non
costituiscono crediti liquidi ed esigibili che possono
essere oggetto di pagamento da parte del correntista. Dica
quindi la SC che, alla luce di quanto precede, le
operazioni registrate in conto corrente non possono essere

fatte oggetto di revocatoria al sensi dell’art. 67, 2 °
coma, LF5>.
1.13.

Con il

(Omessa,

tredicesimo

insufficiente e

contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della
controversia prospettato dalla convenuta: la ripartizione
delle spese di lite e di CTU) la ricorrente critica la
sentenza impugnata perché, nonostante la parziale
soccombenza del fallimento nel giudizio di secondo grado,
le spese di lite di entrambi i gradi, oltre quelle di Ctu,
sono state poste a carico della Banca in misura integrale,
senza alcuna motivazione.
***

2.

Deve

dapprima

esaminarsi

l’ammissibilità

dell’intervento, svolto in questa fase del giudizio,
dall’assuntore del concordato, in veste di resistente,
pienamente adesivo alla posizione della Curatela
controricorrente.
2.1.

A tal proposito, l’assuntore ha provato l’avvenuta

chiusura della procedura concorsuale e il possesso della
18

propria qualità di assuntore e di successore nei diritti
attivi della massa, compresi quelli relativi alle azioni
giudiziali (come la presente) revocatorie, già pendenti
davanti ai giudici dello Stato.
In riferimento a tale posizione, questa Corte (Cass.

2.2.

Sez. 1, Sentenza n. 18967 del 2013) ha enunciato il
principio di diritto secondo cui «nel giudizio di
cassazione proposto dal curatore fallimentare avverso il
decreto di liquidazione del proprio compenso, è ammissibile
l’intervento dell’assuntore del concordato, che sia
subentrato nelle posizioni obbligatorie facenti capo al
fallito e alla massa con liberazione del debitore
originario, in quanto successore a titolo particolare nel
diritto controverso».
2.3.Trattandosi, nel caso di specie, di successione, a
titolo particolare, nella res litigiosa (avendo la cessione
dell’attivo, in favore dell’assuntore, riguardato anche le
azioni revocatorie pendenti), l’intervento è ammissibile
ed idoneo a consentire all’assuntore di subentrare nella
posizione già svolta e coltivata, in questo giudizio, dalla
Curatela fallimentare, della quale ha preso il posto,
subentrando nelle posizioni di questa.
**

3. Può ora passarsi all’esame dei motivi di ricorso.
19

3.1. Alcuni di questi sono del tutto inammissibili perché,

svolgendo doglianze attinenti a vizi motivazionali, mancano
della necessaria sintesi finale non avendo le ricorrenti,

ai sensi dell’art. 366- bis cod. proc. civ., per le cause
(come questa) ancora soggette alla sua applicazione,
provveduto a formulare il c.d. quesito di fatto. In
sostanza, tali motivi mancano della conclusione con un
apposito momento di sintesi, anche quando l’indicazione del
fatto decisivo controverso sia rilevabile dal complesso
della censura. Infatti, a corredo dei motivi recanti
censure motivazionali, il ricorrente deve formulare il
necessario momento di riepilogo, che deve consistere in uno
specifico e separato passaggio espositivo del ricorso ove,
in modo sintetico, evidente ed autonomo (rispetto al tenore
testuale del motivo), sia chiaramente esposto il fatto
controverso in riferimento al quale la motivazione si
assume omessa o contraddittoria, come pure – se non
soprattutto – le ragioni per le quali la dedotta
insufficienza della motivazione la rende inidonea

a

giustificare la decisione.
3.1.1.

Così è il primo motivo (inammissibilità accresciuta

dal fatto che si lamenta contraddittorietà e insufficienza
della motivazione che, invece, è chiara e, per quanto
stringata, anche sufficiente ad esprimere le ragioni del
20

rigetto della doglianza, in sede di appello) e per difetto
di autosufficienza, con riferimento alla mancata ammissione
delle prove.
3.1.2.

Così

il terzo,

che pecca altresì per difetto di

autosufficienza, con riferimento alla mancata indicazione
del se, come, quando e dove, quelle considerazione (ora
esposte come censure motivazionali) siano state avanzate
nel corso del giudizio di appello, ma anche perché compie
una non corretta mescolanza tra critiche motivazionali e
presunte violazioni di diritto. A tale ultimo proposito,
questa stessa sezione, con la sentenza n. 19443 del 2011,
ha statuito che nel ricorso per cassazione «è inammissibile
la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione
eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi
contemplate dall’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod.
proc. civ., non essendo consentita la prospettazione di una
medesima questione sotto profili incompatibili, quali
quello della violazione di norme di diritto, che suppone
accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si
deve decidere della violazione o falsa applicazione della
norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di
fatto intende precisamente rimettere in discussione; o
quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di
motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile
d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che
21

richiede la puntuale e analitica indicazione della sede
processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato
sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della
motivazione, che richiede la precisa identificazione delle
affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si

porrebbero in contraddizione tra loro. Infatti,
l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni
concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al
processo e il merito della causa mira a rimettere al
giudice di legittimità il compito di isolare le singole
censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno
dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 cod. proc.
civ., per poi ricercare quale o quali disposizioni
sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo,
inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di
dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del
ricorrente, al fine di decidere successivamente su di
esse».
3.1.3.

Allo stesso modo il

quarto

mezzo (apparentemente

intitolato ad un solo tipo di doglianza, ma in realtà,
contenente censure attinenti sia a vizi motivazionali sia
ad errores in iudicando)

che, in aggiunta alla mancanza di

sintesi finale, ex art. 366-

bis

cod. proc. civ.,

corrispondente al primo profilo di doglianza (360 n. 5
c.p.c.), difetta anche di autosufficienza, con riferimento
22

alla mancata indicazione del se, come, quando e dove,
quelle considerazione (ora esposte come abbondanti censure
motivazionali) siano state avanzate nel corso del giudizio
di appello. Infine, perché compie una non corretta
mescolanza tra critiche alla motivazione e presunte

violazioni di diritto (360 n. 3), delle quali non esplicita
neppure in modo chiaro quale la norma sostanziale violata
nella sua esposizione e nella formulazione del quesito
sottoposto.
In ogni caso, tale quesito, secondo cui il dovere di
vigilanza imposto dalla Banca d’Italia agli Istituti di
credito (che in tale veste avrebbero il dovere di esame dei
bilanci della debitrice) riguarderebbe la sola clientela
affidata è inammissibile perché privo di qualunque
allegazione e documentazione in ordine alle istruzioni, a
suo dire impartite, dalla Banca d’Italia (nel periodo per
cui è causa).
In mancanza di tali allegazioni, assolutamente necessarie,
e della indispensabile documentazione di supporto, ai sensi
dell’art. 366 n. 6 c.p.c., la pronuncia estintiva, ora per
allora, non può essere neppure presa in esame, siccome
questa Corte ha già stabilito con un recente arresto (Sez.
U, Sentenza n. 16887 del 2013) e con l’enunciazione del
principio di diritto secondo cui «la verifica
dell’osservanza di quanto prescritto dall’art. 366, primo
23

comma, n. 6), cod. proc. civ. deve compiersi con riguardo
ad ogni singolo motivo di impugnazione e la mancata
specifica indicazione (ed allegazione) dei documenti sui
quali ciascuno di essi, eventualmente, si fondi può
comportarne la declaratoria di inammissibilità solo quando

si tratti di censure rispetto alle quali uno o più
specifici atti o documenti fungano da fondamento, e cioè
quando, senza l’esame di quell’atto o di quel documento, la
comprensione del motivo di doglianza e degli indispensabili
presupposti fattuali sui quali esso si basa, nonché la
valutazione della sua decisività, risulterebbero
impossibili».
3.1.4. Così il sesto mezzo, contenente doglianze attinenti

sia a vizi motivazionali sia a errores in iudicando, privo
della sintesi finale, ex art. 366- bis cod. proc. civ.,
corrispondente al primo profilo di doglianza e per difetto
di autosufficienza, con riferimento alla mancata
indicazione del come, quando e dove, quelle considerazione
(esposte anzitutto come censure motivazionali ma poi anche
come vizi di diritto) siano state avanzate nel corso del
giudizio di appello. Infine, perché compie una non corretta
mescolanza tra critiche motivazionali e presunte violazioni
di diritto.
Del resto, sotto il profilo dell’errore di diritto, il
quesito,

astrattamente

ammissibile,

non

appare
24

concretamente collegato con le affermazioni contenute nella
sentenza (a p. 9 e ss.) in quanto in essa non si rinviene
alcun riferimento al criterio utilizzato per la cernita
delle partite revocabili e, come si è detto, il ricorso non
indica né come, né quando e né dove, quelle considerazioni

critiche al criterio utilizzato (dal Ctu e dalla Corte)
siano state poste, nel corso del giudizio di appello.
3.1.5.

Anche il

settimo

mezzo, contenente doglianze

attinenti sia a vizi motivazionali sia a

errores in

iudicando, è inammissibile al pari del precedente: non solo
per la mancanza della sintesi finale, ai sensi dell’art.
366- bis cod. proc. civ., corrispondente al primo profilo
di doglianza, ma anche per difetto di autosufficienza, con
riferimento alla mancata indicazione del come, quando e
dove, quelle considerazione (esposte anzitutto come censure
motivazionali ma poi anche come vizi di diritto) sono state
avanzate nel corso del giudizio di appello. Inoltre, il
mezzo compie una non corretta mescolanza tra critiche
motivazionali e presunte violazioni di diritto. Sotto il
profilo dell’errore di diritto, il ricorso non indica né
come, né quando e né dove, quelle considerazioni critiche
alle conclusioni del Ctu e della Corte sono state poste.
3.1.6. Anche il nono motivo di ricorso è inammissibile per

mancanza della sintesi finale, ai sensi dell’art. 366- bis
cod. proc. civ.,

e difetta di autosufficienza, in quanto
25

non indica come, quando e dove i documenti non valutati dal
giudice sono stati allegati.
3.1.7. Così il decimo mezzo, contenente doglianze attinenti

sia a vizi motivazionali sia a

errores in ludicando, è

sintesi finale, ai sensi dell’art. 366-

bis

inammissibile per plurime ragioni: la mancanza della
cod. proc.

civ., corrispondente al primo profilo di doglianza;
difetto di autosufficienza, con riferimento alla mancata
indicazione del se, come, quando e dove, quelle
considerazione (esposte anzitutto come censure
motivazionali ma poi anche come vizi di diritto) sono state
avanzate nel corso del giudizio di appello; non corretta
mescolanza tra critiche motivazionali e presunte violazioni
di diritto. Anche sotto il profilo dell’errore di diritto,
il ricorso non indica né come, né quando e né dove, quelle
considerazioni critiche alle conclusioni del Ctu e della
Corte sono state poste.
3.1.8.

Del pari, l’

undicesimo

mezzo, contenente solo

doglianze motivazionali, è inammissibile per la mancanza
della sintesi finale, ai sensi dell’art. 366-

bis

cod.

proc. civ.. Nel merito la censura nulla dice circa il
criterio della sua «utilizzazione in via di fatto per
ridurre ovvero eliminare lo scoperto dell’unico conto
operativo» né se tale rilievo sia stato tempestivamente
avanzato nel corso del giudizio di appello.
26

*

3.2. I residui motivi (il 2 ° , il 5 ° , l’8 ° , il 12 ° e 13 ° ),
invece, esigono una risposta differenziata.
3.2.1. Con il secondo motivo di ricorso viene criticata, al

pari del primo, una parte (e precisamente, la prima) della
motivazione della sentenza che sorregge l’affermazione
della sussistenza dell’elemento soggettivo della
fattispecie revocatoria, con particolare riferimento alla
portata probatoria degli elementi indiziari costituiti: a)
dall’esistenza di decreti ingiuntivi ed esecuzioni
mobiliari nei riguardi della fallita; b) dalla posteriorità
dell’atto di disposizione rispetto alle operazioni sul
conto divenute oggetto di revocatoria.
Si assume, in particolare, l’inidoneità degli elementi
addotti a costituire un idoneo strumento di inferenza della
presunzione di esistenza della

scientia decoctionís,

sensi dell’art. 2727 c.c.
3.2.1.1.

Il motivo, nella sua duplice costruzione, è

inammissibile per due diverse ragioni, che (anche per la
frequenza della loro proposizione) meritano una distinta
spiegazione.
3.2.1.2.

Anzitutto,

perché la doglianza,

così come

prospettata, in realtà, non attiene ad una violazione di
..

legge ma ad un vero e proprio vizio motivazionale.
27

Infatti, si afferma – da parte della Banca ricorrente che il giudice di appello avrebbe erroneamente confermato
l’esistenza dei due tipi di presunzioni, sulla base di
fatti inidonei (l’esistenza di decreti ingiuntivi e di
esecuzioni mobiliari nei riguardi della fallita; la

posteriorità dell’atto di disposizione rispetto alle
operazioni sul conto divenute oggetto di revocatoria) a
radicare quel procedimento inferenziale.
Ma una tale critica, in realtà, ove fondata, non
costituirebbe affatto una violazione di legge (sotto forma
di violazione del disposto dell’art. 2727 c.c.: che recita
« Le presunzioni sono le conseguenze che la legge o il
giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto
ignorato.»)

da parte del giudice che così abbia ragionato,

bensì un vizio nel suo ragionamento, esplicitato nella
successiva motivazione.
In sostanza, in casi come questo, si tratta solo di un
ipotetico cattivo ragionamento e non anche di una
violazione del principio legislativo di presunzione, atteso
che il giudice ha rispettato la sequenza stabilita dalla
legge perché ha creduto di poter risalire al fatto ignoto
(la scientía decoctionis)

attraverso l’accertamento di un

fatto noto (i decreti ingiuntivi, le esecuzioni mobiliari e
l’atto di disposizione postumo, rispetto ai movimenti
revocati).
28

Ove il ragionamento sia stato compiuto erroneamente, egli,
senza violare la legge, ha commesso un errore rilevabile
solo come vizio motivazionale.
3.2.1.3.

Inoltre

(e

siamo

al

secondo

profilo

di

inammissibilità), la critica riguarda solo (se così si può
dire) i detti tre elementi presuntivi, senza che siano
stati investiti anche quegli altri (l’andamento del conto
corrente, i bilanci, la qualità di soggetto qualificato
rivestita dalla Banca) che, unitamente ai detti tre, hanno
fatto ritenere, al giudice, come provata la

sci entia

decoctionis della banca ricorrente.
A tale proposito, il Collegio è ben consapevole del fatto
che, in caso di accertamento del presupposto soggettivo
della revocatoria fallimentare a mezzo di presunzioni,
risulta piuttosto laborioso e complesso il lavoro affidato
al difensore del ricorrente, il quale – per risultare
vittorioso all’esito del giudizio di legittimità – è tenuto
a censurare utilmente tutti gli elementi indiziari posti a
base del detto accertamento.
E tuttavia, nel caso di specie, l’eventuale accoglimento
della censura, come proposta, non recherebbe alcun
vantaggio alla parte che critica la decisione in quanto
resterebbe comunque in piedi il residuo sostegno
motivazionale all’affermazione di sussistenza dell’elemento
29

soggettivo della revocatoria (costituito dai già menzionati
indizi relativi all’andamento del conto corrente, ai
bilanci, alla qualità di soggetto qualificato rivestita
dalla Banca).

La censura, insomma, difetta di decisività in quanto il
ricorso nulla dice in ordine alla prova di resistenza delle
residue affermazioni dei giudici, basate – come sono sugli elementi prima indicati.
Né può questa Corte sostituirsi, d’ufficio, alle omesse
valutazioni della ricorrente, in ordine alla consistenza
degli elementi presuntivi residui e alla loro idoneità a
sorreggere comunque l’affermazione dell’esistenza della
scientia decoctlonis.
*

3.2.2.

Il

quinto

mezzo, correttamente proposto quanto

all’unicità del tipo di doglianza, è del pari
inammissibile perché, in disparte il fatto che il richiamo
esplicito a «quanto appena detto» (ossia al quarto mezzo di
doglianza) comporta per questa Corte la necessità di
operare una selezione tra i fatti rilevanti o meno ai fini
dell’esame del motivo compendiato nel quesito finale di
diritto, nulla emergendo dalla motivazione della sentenza
impugnata, esso non fornisce indicazione sul se, sul come,
sul quando e sul dove, quelle considerazione – non
30

esaminate nella sentenza impugnata in questa sede – siano
state proposte o avanzate nel corso del giudizio di
appello.
In ogni caso, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la

valutazione delle risultanze di bilancio, sono elementi
solo indiziari il cui apprezzamento deve essere rimesso
alla complessiva valutazione del giudice di merito il
quale, con riferimento all’elemento soggettivo dell’azione
revocatoria proposta ex art. 67, secondo comma, legge fall.
(la scientia decoctionis in capo al terzo), deve compiere
un apprezzamento che è incensurabile in sede di legittimità
ove sia stato correttamente motivato, potendosi egli
formare il relativo convincimento anche attraverso il
ricorso alla presunzione, alla luce del parametro della
comune prudenza ed avvedutezza e della normale ed ordinaria
diligenza.

3.2.3. L’ottavo motivo di diritto, pienamente ammissibile,

in quanto censura la motivazione contenuta nella sentenza
impugnata alla pag. 11, lett. a), nell’affermazione del
principio di diritto che la sorregge (l’art. 1853 c.c. si
riferisce solo ai saldi di conto corrente e non anche ai
rapporti in corso), è infondato avendo questa Corte (Sez.
1, Sentenza n. 10208 del 2007) già avuto modo di affermare
31

che la compensazione tra i saldi attivi e passivi di più
rapporti o conti tra banca e cliente, prevista dall’art.
1853 cod. civ., si verifica soltanto allorché si tratti di
conti o rapporti chiusi, atteso che, se la predetta norma
venisse interpretata alla lettera (ossia nel senso della

operatività della compensazione anche tra conti o rapporti
aperti), darebbe luogo alla continua determinazione di un
saldo unico, in contrasto con la volontà delle parti di
dare vita a due rapporti formalmente e contabilmente
distinti. Ne deriva che il giroconto da un rapporto attivo
a uno passivo del cliente, ancora aperti, configura
pagamento revocabile ai sensi dell’art. 67 legge fallim., e
non compensazione.

*
3.2.4.

Il

dodicesimo

motivo di diritto, pienamente

ammissibile, in quanto censura la motivazione contenuta
nella sentenza impugnata, nell’affermazione dell’opposto
principio di diritto che la sorregge (l’immediata
esigibilità delle somme risultanti dallo scoperto di conto
corrente, da parte della banca), è però infondato.
Questa Corte (Sez. 1, Sez. l, Sentenza n.

5836 del 1978)

ha già enunciato il principio secondo cui il conto corrente
bancario

di

corrispondenza

è

caratterizzato

dalla

esplicazione di un servizio di cassa, in relazione ad
..

32

operazioni di pagamento o di riscossione di somme, da
effettuarsi, a qualsiasi titolo, per conto del cliente. I
corrispondenti addebiti ed accreditamenti sul conto – pur
essendo inapplicabile la norma di cui all’art 1823 cod.
civ., propria del conto corrente ordinario e non richiamata

dall’art 1857 dello stesso codice per il conto corrente
bancario, soggetto all’opposta regola della disponibilità
immediata sancita dall’art 1852 – comportano mere
operazioni di conguaglio, che non possono considerarsi come
frutto di compensazione in senso tecnico – giuridico, ma
costituiscono semplice effetto contabile dell’esercizio del
diritto, che spetta al correntista, di variare la
disponibilità del conto con versamenti e prelievi. Ne
consegue che i versamenti eseguiti nel momento in cui il
conto è scoperto, avendo natura di atti solutori in
considerazione dell’esigibilità del credito della banca,
sono soggetti (a differenza dei versamenti sul conto
coperto, diretti soltanto a formare la provvista per
operazioni future) alla revocatoria fallimentare, senza
possibilità per la banca di opporre in compensazione lo
scoperto cosi ripianato.
Infatti, com’è stato chiarito (Sez. l, Sentenza n. 4022 del
1985), il saldo passivo di un conto corrente bancario,
quando – come non sia ricollegabile ad un’apertura di
credito (non evincibile dalla mera tolleranza di una
33

situazione di “scoperto”), è immediatamente esigibile dalla
banca, mentre resta a tal fine irrilevante l’eventuale
diversa previsione contenuta nelle cosiddette “norme
uniformi bancarie”, le quali integrano mere condizioni
generali di contratto, operanti nel singolo rapporto se ed

in quanto ne vengano a far parte. Ne consegue che le
rimesse effettuate su detto conto a riduzione del saldo
passivo, sia con versamenti diretti del correntista, sia
con versamenti eseguiti da terzi debitori del correntista,
configurano in casi di fallimento di quest’ultimo pagamenti
parziali di un suo debito liquido ed esigibile, e come tali
sono soggette a revocatoria fallimentare ai sensi dell’art.
67 secondo comma del R.d. 16 marzo 1942 n. 267.

3.2.5.

Anche il tredicesimo motivo è infondato, avendo la

Corte, seppure succintamente motivato in ordine al governo
delle stesse, in ragione della «prevalente soccombenza»
della Banca (p. 14). Tale motivazione, peraltro, non

è

stata neppure specificamente censurata dalla ricorrente.
**

4.In conclusione, il ricorso è complessivamente infondato e
deve essere respinto e la ricorrente condannata al
pagamento delle relative spese, liquidate come da
dispositivo.
34

PQM

Respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento,
in favore della intervenuta, delle spese processuali
sostenute dalla parte resistente; spese che si liquidano

oltre alle spese forfettarie, nella misura del 15%, ed agli
accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della l
sezione civile della Corte di cassazione,
l’ 11 giugno 2014, dai magistrati sopra indicati.

nella misura di C 7.200,00, di cui C 200,00 per esborsi,

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