Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17272 del 23/08/2016


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Cassazione civile sez. VI, 23/08/2016, (ud. 08/06/2016, dep. 23/08/2016), n.17272

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18472/2013 proposto da:

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI BARI ALDO MORO, ((OMISSIS)), in persona

del Rettore in carica pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dagli avvocati DOMENICO CARBONARA, MARCELLA LOIZZI giusta procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

M.C., ((OMISSIS)), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIALE DELLE MILIZIE 1, presso lo studio dell’Avvocato EDOARDO GHERA,

rappresentata e difesa dall’Avvocato DOMENICO GAROFALO, giusta

procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– contoricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 2164/2013 della CORTE D’APPELLO di LECCE del

22/5/2013, depositata il 31/5/2013;

udita h relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’8/6/2016 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1 – Il Consigliere relatore, designato ai sensi dell’art. 377 c.p.c., ha depositato in cancelleria la seguente relazione ex artt. 380 bis e 375 c.p.c., ritualmente comunicata alle parti:

“Con sentenza n. 2164/2013, depositata in data 31 maggio 2013, la Corte di appello di Lecce, decidendo in sede di rinvio disposto da questa Corte con decisione n. 4012/2008 del 18/2/2008, accoglieva l’impugnazione proposta da M.C. nei confronti dell’Università degli Studi di Bari e condannava quest’ultima al pagamento, in favore dell’appellante, della somma di Euro 177.101,14 a titolo di differenze retributive nonchè alla integrazione della contribuzione previdenziale e assistenziale, derivanti dal diritto al trattamento economico del ricercatore confermato a tempo definito, rapportato a 500 ore con effetto dalla data di prima assunzione, per il periodo successivo a quello regolato da una transazione giudiziale intervenuta tra le parti, considerate le classi stipendiali biennali. Questi i fatti di causa: con ricorso al Tribunale di Bari l’attuale intimata, premesso di essere stata già assunta dall’Università degli Studi di Bari in qualità di lettore di madre lingua con contratti a termine rinnovati annualmente, di aver superato una selezione pubblica per esperto linguistico bandita dall’Università e di essere stata, quindi, assunta a tempo indeterminato (con decorrenza dall’1/11/1994) per 550 ore, ridotte a 500 a seguito della stipula del c.c.n.l. 21/5/1996, di aver definito un giudizio pendente con una transazione in data 30/11/1998 (con la quale l’Università aveva riconosciuto l’esistenza di un rapporto a tempo indeterminato sin dal primo contratto a termine, la retribuzione maggiore corrispondente a quella di professore non di ruolo di scuola media superiore, le differenze retributive maturate sino al 31/10/1994, l’effettiva e piena anzianità di servizio nonchè l’integrazione contributiva in rapporto alla madore retribuzione), aveva convenuto in giudizio l’Università degli Studi di Bari, chiedendo: a) accertarsi il diritto a mantenere lo status di lettore nel molo ad esaurimento ex D.P.R. n. 329 del 1990; b) dichiarare il diritto a percepire, a decorrere dall’1/11/1994, la retribuzione spettante a seguito della transazione stipulata con l’Università il 30/11/1998, retribuzione composta da trattamento base, tredicesima e scatti di anzianità; c) condannare, di conseguenza, l’Università alle differenze retributive maturate dall’1/11/1994, con gli accessori di legge, e alla corrispondente integrazione contributiva; d) dichiarare il diritto ad effettuare una prestazione lavorativa annua pari a 550 ore. Il Tribunale di Bari aveva rigettato le domande. La decisione era stata confermata dalla Corte di appello di Bari sulla scorta del principio affermato da questa Corte di Cassazione con la sentenza n. 13292 del 1999 circa la legittimità dell’inquadramento degli ex lettori di lingua straniera come collaboratori ed esperti di lingua madre, figura introdotta dal D.L. n. 120 del 1995, convertito nella L. n. 236 del 1995. Rilevavano i giudici baresi che, nel caso di specie, l’astratta sopravvivenza della figura del lettore di lingua straniera, possibile in caso di inerzia delle parti, era stata superata dall’attribuzione del nuovo inquadramento con il contratto di lavoro, stipulato fra le parti a seguito del superamento da parte dell’appellante di una selezione pubblica per l’assunzione di esperti linguistici di madre lingua, a nulla rilevando i motivi per i quali l’appellante aveva partecipato al bando e sottoscritto il contratto. Ritenevano, inoltre, che a diverse determinazioni non potesse pervenirsi alla stregua degli spunti desunti dal testo della transazione del 3/12/1998, nella quale la lavoratrice era definita lettore ed il rapporto considerato a tempo indeterminato sin dall’inizio della collaborazione tra le parti (e ciò perchè: 1) la definizione di lettore, attribuita al lavoratore in un negozio tra privati, non poteva sostituirsi a norme di legge e collettive, che fissano gli elementi necessari per uno status; 2) la transazione si riferiva essenzialmente al periodo litigioso precedente la stipula del contratto regolato dalla nuova disciplina sugli esperti di madrelingua; 3) la definizione non era comunque vincolante per il giudice; 4) il riconoscimento del rapporto a tempo indeterminato ab initio non interferiva con il principio della successione delle regole nuove a quelle sul vecchio lettorato). I giudici di secondo grado osservavano poi che la conservazione dei diritti quesiti, e in particolare del trattamento ottenuto fino al 31/10/1994, non riguardava una fattispecie, come quella in esame, nella quale il trattamento retributivo rivendicato era stato ottenuto a posteriori, in sede conciliativa, e solo fino al 31/10/1994, e cioè prima degli effetti del contratto stipulato in base ad uno dei D.L. anticipatori della L. n. 236 del 1995; mentre altra ed inferiore era stata la retribuzione effettivamente percepita nel periodo suddetto. Non sussisteva quindi violazione dell’art. 2103 c.c.. Aggiungevano che la rinuncia, inserita nella transazione, a tutti gli ulteriori titoli, diritti o azioni, diretti o indiretti, dedotti o non dedotti, comunque correlati ad ogni attività lavorativa prestata dalla ricorrente per l’Università degli Studi di Bari nel periodo fino al 31/10/1994, precludeva la richiesta di un trascinamento stipendiale rivendicato per effetto di una concatenazione tra la prima e la seconda domanda. L’accordo conciliativo non aveva quindi alcuna incidenza sulla regolamentazione del periodo decorrente dall’1/11/1994, rimasta quella del contratto già stipulato da alcuni anni in base alla nuova legge. Escludeva, poi, la Corte territoriale ogni violazione dell’art. 36 Cost., con riferimento alla retribuzione percepita dall’appellante dall’1/11/1994 rispetto a quella prevista dal c.c.n.l. per il personale dell’Università era entrato in vigore il 21 maggio 1996. Quanto alla domanda diretta alla affermazione del diritto a continuare ad effettuare una prestazione annua pari a 550 ore, come stabilito nel contratto del 1994, i giudici di secondo grado rilevavano che il primo giudice aveva, fra l’altro, escluso la riferibilità dell’art. 51, comma 4, del c.c.n.l. (che contempla la possibilità di un monte ore annuo anche superiore alle 500 ore) agli ex lettori, assunti prima del contratto, trattandosi di norma applicabile solo ai neo assunti; osservavano che l’appellante non aveva mosso censure specifiche su tale distinzione (esperti di madrelingua ex lettori e neoassunti); aggiungevano che la fattispecie rientrava nella previsione dell’art. 2077 c.c., comma 2, con sostituzione di diritto delle clausole dei contratti individuali da parte di quelle del contratto collettivo, salvo il principio della conservazione delle condizioni più favorevoli. Osservavano, infine, che non vi era stata di fatto alcuna riduzione del monte di 550 ore e del compenso ragguagliato a tale quantità di impegno. Proposto ricorso per cassazione, questa Corte riteneva fondato il rilievo con il quale la ricorrente aveva censurato la decisione impugnata per aver negato il diritto alla maggiore retribuzione di ricercatore confermato a tempo definito anche per il periodo successivo all’1/11/1994, nonchè alla ricostruzione della carriera. Richiamava la pronuncia della Corte di Giustizia CE 26/6/2001 e della L. n. 63 del 2004, art. 1 (come interpretato da questa Corte nelle decisioni a 21856/2004, n. 5909/2005 e n. 4147/2007) e rinviava ad altro giudice, indicato nella Corte di appello di Lecce, che, per il periodo successivo a quello regolato dalla transazione intervenuta fra le parti (periodo oggetto della domanda introduttiva), avrebbe dovuto applicare il seguente principio di diritto: “In forza della sentenza pronunciata dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee in data 26 giugno 2001, nella causa C-212/99, e del D.L. 14 gennaio 2004, n. 2, come convertito con la L. 5 marzo 2004, n. 63, ai collaboratori linguistici, ex lettori di madre lingua straniera, già destinatari di contratti stipulati ai sensi del D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 28, abrogato dal D.L. 21 aprile 1995, n. 120, art. 4, comma 5, convertito, con modificazioni dalla L. 21 giugno 1995, n. 236, ancorchè non dipendenti da una delle sei Università menzionate nel citato D.L. n. 2 del 2004, conv. con la L. n. 63 del 2004, compete, proporzionalmente all’impegno orario assolto, e tenuto conto che l’impegno pieno corrisponde a 500 ore, il trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, con effetto dalla data di prima assunzione”. A seguito di riassunzione, la Corte di appello di Lecce si pronunciava nei termini sopra indicati.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Università di Bari affidato a due motivi.

M.C. resiste con controricorso e formula altresì ricorso incidentale.

Con il primo motivo l’Università denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 240 del 2010, art. 26, norma di interpretazione autentica del D L. n. 2 del 2004, art. 1, convertito con modifiche in L. n. 63 del 2004, così come interpretato in via autentica dalla L. n. 240 del 2010, art. 26 (art. 360 c.p.c., n. 3). Lamenta che la Corte territoriale, pur dando atto della sopravvenuta norma interpretativa, non ha dichiarato, pur essendovi tenuta, l’estinzione del giudizio, così come previsto nell’ultima parte del comma 3 dell’art. 26 citato. Rileva che il richiamo operato dalla Corte leccese alla pronuncia di questa Corte n. 5792 del 2013 è del tutto inconferente, trattandosi in quel caso di una pronuncia di rigetto del ricorso del lavoratore.

Il motivo presenta profili di inammissibilità ed è comunque manifestamente infondato.

Non risulta, infatti, censurato il passaggio argomentativo della Corte territoriale nella parte in cui, a sostegno della ritenuta non applicabilità della disposizione sulla estinzione del giudizio, ha posto il contrasto della L. n. 240 del 2010, art. 26, comma 3, che non ha riconosciuto in modo pieno ed incondizionato agli ex lettori di lingua straniera le pretese da essi vantati, con i principi enunciati dalli Corte di Giustizia CE nella sentenza del 26 giugno 2001, n. 212, direttamente applicabile nell’ordinamento italiano (questo, in particolare, il punto rispetto al quale sarebbe integrato il contrasto: se agli altri lavoratori dello Stato viene garantita in generale la stabilità attraverso la L. 18 aprile 1962, n. 230 e se i medesimi beneficiano, proprio in forza di tale L. n. 230, della ricostruzione della loro carriera per quanto riguarda aumenti salariali, anzianità e versamento, da parte del datore di lavoro, dei contributi previdenziali fin dilla dati della loro prima assunzione, anche gli ex lettori di lingua straniera, divenuti collaboratori linguistici, devono beneficiare di una ricostruzione analoga con effetti a decorrere dalla data della loro prima assunzione).

Neppure è adeguatamente censurato il decisum della Corte di appello nella parte in cui ha ulteriormente spiegato le ragioni della ritenuta non applicabilità dell’art. 26 citato essendosi la ricorrente limitata a dedurre una pretesa inconferenza del richiamo al precedente di questa Corte costituito da Cass. 8 marzo 2013, n. 5792 senza chiarire perchè il principio estrapolato da tale decisione mal si adatterebbe al caso in questione.

Sul punto, infatti, la Corte territoriale, a mezzo del suddetto richiamo giurisprudenziale, ha evidenziato che l’art. 26, interviene su questioni, relative ai rapporti concernenti i lettori di madrelingua straniera (D.P.R. n. 382 del 1980, ex art. 38), che, nella specie, riguardando il periodo antecedente all’1/11/1994, cioè quello regolato dalla transazione, hanno acquistato forza di giudicato; e, per ciò stesso, non formano più oggetto di giudizi in corso. Tale consolidamento della situazione antecedente all’1/11/1994, producendo, sia pure in via indiretta, conseguenze sul periodo successivo, impedisce l’applicazione del richiamato art. 26 anche per detto periodo.

Trattasi, in ogni caso, di argomentazione corretta (si veda anche Cass. 16 luglio 2013, n. 17368).

Ed infatti, della L. n. 240 del 2010, art. 26, comma 3, fornisce una interpretazione autentica del D.L. n. 2 del 2004, art. 1, comma 1. Quest’ultima disposizione riconosce ai collaboratori ex lettori “un trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, con effetto dalla data di prima assunzione, fatti salvi eventuali trattamenti più favorevoli”. La prima parte dell’art. 26, comma 3, chiarisce (individuando un dies ad quem) che il riconoscimento ai collaboratori ex lettori di un trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito ha effetto soltanto “sino alla data di instaurazione del nuovo rapporto quali collaboratori esperti linguistici, a norma del D.L. 21 aprile 1995, n. 120, art. 4, convertito, con modificazioni dalla L. 21 giugno 1995, n. 236”. A partire da quel momento, il trattamento economico fondamentale è individuato dalla contrattazione collettiva di comparto, secondo il disposto del D.L. n. 120 del 1995, art. 4, che rappresenta tuttora la norma di base del nuovo regime. La seconda parte dell’art. 26, comma 3, compie un ulteriore riconoscimento, pur sempre dipendente da quello di cui alla prima parte. Stabilisce, infatti, che la conservazione dei diritti acquisiti nel periodo anteriore al 1995 comporta anche il diritto dei collaboratori ex lettori alla corresponsione della differenza “tra l’ultima retribuzione percepita come lettori di madrelingua straniera, computata secondo i criteri dettati dal citato D.L. n. 2 del 2004”, cioè la retribuzione spettante nel 1994 a un ricercatore confermato a tempo definito, “e, ove inferiore, la retribuzione complessiva loro spettante secondo le previsioni della contrattazione collettiva di comparto e decentrata”.

La volontà del legislatore, manifestata attraverso la prima e la seconda parte dell’art. 26, comma 3, è diretta, dunque, a chiarire che la norma del 2004 implica il riconoscimento ai collaboratori ex lettori di un trattamento economico corrispondente a quello dei ricercatori confermati “sino alla data di instaurazione del nuovo rapporto quali collaboratori esperti linguistici, a norma del D.L. 21 aprile 1995, n. 120, art. 4, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 giugno 1995, n. 236”. E’ allora logico dedurre che la medesima norma, laddove ha previsto che: “Sono estinti i giudizi in materia, in corso alla data di entrata in vigore della presente legge” non possa che riferirsi ai giudizi aventi ad oggetto le pretese dei collaboratori ex lettori nei termini di cui al comma 1 ed al comma 2. Essendo, dunque, imprescindibile un ragionevole collegamento tra la previsione processuale di estinzione dei processi e la disposizione che disciplina le pretese sostanziali, non devono essere dichiarati estinti tutti i processi nei quali i collaboratori esperti linguistici avanzino pretese nei confronti delle università ma solo quelli nei quali rilevi il nuovo assetto dato dal legislatore alla materia senza che ne derivi una vanificazione dei diritti azionati. Si veda quanto affermato da questa Corte nelle sentenze n. 16924 del 24 luglio 2014, n. 17824 dell’8 agosto 2014 e n. 19992 del 23 settembre 2014 le quali hanno sottolineato che il provvedimento del 2010 costituisce una sorta di transazione legislativa (come avvenuto in altri numerosi casi di accoglimento in via legislativa di alcune pretese avanzate in sede giudiziaria e conseguente azzeramento del contenzioso) diretta a dare pronta e certa esecuzione alle sentenze prima ricordate della Corte di giustizia e a stabilire definitivamente il trattamento economico spettante ai collaboratori linguistici, fissando anche i parametri per il riconoscimento dei diritti pregressi maturati nei rapporti di lavoro precedenti e nelle quali è stato richiamato il principio affermato dal giudice delle leggi (Corte cost. n. 310 del 2000) secondo cui “onde escludere che sia stato menomato il diritto di azione, è necessario e sufficiente accertare che il nuovo assetto dato dal legislatore alla materia non si traduca in una sostanziale vanificazione dei diritti azionati, ma attui una nuova disciplina del rapporto, tale da far venire meno le basi del preesistente contenzioso, in quanto realizza – nella misura e con le modalità ritenute dal legislatore compatibili con i limiti, ragionevolmente apprezzati, consentiti dalle circostanze nelle quali esso si è trovato ad operare – le pretese fatte valere dagli interessati”.

Ed allora è di tutta evidenza che, nel caso in esame, in cui è rivendicata la maggiore retribuzione di ricercatore confermato a tempo definito per il periodo successivo al 30/10/1994 (e cioè successivo a quello regolato dalla transazione intervenuta tra le parti) nonchè la ricostruzione della carriera a far data dalla prima assunzione, si è fuori dalle ipotesi di cui all’art. 26, comma 3, cit. e dunque dell’estinzione ope legis.

Senza dire che, nell’ipotesi in questione, a fronte di una domanda intesa non solo ad ottenere l’accertamento del diritto vantato ma anche la condanna al pagamento di differenze retributive (nella specie quantificate tenendo conto degli scatti biennali di anzianità con decorrenza dalla prima assunzione), una pronuncia di estinzione, ove pure, come si assume, necessariamente conseguente all’intervenuto riconoscimento legislativo del diritto a termini della L. n. 240 del 2010, art. 26, comma 3, avrebbe comunque vanificato in parte la pretesa azionata, in evidente contrasto con la ratio della legge.

L’irrilevanza, nella fattispecie in esame, dell’estinzione rende superflua ogni altra questione posta dalla ricorrente così come l’esame della questione di costituzionalità sollevata, in via subordinata, dalla controricorrente.

Preliminare all’esame del secondo motivo di ricorso principale (afferente alla regolamentazione delle spese da parte dei giudici di appello) è quello del ricorso incidentale.

Con l’unico motivo di ricorso incidentale è denunciata l’omessa motivazione su un punto specifico, decisivo per la controversia, oggetto di discussione in relazione alla prestata adesione al primo conteggio effettuato dal consulente tecnico d’ufficio nonostante lo stesso presentasse notevoli deficienze ed avesse formato oggetto di precise censure.

Il motivo è inammissibile.

Ed infatti, il nuovo art. 360 c.p.c., n. 5, introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni in L. n. 134 del 2012, norma che, ai sensi dell’art. 54, comma 3 D.L. cit., è applicabile ai ricorsi proposti avverso una sentenza pubblicata successivamente al trentesimo giorno dall’entrata in vigore (12/8/2012) della legge di conversione, ammette il ricorso solo per l’omesso esame circa un fatto controverso e decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti. Detta riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.

Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si sia tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. S.U. Sez. Un. 7 aprile 2014, n. 8053). E’ stato precisato: – che il nuovo testo del n. 5 dell’art. 360, introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia); che l’omesso esame di elementi istruttori, non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; – che la parte ricorrente è tenuta ad indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la decisività del fatto stesso (Cass. Sez. Un. n. 8053/2014).

Nella specie, non sussiste certo la radicale totale pretermissione di circostanze di fatto, nei termini sopra considerati, atteso che la Corte di merito ha tenuto conto, come si evince dalla complessiva esposizione dello svolgimento del processo e delle ragioni della decisione, sia dei conteggi prodotti dalla ricorrente in riassunzione (contestati dalla controparte), sia dei rilievi mossi dalle parti (che, avevano reso necessario un supplemento di relazione) pervenendo, quindi, dopo l’acquisizione di una relazione definitiva del c.t.u., con l’elaborazione di un triplice conteggio, ad una argomentata opzione per l’ipotesi di calcolo (primo conteggio) ritenuta conforme al principio di diritto enunciato dal giudice remittente. In particolare, la Corte di merito, proprio con riferimento alla terza ipotesi di calcolo (ad avviso della ricorrente incidentale immotivatamente trascurata), ha evidenziato che tale ulteriore conteggio “il cui recepimento è stato oggi sollecitato dall’appellante, non può essere considerato in quanto espone la risultante di calcoli sviluppati tenendo conto della progressione economica solo alla scadenza del primo triennio; detto conteggio è inutilizzabile anche per altra ragione (…)”.

Ed allora non può certo discutersi di omesso esame ma di accoglimento di una tesi diversa da quella sostenuta dalla ricorrente incidentale.

Con il secondo motivo del ricorso principale è denunciata la violazione dell’art. 385 c.p.c., in relazione alla operata regolamentazione delle spese di tutti i gradi di giudizio a fronte della pronuncia remittente che delegava al giudice del rinvio solo di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

Il motivo è manifestamente infondato.

Questa Corte ha più volte affermato che il giudice del rinvio, al quale la causa sia rimessa dalla Corte di cassazione anche perchè provveda sulle spese del giudizio di legittimità, è tenuto a provvedere sulle spese delle fasi di impugnazione, se rigetta l’appello, e sulle spese dell’intero giudizio, se riforma la sentenza di primo grado, secondo il principio della soccombenza applicato all’esito globale del giudizio, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato (cfr. Cass. 29 marzo 2006, n. 7243; Cass. 18 giugno 2007, n. 14053; Cass. 7 gennaio 2009, n. 50; Cass. 9 ottobre 2015, n. 20289).

In conclusione, si propone il rigetto del ricorso principale e di quello incidentale, con ordinanza ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5″.

2 – Non sono state depositate memorie ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.

3 – Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla giurisprudenza di legittimità in materia e che ricorra con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375 c.p.c., n. 5, per la definizione camerale del processo.

4 – In conclusione tanto il ricorso principale quanto quello incidentale vanno rigettati.

5 – L’esito complessivo della lite, in cui si ravvisa una prevalente soccombenza della ricorrente in via principale, induce a compensare per metà le spese del presente giudizio di cassazione, che per il residuo si pongono a carico dell’Università e si liquidano per l’intero come da dispositivo.

6 – Il ricorso principale e quello incidentale sono stati notificati in dita successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), che ha integrato del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater del seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentalc”1 norma art. 1 bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.

La suddetta condizione sussiste nel caso in esame per entrambi i ricorsi.

PQM

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta; condanna la ricorrente principale al pagamento, in favore della controricorrente, di metà delle spese del presente giudizio di legittimità e compensa tra le parti la residua quota; liquida per intero tali spese in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 3.700,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2016

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