Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17273 del 30/07/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 17273 Anno 2014
Presidente: CECCHERINI ALDO
Relatore: DIDONE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 23498-2012 proposto da:
INDUSTRIA E COMMERCIO DEL LEGNO – AZIENDA TECNICA I.C.L.A.T. S.R.L.

(C.F. 00196360705), in persona

del legale rappresentante pro tempore,

Data pubblicazione: 30/07/2014

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI
NICOTERA 31, presso l’avvocato ZOPPINI ANDREA, che
2014
1210

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato
FERRUCCIO AULETTA, giusta procura in calce al
ricorso;
– ricorrente –

1

contro

FALLIMENTO DELLA INDUSTRIA E COMMERCIO DEL LEGNO AZIENDA TECNICA – I.C.L.A.T. S.R.L, in persona del
Curatore dott. GIUSEPPE SUPINO, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 11,

rappresenta e difende unitamente all’avvocato DE
ROSA LUIGI, giusta procura a margine del
controricorso;

°C)4 3 (32′” ‘3°5
controricorrente –

avverso la sentenza n. 172/2012 della CORTE
D’APPELLO di CAMPOBASSO, depositata il 24/07/2012;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 11/06/2014 dal Consigliere
Dott. ANTONIO DIDONE;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato F. AULETTA,
che ha chiesto il rinvio a nuovo ruolo o
l’accoglimento del ricorso;
udiot, per il controricorrente, l’Avvocato M.

presso l’avvocato TIRONE MASSIMO, che lo

TIRONE che ha chiesto il rinvio a nuovo ruolo o
rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PASQUALE FIMIANI che non si oppone
al rinvio a nuovo ruolo, ha concluso per il rigetto
del ricorso.

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Svolgimento del processo
1.- La Iclat srl – Industria e Commercio del Legno Azienda Tecnica propose appello contro la sentenza n. 361
del 24 giugno 2002, con la quale il Tribunale di Campobasso
aveva rigettato l’opposizione proposta da essa appellante,

contro la sentenza dichiarativa di fallimento pronunciata
dallo stesso Tribunale in data 11 aprile 2001. A sostegno
del gravame, l’appellante dedusse che:
a) la sentenza dichiarativa di fallimento era nulla per
violazione del diritto di difesa della società, dichiarata
fallita all’esito di un’audizione del suo legale
rappresentante in funzione di mera illustrazione dell’
istanza di ammissione alla procedura di amministrazione
controllata, in assenza di alcuna convocazione ad altro
fine, o di ricorsi dei creditori o di alcuna contestazione
dello stato di insolvenza, sì che la società non era stata
posta in grado di approntare difese e controdeduzioni sui
diversi presupposti della dichiarazione di fallimento; b)la
sentenza dichiarativa di fallimento era del pari nulla in
relazione alla non corretta formazione dei collegi
giudicanti; c) il provvedimento unitario di non ammissione
alla procedura di amministrazione controllata e di
contestuale dichiarazione di fallimento aveva pregiudicato,
in concreto, le facoltà di impugnazione da parte della
società fallita; d) la contestualità del rigetto dell’
3

istanza

di

amministrazione

controllata

e

della

dichiarazione di fallimento aveva impedito alla società
dichiarata fallita di prospettare altre soluzioni, come
proporre una domanda di concordato; e) la sentenza
dichiarativa di fallimento era nulla perché pronunciata al

di fuori dei casi (previsti dalla legge) in cui poteva
essere esercitato il potere d’ufficio di cui alla L. Fall.,
art. 6; f) nel merito, erroneamente il primo Giudice aveva
ritenuto l’inadeguatezza del piano di risanamento e la
irreversibilità delle difficoltà finanziarie prospettate
nell’istanza di amministrazione controllata.
Nel costituirsi in giudizio, la curatela fallimentare
chiese il rigetto dell’appello, ritenendo che fossero
pienamente soddisfatte tutte le condizioni di merito e di
rito per la declaratoria di fallimento.
La Corte d’appello di Campobasso, con sentenza del 29.6.04,
in parziale accoglimento dell’appello e in riforma della
sentenza impugnata, dichiarò la nullità della sentenza 11
aprile 2001, n. 13, con la quale il Tribunale di Campobasso
aveva dichiarato il fallimento della Iclat e con separata
ordinanza provvide per il prosieguo del giudizio.
Avverso detta sentenza propose ricorso per cassazione il
fallimento della ICLAT srl e la Corte di cassazione, con
sentenza n. 6870 del 2009, accolto l’unico motivo di
ricorso, cassò la sentenza impugnata ritenendo che
4

erroneamente la Corte di appello avesse dichiarato la
nullità della sentenza dichiarativa di fallimento.
Affermato il principio per il quale il tribunale
fallimentare, nel disattendere la domanda di ammissione
dell’imprenditore all’amministrazione controllata, ha il

potere-dovere, su istanza dei creditori, ovvero anche
d’ufficio, a norma dell’art.6 del r.d. 16 marzo 1942 n.267,
di dichiarare contestualmente il fallimento, nel concorso
delle prescritte condizioni, senza che si renda a tal fine
necessaria, ove detta declaratoria venga resa sulla base
degli elementi già acquisiti (e sui quali sia stato sentito
il debitore), una nuova convocazione dell’imprenditore in
camera di consiglio, purché attraverso quella già ricevuta
egli sia stato posto in grado di acquisire la compiuta
conoscenza dei problemi e delle conseguenze che
l’iniziativa comporta a suo carico e gli elementi necessari
a contestare la sussistenza dei presupposti per la
dichiarazione di fallimento, onde stabilire le opportune
linee difensive (Sez. l, Sentenza n. 6870 del 20/03/2009),
la Corte rinviò per nuovo esame alla Corte di appello di
Campobasso in diversa composizione.
2.- Con la sentenza impugnata (depositata il 24.7.2012 e
notificata il 20.8.2012) la Corte di appello di Campobasso,
pronunciando in sede di rinvio, ha rigettato l’appello
contro la sentenza di rigetto dell’opposizione alla
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dichiarazione di fallimento, ritenendo non sussistenti i
presupposti

per

l’ammissione

alla

procedura
di
SV531
amministrazione controllata
controllata e, per converso,yi presupposti

per la dichiarazione di fallimento.
Contro la sentenza di appello la s.r.l. ICLAT ha proposto

(il 12.10.2012) ricorso per cassazione affidato a tre
motivi.
Resiste con controricorso la curatela intimata.
Motivi della decisione
3.- Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per
tardività, essendo stato proposto ben oltre il termine di
trenta giorni dalla notificazione, previsto dall’art. 18 1.
fall., non operando in materia la sospensione dei termini
nel periodo feriale.
Invero, secondo la giurisprudenza consolidata di questa
Corte nei procedimenti per la dichiarazione di fallimento
pendenti alla data di entrata in vigore della riforma di
cui al d.lgs. n. 169 del 2007, le disposizioni della
normativa riformata trovano applicazione immediata, ai
sensi dell’art. 22 del predetto d.lgs., sia per la fase
prefallimentare che si conclude con la sentenza di
fallimento, sia per quest’ultima e per tutte le successive
fasi di impugnazione, ivi compreso il ricorso per
cassazione; ne consegue che, ai sensi del novellato art. 18
legge fall., è inammissibile il ricorso per cassazione
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proposto oltre il termine di trenta giorni dalla
notificazione della sentenza della corte d’appello, che
abbia deciso l’appello – proposto anteriormente alla
vigenza del d.lgs. n. 169 del 2007 – contro la sentenza
dichiarativa di fallimento (Sez. 1, Sentenza n. 23043 del

30/10/2009; Sez. l, Sentenza n. 23506 del 19/11/2010).
La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che il D.Lgs.
n. 169 del 2007, art. 22, nel prevedere che le disposizioni
contenute in detto decreto “si applicano ai procedimenti
per la dichiarazione di fallimento pendenti alla data della
sua entrata in vigore”, comporta l’applicazione immediata
della

normativa

riformata

non

solo

alla

fase

prefallimentare che si conclude con la sentenza di
fallimento, ma anche a quest’ultima, nonché necessariamente
a tutte le successive fasi processuali di impugnazione
della detta sentenza, ivi compreso il ricorso per
cassazione

(Cass.

23043/09,

Cass.

13086/10,

Cass.

22245/10).
In tal senso è stato altresì precisato che non rileva ai
fini della esclusione della applicazione della normativa
riformata il fatto che la sentenza della Corte d’appello
abbia deciso su un appello proposto anteriormente alla
vigenza del D.Lgs. n. 169 del 2007 contro la sentenza
dichiarativa di fallimento (Cass. 23043/09, Cass. 23506/10,

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Cass. 8187/10, Cass. 22545/10; Sez. 6 – l, Ordinanza n.
12218 del 2013).
In altri termini, la nuova normativa introdotta dal decreto
legislativo del 2007 trova immediata applicazione nei
confronti di tutti i processi aventi ad oggetto la

dichiarazione di fallimento sia che gli stessi si trovino
nella fase prefallimentare e sia che si trovino in sede di
impugnazione.
In ordine all’applicabilità della normativa in questione
deve quindi dedursi che nessuna rilevanza riveste la
circostanza che la sentenza dichiarativa di fallimento sia
stata pronunciata prima dell’entrata in vigore del D.Lgs.
n. 5 del 2006 e che, nel caso di ricorso per cassazione, la
sentenza impugnata sia stata emanata secondo il regime
previsto dalla normativa antecedente alla riforma del 20062007. Il D.Lgs. n. 169 del 2007, art. 22, da infatti piena
applicazione al principio tempus regit actum vigente in
materia processuale per cui la normativa sopravvenuta trova
piena applicazione nei processi in corso (v., per tutte,
Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 12218 del 2013).
3.1.- Nel giudizio di cassazione, il rispetto del principio
della ragionevole durata del processo impone, in presenza
di un’evidente ragione d’inammissibilità del ricorso, di
definire con immediatezza il procedimento, senza la
preventiva integrazione del contraddittorio nei confronti

8

di litisconsorti necessari cui il ricorso non risulti
notificato, trattandosi di un’attività processuale del
tutto ininfluente sull’esito del giudizio (Sez. U, n.
6826/2010).

del ricorso

(segnalata alle parti nel corso della

discussione)

si

giustifica

dell’istanza congiunta di rinvio,
dall’esigenza

di

accoglimento

il mancato

perfezionamento

peraltro motivata
di

un

concordato

fallimentare, non pregiudicata dalla presente pronuncia.
Le spese del giudizio di legittimità – liquidate in
dispositivo – seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte
ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di
legittimità, liquidate in euro 5.200,00 di cui euro 200,00
per esborsi oltre accessori e spese forfettarie come per
legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’il
giugno 2014

Alla luce di tale principio e della evidenziata tardività

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