Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17272 del 30/07/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 17272 Anno 2014
Presidente: CECCHERINI ALDO
Relatore: DIDONE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 19238-2010 proposto da:
ICLAT S.R.L. – INDUSTRIA E COMMERCIO DEL LEGNO AZIENDA

in

TECNICA,

rappresentante

pro

persona
tempore,

del

legale

elettivamente

Data pubblicazione: 30/07/2014

domiciliata in ROMA, VIA TACITO 64, presso
l’avvocato DANIELA CARLETTI, rappresentata e difesa
2014
1209

dall’avvocato PIETRUNTI GIOVANNI, giusta procura in
calce al ricorso;
– ricorrente contro

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FALLIMENTO DELLA INDUSTRIA E COMMERCIO DEL LEGNO AZIENDA TECNICA – I.C.L.A.T. S.R.L, in persona del
Curatore dott. GIUSEPPE SUPINO, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 11,
presso l’avvocato TIRONE MASSIMO, che lo

ROSA LUIGI, giusta procura a margine del
controricorso;

avverso la sentenza n.

controricorrente

58/2010 della CORTE

D’APPELLO di CAMPOBASSO, depositata il 12/04/2010;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 11/06/2014 dal Consigliere
Dott. ANTONIO DIDONE;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato F. AULETTA,
con delega, che ha chiesto il rinvio a nuovo ruolo
o l’accoglimento del ricorso;
udiot, per il controricorrente,

l’Avvocato M.

TIRONE che ha chiesto il rinvio a nuovo ruolo o

rappresenta e difende unitamente all’avvocato DE

rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PASQUALE FIMIANI che non si oppone
al rinvio a nuovo ruolo, ha concluso per il rigetto
del ricorso.

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Svolgimento del processo
1.- La Iclat srl – Industria e Commercio del Legno Azienda Tecnica propose appello contro la sentenza n. 361
del 24 giugno 2002, con la quale il Tribunale di Campobasso

aveva rigettato l’opposizione proposta da essa appellante,
contro la sentenza dichiarativa di fallimento pronunciata
dallo stesso Tribunale in data 11 aprile 2001. A sostegno
del gravame, l’appellante dedusse che:
a) la sentenza dichiarativa di fallimento era nulla per
violazione del diritto di difesa della società, dichiarata
fallita all’esito di un’audizione del suo legale
rappresentante in funzione di mera illustrazione dell’
istanza di ammissione alla procedura di amministrazione
controllata, in assenza di alcuna convocazione ad altro
fine, o di ricorsi dei creditori o di alcuna contestazione
dello stato di insolvenza, sì che la società non era stata
posta in grado di approntare difese e controdeduzioni sui
diversi presupposti della dichiarazione di fallimento; b)
la sentenza dichiarativa di fallimento era del pari nulla
in relazione alla non corretta formazione dei collegi
giudicanti; c) il provvedimento unitario di non ammissione
alla procedura di amministrazione controllata e di
contestuale dichiarazione di fallimento aveva pregiudicato,
in concreto, le facoltà di impugnazione da parte della
3

società fallita; d) la contestualità del rigetto dell’
istanza di amministrazione controllata e della
dichiarazione di fallimento aveva impedito alla società
dichiarata fallita di prospettare altre soluzioni, come

proporre una domanda di concordato; e) la sentenza
dichiarativa di fallimento era nulla perché pronunciata al
di fuori dei casi (previsti dalla legge) in cui poteva
essere esercitato il potere d’ufficio di cui alla L. Fall.,
art. 6; f) nel merito, erroneamente il primo Giudice aveva
ritenuto l’inadeguatezza del piano di risanamento e la
irreversibilità delle difficoltà finanziarie prospettate
nell’istanza di amministrazione controllata.
Nel costituirsi in giudizio, la curatela fallimentare
chiese il rigetto dell’appello, ritenendo che fossero
pienamente soddisfatte tutte le condizioni di merito e di
rito per la declaratoria di fallimento.
La Corte d’appello di Campobasso, con sentenza del
29.6.2004, in parziale accoglimento dell’appello e in
riforma della sentenza impugnata, dichiarò la nullità della
sentenza 11 aprile 2001, n. 13, con la quale il Tribunale
di Campobasso aveva dichiarato il fallimento della Iclat e
con separata ordinanza provvide per il prosieguo del
giudizio.

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Avverso detta sentenza propose ricorso per cassazione il
fallimento della ICLAT srl e la Corte di cassazione, con
sentenza n. 6870 del 2009, accolto l’unico motivo di
ricorso,

cassò la sentenza impugnata ritenendo che

erroneamente la Corte di appello avesse dichiarato la
nullità della sentenza dichiarativa di fallimento.
Affermato il principio per il quale il tribunale
fallimentare, nel disattendere la domanda di ammissione
dell’imprenditore all’amministrazione controllata, ha il
potere-dovere, su istanza dei creditori, ovvero anche
d’ufficio, a norma dell’art. 6 del r.d. 16 marzo 1942 n.
267, di dichiarare contestualmente il fallimento, nel
concorso delle prescritte condizioni, senza che si renda a
tal fine necessaria, ove detta declaratoria venga resa
sulla base degli elementi già acquisiti (e sui quali sia
stato sentito il debitore), una nuova convocazione
dell’imprenditore in camera di consiglio, purché attraverso
quella già ricevuta egli sia stato posto in grado di
acquisire la compiuta conoscenza dei problemi e delle
conseguenze che l’iniziativa comporta a suo carico e gli
elementi necessari a contestare la sussistenza dei
presupposti per la dichiarazione di fallimento, onde
stabilire le opportune linee difensive (Sez. 1, Sentenza n.

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6870 del 20/03/2009), la Corte rinviò per nuovo esame alla
Corte di appello di Campobasso in diversa composizione.
2.- Con la sentenza impugnata (depositata il 12.4.2010 e
notificata il 24.5.2010) la Corte di appello di Campobasso,

dalla

s.r.l.

ICLAT

all’esito

dell’istruttoria,

pronunciando definitivamente sull’impugnazione proposta
ha

dichiarato l’improcedibilità del giudizio per essere stata
annullata la stessa sentenza non definitiva che aveva
dichiarato la nullità della pronuncia di primo grado
disponendo per l’ulteriore istruzione della causa. Ciò in
applicazione dell’art. 336 c.p.c.
2.1.- Contro la sentenza di appello la s.r.l. ICLAT ha
proposto ricorso per cassazione affidato a un solo motivo
con il quale denuncia la violazione dell’art. 336 c.p.c.
nonché vizio di motivazione deducendo che la Corte di
merito avrebbe erroneamente applicato alla concreta
fattispecie principi affermati da questa Corte in ipotesi
diverse. Lamenta che non siano state esaminate le altre
censure formulate con l’atto di appello, concernenti la
sussistenza dei presupposti per l’ammissione alla procedura
di amministrazione controllata.
Resiste con controricorso

la curatela

fallimentare

intimata.
Motivi della decisione
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3.-

La riforma o la cassazione della sentenza non

definitiva pone nel nulla le pronunce rese con la sentenza
definitiva, in quanto dipendenti dalla sentenza riformata o
cassata (art. 336, secondo comma, cod. proc. civ.) e

determina la sopravvenuta inammissibilità del ricorso
prodotto contro tale ultima sentenza, per la mancanza, al
momento della decisione, del provvedimento impugnabile,
rilevabile d’ufficio anche nel giudizio di legittimità
(Sez. 2, Sentenza n. 363/1995).
Nella concreta fattispecie, peraltro, l’inammissibilità del
ricorso discende dalla tardività della proposizione (il
29.7.2010) oltre il termine di trenta giorni ex art. 18 1.
fall. dalla notificazione della sentenza, avvenuta il
24.5.2010.
Infatti,

nei procedimenti per la dichiarazione di

fallimento pendenti alla data di entrata in vigore della
riforma di cui al d.lgs. n. 169 del 2007, le disposizioni
della normativa riformata trovano applicazione immediata,
ai sensi dell’art. 22 del predetto d.lgs., sia per la fase
prefallimentare che si conclude con la sentenza di
fallimento, sia per quest’ultima e per tutte le successive
fasi di impugnazione, ivi compreso il ricorso per
cassazione; ne consegue che, ai sensi del novellato art. 18
legge fall., è inammissibile il ricorso per cassazione
7

proposto oltre il termine di trenta giorni dalla
notificazione della sentenza della corte d’appello, che
abbia deciso l’appello – proposto anteriormente alla
I

vigenza del d.lgs. n. 169 del 2007 – contro la sentenza

dichiarativa di fallimento (Sez. l, Sentenza n. 18193 del
2012; Sez. 1, Sentenza n. 23043 del 30/10/2009; Sez. l,
Sentenza n. 23506 del 19/11/2010; Sez. 6 – 1, Ordinanza n.
12218 del 2013).
3.1.- Nel giudizio di cassazione, il rispetto del principio
della ragionevole durata del processo impone, in presenza
di un’evidente ragione d’inammissibilità del ricorso, di
definire con immediatezza il procedimento, senza la
preventiva integrazione del contraddittorio nei confronti
di litisconsorti necessari cui il ricorso non risulti
notificato, trattandosi di un’attività processuale del
tutto ininfluente sull’esito del giudizio (Sez. U, n.
6826/2010).
Alla luce di tale principio e della evidenziata tardività
del ricorso

(segnalata alle parti nel corso della

discussione)

si

giustifica

dell’istanza congiunta di rinvio,
dall’esigenza

di

accoglimento

il mancato

perfezionamento

peraltro motivata
di

un

concordato

fallimentare, non pregiudicata dalla presente pronuncia.

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Le spese del giudizio di legittimità – liquidate in
dispositivo – seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte

legittimità, liquidate in euro 5.200,00 di cui euro 200,00
per esborsi oltre accessori e spese forfettarie come per
legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’il
giugno 2014

ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di

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