Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17271 del 30/07/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 17271 Anno 2014
Presidente: SALVAGO SALVATORE
Relatore: BENINI STEFANO

SENTENZA

sul ricorso 9363-2008 proposto da:
PISELLI CAVE S.R.L.,

in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA G. AVEZZANA 31, presso

Data pubblicazione: 30/07/2014

l’avvocato DE DOMINICIS TOMMASO, rappresentata e
difesa dall’avvocato BRICCA LANFRANCO, giusta
2014

procura a margine del ricorso;
– ricorrente –

1160

contro

COMUNE DI PERUGIA;

J.

1

- intimato –

sul ricorso 12393-2008 proposto da:
COMUNE DI PERUGIA, in persona del Sindaco pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
MARIA CRISTINA 8, presso lo STUDIO GOBBI,

rappresentato e difeso dall’avvocato CARTASEGNA
MARIO, giusta procura a margine del controricorso
e ricorso incidentale;
– controricorrente e ricorrente incidentale contro

PISELLI CAVE S.R.L.,

in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA G. AVEZZANA 31, presso
l’avvocato DE DOMINICIS TOMMASO, rappresentata e
difesa dall’avvocato BRICCA LANFRANCO, giusta
procura a margine del controricorso al ricorso
incidentale;
– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 2383/2007 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 28/05/2007;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 04/06/2014 dal Consigliere
Dott. STEFANO BENINI;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato DE DOMINICIS
che ha chiesto l’accoglimento;

2

udito,

per il controricorrente e ricorrente

incidentale, l’Avvocato CARTASEGNA che ha chiesto
il rigetto;
udito

il

P.M.,

persona

in

del

Sostituto

Procuratore Generale Dott. FEDERICO SORRENTINO che

principale,
l’incidentale.

rigetto

l’accoglimento del ricorso
e,

in

parte

assorbito

ha concluso per

3

,
1,

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con atto di citazione notificato il 21.12.1977 la
Fratelli Piselli s.p.a. conveniva in giudizio il Comune di
Perugia davanti alla Corte d’appello di quella città,

opponendosi alla stima e chiedendo la determinazione
dell’indennità relativamente a terreni di sua proprietà, in
loc. Campo di Marte, per l’estensione di mq. 7.710,
espropriati dall’amministrazione convenuta nel 1974.
Si costituiva in giudizio l’amministrazione, contestando il
fondamento della domanda, di cui chiedeva il rigetto.
2.
,

Con sentenza depositata il 23.6.2000,

la Corte

d’appello, ritenuta incontestata la natura edificabile dei
suoli, determinava l’indennità in lire 42.073.470, al cui
pagamento condannava il Comune di Perugia, con
rivalutazione e interessi.
3. Su ricorso dell’amministrazione, la Corte di cassazione,
con sentenza 3.12.2012, n. 17105, cassava la sentenza
impugnata e rinviava alla Corte d’appello di Roma con
indicazione alla preventiva determinazione della natura
delle aree espropriate in base agli strumenti urbanistici
all’epoca vigenti.
4. Il giudizio era riassunto dal Comune di Perugia con atto
di citazione notificato 1’8.5.2003, e il giudice di rinvio,
con sentenza 27.3.2007, accertava la natura edificabile del

4

terreno,

essendo

indifferente

che

nella

zona

per

attrezzature e servizi la costruzione potesse realizzarsi
da soggetti pubblici e privati, e comunque mancando
previsioni urbanistiche che riservassero al Comune

l’esclusiva dell’edificazione del “capo boario”, e
condividendo l’accertamento del valore venale compiuto
nella precedente fase (lire 18.000/mq.), con applicazione
del metodo sintetico-comparativo, ha rideterminato
l’indennità in lire 42.073.740 (euro 21.729,13), oltre
rivalutazione e interessi.
5. Ricorre per cassazione la Piselli Cave s.r.l. (già
Fratelli Piselli s.p.a.) affidandosi a tre motivi, al cui
accoglimento si oppone con controricorso il Comune di
Perugia, che spiega anche ricorso incidentale fondato su
nove motivi.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE

1.

Deve preliminarmente

disporsi

la

riunione dei

procedimenti ai sensi dell’art. 335 c.p.c., avendo essi ad
oggetto ricorsi avverso la stessa sentenza.
2.1. Con il primo motivo di ricorso, la Piselli Cave
s.r.1., denunciando violazione e falsa applicazione
dell’art. 37, commi 1 e 2, d.p.r. 327/01, come modificato
dall’art. 2 1. 244/07, nonché dell’art. 39 1. 2359/1865,

5

nonché dell’art. 5-bis, commi 1 e 2 d.l. 333/92 conv. in 1.
359/92, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., assume che a
seguito della sentenza n. 348/07 e della normativa che ne è
seguita, l’indennità va commisurata al valore venale dei
suoli espropriati, in relazione alle loro natura

.

edificabile, che è divenuta incontrovertibile, con aumento
del 10%, atteso il divario rispetto all’offerta
amministrativa.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso, la Piselli Cave
s.r.1., denunciando violazione e falsa applicazione
dell’art. 37, commi 1 e 2, d.p.r. 327/01, come modificato
dall’art. 2 1. 244/07, nonché dell’art. 39 1. 2359/1865,
nonché dell’art. 5-bis, commi 1 e 2 d.l. 333/92 conv. in 1.
359/92, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., in merito
all’individuazione del valore venale del bene, censura la
sentenza impugnata per aver assunto, quale base di calcolo
per la determinazione dell’indennità, un importo non
corrispondente al valore edificatorio effettivo, ma una
media ponderata tra i prezzi pagati per terreni con le
stesse caratteristiche, ed il valore agricolo del terreno.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso, la Piselli Cave
s.r.1., denunciando omessa, insufficiente o contraddittoria
motivazione su fatto controverso e decisivo, costituito dal
valore dell’immobile, in relazione all’art. 360 n. 5

6

c.p.c., censura la sentenza impugnata per aver condiviso le
argomentazioni del c.t.u., sull’adozione del prezzo di
terreni omogenei, mentre la stima, che è approdata
all’esiguo valore di lire 18.000/mq., risulta da una
mediazione con il valore agricolo.

.

3.1. Con il primo motivo del ricorso incidentale, il Comune
di Perugia, denunciando omessa ed insufficiente motivazione
su punto decisivo, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.,
censura la sentenza impugnata per aver attribuito natura
edificabile al terreno espropriato, sul presupposto,
dubitativamente assunto, della sua destinazione urbanistica
a “campo boario”, che invece è certa, e nella convinzione
che tale destinazione ad attrezzature pubbliche fosse
realizzabile anche da privati.
3.2. Con il secondo motivo del ricorso incidentale (2a
nella numerazione data dal ricorrente), il Comune di
Perugia, denunciando violazione e falsa applicazione degli
artt. 37 d.p.r. 327/01 e

5-bis,

l. 359/92, in relazione

all’art. 360 n. l c.p.c., censura la sentenza impugnata per
aver ritenuto l’edificabilità del terreno nonostante la
destinazione a servizi pubblici-foro boario dello strumento
urbanistico, e in difetto di previsione che ne consenta
l’attuabilità privata.

7

3.3. Con il terzo motivo del ricorso incidentale (2b), il
Comune di Perugia, denunciando violazione e falsa
applicazione degli artt. 37 d.p.r. 327/01 e 5-bis, 1.
359/92, con riguardo agli artt. 822, 823 e 824 in relazione
all’art. 360 n. l c.p.c., censura la sentenza impugnata per

.

aver ritenuto l’edificabilità del terreno nonostante la
destinazione a servizi pubblici-foro boario dello strumento
urbanistico, e la vocazione demaniale che ne consente
insediamenti pubblici.
3.4. Con il quarto motivo del ricorso incidentale (2c), il
Comune di Perugia, denunciando violazione e falsa
applicazione degli artt. 37 d.p.r. 327/01 e

5 bis,

1.

359/92, in relazione all’art. 360 n. l c.p.c., censura la
sentenza impugnata per aver riferito che al fondo ablato è
stata assegnata una destinazione diversa (strada) rispetto
alla previsione urbanistica.
3.5. Con il quinto motivo del ricorso incidentale (2d), il
Comune di Perugia, denunciando violazione e falsa
applicazione dell’art. 40 d.p.r. 327/01 e 16 1. 865/71 in
relazione all’art. 360 n. l c.p.c., censura la sentenza
impugnata per non aver indennizzato il terreno, non avente
natura edificabile, secondo i valori agricoli tabellari.
3.6. Con il sesto motivo del ricorso incidentale (3a), il
Comune di Perugia, denunciando omessa ed insufficiente

8

motivazione su punto decisivo, in relazione all’art. 360 n.
5 c.p.c., censura la sentenza impugnata per aver desunto il
valore del terreno da un solo elemento comparativo
peritale, obliterando la documentazione versata in atti
dall’amministrazione.

.

3.7. Con il settimo motivo del ricorso incidentale (3b), il
Comune di Perugia, denunciando omessa ed insufficiente
motivazione su punto decisivo, in relazione all’art. 360 n.
5 c.p.c., censura la sentenza impugnata per non aver tenuto
conto che il terreno, anche ove fosse da considerare
edificabile, non era destinato a recepire alcun volume
edilizio, onde il valore sarebbe stato a tutto concedere di
poco superiore a quello agricolo tabellare.
3.8. Con l’ottavo motivo del ricorso incidentale, il Comune
di Perugia, denunciando omessa ed insufficiente motivazione
su punto decisivo, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.,
censura la sentenza impugnata per aver attribuito la
rivalutazione monetaria oltre agli interessi sul credito
indennitario, nonostante si trattasse di domanda nuova, su
cui l’amministrazione non aveva accettato il
contraddittorio.
3.9. Con il nono motivo del ricorso incidentale, il Comune
di Perugia, denunciando omessa ed insufficiente motivazione
su punto decisivo, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.,

9

censura la sentenza impugnata per aver ordinato al Comune
di depositare l’indennità nella misura determinata, previa
detrazione di quanto depositato, mentre nei rapporti di
dare-avere della sentenza, l’amministrazione vantava un
credito di euro 62.000.

4.1. Apprestandosi all’esame dei motivi di doglianza, il
collegio deve osservare che il panorama normativo che sta
sullo sfondo della sentenza impugnata, ha subito profonde
modifiche nella concezione stessa dei criteri di indennizzo
per l’espropriazione della proprietà immobiliare a fini di
interesse pubblico.
Per effetto delle sentenze Corte cost. 24.10.2007, nn. 348
e 349, rispettivamente inerenti l’indennità di
espropriazione ed il risarcimento del danno da occupazione
appropriativa per i suoli edificabili, sono stati
dichiarati illegittimi i criteri posti dall’art. art.5-bis
d.l. 11.7.1992 n. 333, conv. in 1. 8.8.1992 n. 359, e dal
comma

7-bis

della stessa disposizione, come introdotto

dall’art. 3, comma 65, 1. 23.12.1996 n. 662, nella parte in
cui non sono in ragionevole legame con il valore di mercato
dell’immobile espropriato.
4.2. La più recente sentenza Corte cost. 11.6.2011, n. 181,
ha dichiarato l’illegittimità dell’art.

5-bis,

comma 4,

cit., in combinato disposto con gli art. 15, primo comma,

10

secondo periodo, e 16, quinto e sesto comma, 1. 22.10.1971
n. 865, nella parte in cui prevede che l’indennità di
espropriazione per le aree agricole e per le aree non
edificabili sia commisurata al valore agricolo medio della
coltura in atto o di quella più redditizia nella regione

.

agraria, senza tener conto dei requisiti specifici del
bene.
4.3. In sintesi, le tecniche indennitaria e risarcitoria
per le espropriazioni ed occupazioni di suoli finalizzati
alla realizzazione di opere pubblica, devono
necessariamente focalizzare il valore di mercato del bene,
senza ulteriori applicazioni di coefficienti riduttivi. Il
valore venale, dunque, rappresenta l’indennità di
espropriazione.
A

seguito

della

dichiarazione

di

illegittimità

costituzionale, i precedenti criteri riduttivi non
potrebbero più trovare applicazione, ai sensi dell’art. 136
Cost. e della 1. 11.3.1953, n. 87, art. 30, terzo comma,
dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza
della Corte costituzionale.
La sentenza dichiarativa dell’illegittimità costituzionale
si traduce in un ordine rivolto, tra l’altro, ai giudici di
non applicare più la norma illegittima: ciò significa che
gli effetti della sentenza di accoglimento non riguardano

11

soltanto i rapporti che sorgeranno in futuro, ma anche
quelli che sono sorti in passato, purché non si tratti di
rapporti esauriti. Per costante giurisprudenza di questa
Corte (tra le altre, Cass. 28.7.2005, n. 15809), infatti,

le sentenze di accoglimento di una questione di legittimità
costituzionale pronunciate dalla Corte costituzionale hanno
effetto retroattivo, in quanto connesse a una dichiarazione
di illegittimità che inficia fin dall’origine la
dichiarazione colpita, con l’unico limite delle situazioni
già consolidate, attraverso quegli eventi che l’ordinamento
riconosce idonei a produrre tale effetto, tra i quali si
collocano non solo la sentenza passata in giudicato (e
l’atto amministrativo non più impugnabile), ma anche altri
fatti rilevanti sul piano sostanziale o processuale, quali,
ad esempio, la prescrizione e la decadenza.
4.4. Il limite all’applicabilità dello ius superveniens cui
sono equiparate le modifiche dell’assetto normativo a
seguito degli interventi della sentenza della Corte
costituzionale, è costituito dal giudicato e dalle
preclusioni processuali o decadenze e prescrizioni, non
direttamente investite, nei loro presupposti normativi,
dalla pronuncia di incostituzionalità (Cass. 18.7.2006, n.
16450; 21.6.2012, n. 10379).

12

Ne consegue,

in materia espropriativa,

che qualora

l’intervento normativo o costituzionale abbia inciso in
modo potenzialmente favorevole ad una delle parti, occorre
che la stessa non abbia fatto acquiescenza ad una pronuncia

determinativa dell’indennità (o del risarcimento per
occupazione illegittima).
Il principio è applicabile nei confronti dell’espropriante,
del quale si è reiteratamente affermato non potesse
avvalersi degli effetti riduttivi della prestazione
indennitaria conseguenti all’entrata in vigore dell’art.
art. 5-bis d.l. 11.7.1992 n. 333, conv. in 1. 8.8.1992 n.
, 359, o del comma

7-bis,

della stessa disposizione, come

introdotto dall’art. 3, comma 65, l. 23.12.1996 n. 662, ove
la causa fosse ancora in corso a seguito dell’impugnazione
dell’espropriato (Cass. 18.7.1996, n. 6480, 28.7.1997, n.
7024, entrambe in tema di indennità di espropriazione;
6.5.1997 n. 3941, 7.9.1999, n. 9484, entrambe in tema di
risarcimento del danno per l’occupazione appropriativa).
Vale anche il contrario, nel senso che lo ius superveniens
non è applicabile in assenza di gravame dei proprietari,
non essendo più in discussione, a favore degli stessi, il
valore del terreno espropriato o irreversibilmente
acquisito alla mano pubblica, sicché il relativo punto
della sentenza di merito è da considerare passato in

13

giudicato: la Suprema Corte ha ad esempio ritenuto di
confermare la sentenza della Corte d’appello che, investita
del gravame dell’ente pubblico dolutosi della
quantificazione del danno attuata dal primo giudice, non

aveva tenuto conto della maggiore valutazione operata dal
c.t.u. disposta in secondo grado del suolo illegittimamente
sottratto ai proprietari appellati, avendo costoro prestato
acquiescenza alla statuizione del Tribunale in punto di
liquidazione del risarcimento dovuto (Cass. 28.2.2006, n.
4400).
Venendo alla fattispecie, il rapporto non è ancora
esaurito, perché al momento in cui sono intervenute le
sentenza della Corte costituzionale, era ancora in corso
(come lo è tuttora) la controversia sulla misura
dell’indennità.
Le modifiche introdotte nel sistema normativo, però,
possono giovare solo a favore di chi non ha fatto
acquiescenza, nel corso del giudizio, alla determinazione
indennitaria. Ciò si è verificato nei confronti della
proprietaria, come ora sarà verificato, conseguendone che
solo l’ente espropriante, che con le sue impugnazioni ha
sempre posto in discussione la determinazione indennitaria
nelle varie fasi del giudizio, può aspirare a un risultato

14

inferiore (a sé più favorevole) di quello risultante dalla
sentenza ora oggetto d’impugnazione.
5.1. Il ricorso principale è inammissibile.
La Piselli cave s.r.1.,

con tutti e tre i mezzi

d’impugnazione, aspira a conseguire un risultato più
favorevole rispetto alla quantificazione, pur operata dalla
Corte d’appello sul presupposto della qualificazione
edificatoria dei suoli espropriati, invocando non solo
l’applicazione del criterio del valore venale, riemerso a
seguito della dichiarazione d’incostituzionalità dell’art.
5 bis

(primo motivo), ma anche per errori che in giudice

avrebbe compiuto nella valutazione del bene (secondo e
terzo motivo).
5.2. Occorre risalire alla prima sentenza del giudice di
merito, quella della Corte d’appello di Perugia del
23.6.2000, che determinò l’indennità in lire 42.073.470.
Quella sentenza fu impugnata soltanto dal Comune di
Perugia, e a seguito della cassazione della stessa, per via
dell’arresto di questa suprema Corte n. 17105/12, la causa
fu rimessa alla Corte d’appello di Roma per una nuova
determinazione, sul presupposto del necessario accertamento
preliminare della natura del fondo.
Alla quantificazione dell’indennità in lire 42.073.470 la
Piselli cave s.r.l. prestò acquiescenza: non risulta

15

infatti che essa abbia presentato ricorso per cassazione,
nemmeno in via incidentale.
Non a caso, probabilmente, la Corte d’appello di Roma, in
sede di rinvio, pur non affrontando

ex professo

la

questione delle preclusioni, accerta l’edificabilità del
suolo, ma ne contiene il valore nei limiti già fissati
dalla Corte di Perugia (lire 18.000/mq.), condividendo le
conclusioni del c.t.u. da quest’ultima nominato.
In sostanza, la Piselli cave s.r.l. non può pretendere una
determinazione indennitaria migliore rispetto a tale
limite, potendo solo limitarsi a difendere il risultato
acquisito.
6.1. Diversamente, il Comune ha impugnato la prima sentenza
di merito, ha riassunto il giudizio di rinvio, ed ora
ricorre in via incidentale contro la nuova sentenza di
appello (ricorso che va esaminato, pur nella ritenuta
inammissibilità del ricorso principale, essendo comunque
ricorso incidentale tempestivo).
Con la contestazione della qualità del suolo espropriato,
l’amministrazione mira ad una definitiva determinazione
agganciata al valore agricolo medio. Va premesso, però, che
ove il ricorso si dimostri fondato, nel senso della
inedificabilità dell’area, dovrà ritenersi applicabile la
disciplina risultante dalla sentenza Corte cost. 11.6.2011,

16

n.

181,

che,

come sopra accennato,

l’illegittimità dell’art.

5-bis,

ha dichiarato

comma 4, 1. cit., in

combinato disposto con gli art. 15, primo comma, secondo
periodo,

e 16,

quinto e sesto comma,

1.

865/71.

L’impugnazione del credito indennitario rimette in

discussione il criterio legale utilizzato dalla sentenza
determinativa dell’indennità, ed il relativo capo,
fondandosi sulla premessa dell’applicabilità dell’art. 5bis (e dell’art. 16 1. 865/71), non è suscettibile, venuta
meno tale premessa, di conservare la natura e gli effetti
di un’autonoma statuizione (Cass. 22.9.2011, n. 19345;
5.2.14 n. 2567; in generale: Cass. 5.9.2008, n. 22409).
La negazione del carattere edificabile dei terreni
espropriati porterebbe ad una determinazione in base al
valore venale (non edificabile), che tuttavia non potrà
essere quantitativamente maggiore dell’importo accertato
dalla sentenza per la quale il soggetto espropriato ha
fatto acquiescenza (lire 42.073.470, corrispondenti a euro
21.729,13).
6.2. E’ ora il momento di affrontare la questione centrale
posta nel presente giudizio, in cui l’amministrazione
ricorrente non condivide l’attribuzione della prerogativa
edificatoria affermata dalla Corte d’appello di Roma.

17

Va osservato che la polarizzazione del sistema indennitario
sul valore di mercato, non toglie la necessità di accertare
preventivamente la natura urbanistica del fondo espropriato
od occupato.

La tradizionale summa divisio, tra suoli edificabili e non
edificabili, è rimasta alla base della valutazione, essendo
il comma 3 dell’art.

5-bis sopravvissuto alla dichiarazione

d’incostituzionalità della norma: che è stata ritenuta non
conforme a Costituzione, perché non è in ragionevole legame
con il valore di mercato dell’immobile espropriato.
Le pronunce di incostituzionalità non hanno intaccato il
sistema differenziato di indennizzo tra suoli edificabili e
non edificabili, che comporta la necessità di individuare
la natura del fondo, secondo un’indagine da condurre alla
stregua dell’edificabilità legale, configurabile secondo la
disciplina contenuta negli strumenti urbanistici. Da non
trascurare, a smentita della tesi per cui gli interventi
della

Corte

costituzionale

avrebbero

affidato

la

valutazione dei beni espropriati unicamente alle leggi del
mercato (così rimettendo in gioco l’edificabilità di
fatto), che a conclusione del punto 5.7 del “Considerato in
diritto” la sentenza n. 348/07 afferma: “È inoltre evidente
che i criteri per la determinazione dell’indennità di
espropriazione riguardante aree edificabili devono fondarsi

18

sulla base di calcolo rappresentata dal valore del bene,
quale emerge dal suo potenziale sfruttamento non in
astratto, ma secondo le norme ed i vincoli degli strumenti
urbanistici vigenti nei diversi territori”.

Il ripristino del criterio del valore venale non significa
acquisizione della prerogativa dell’edificabilità da parte
di quei terreni che ne siano privi di diritto.
Ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio e
del risarcimento per occupazione appropriativa, deve essere
esclusa la qualità edificatoria dell’area che, al momento
dell’esproprio, sia destinata a pubblici impianti in base a
progetti approvati dall’autorità amministrativa, in virtù
delle norme dello strumento urbanistico, che regolino il
territorio comunale con previsione generale e astratta,
ripartendolo in zone omogenee, con la conseguenza che la
destinazione urbanistica di inedificabilità, che la detta
zonizzazione comporta, dà luogo a vincolo di tipo non
ablativo ma conformativo, sicché dell’incidenza della
suddetta destinazione sul valore del bene deve tenersi
conto ai fini della valutazione del fondo (Cass.
25.11.2008, n. 28051; 5.9.2013, n. 20457; 16.4.2014 n.
8873).
Il tema è oggetto dei primi cinque motivi del ricorso
incidentale, dei quali il primo risulta inammissibile, il

19

quinto infondato, mentre sono fondati i motivi dal secondo
al quarto (gruppo 2a-b-c nella numerazione del ricorso).
La sentenza viene cassata: viene spontaneo osservare che
alla luce dei principi che ora si affermeranno (e che

questa Corte può solo enunciare rimettendone l’applicazione
pratica al giudice di rinvio), il prezzo accertato dalla
Corte romana potrebbe integrare, senza aumenti ex sentenza
348/07, e senza la suggestione di richiami agricolotabellari, un valore definitivamente equo alla stregua
delle caratteristiche e della destinazione del bene.
Tenendo anche conto che si è in presenza di una
controversia di incredibile durata, che in mancanza di una
ragionevole rimeditazione delle parti in causa, è ancora
lontana dalla sua conclusione.
7.1.

Il

primo motivo

del

ricorso

incidentale

è

inammissibile.
Il ricorrente censura il vizio motivazione in ordine alla
qualificazione del suolo, come rivelata dalla destinazione
urbanistica, dolendosi che il “campo boario” sia stato
ritenuto edificabile, in un completo travisamento
dell’espressione normativa “possibilità legali ed effettive
di edificazione” di cui all’art.

5 bis d.l. 11.7.1992 n.

333, conv. in 1. 8.8.1992 n. 359 e poi dall’art. 37 d.p.r.
8.6.2001 n. 327.

20

La questione concerne l’applicazione delle norme, e dunque
il motivo di impugnazione è diretto a censurare un error in
iudicando.
L’erronea

ricognizione,

da parte del provvedimento

impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma
di legge implica necessariamente un problema interpretativo
della stessa, e non riferendosi all’accertamento dei fatti
rilevanti per la decisione, non può mai risolversi in un
vizio di motivazione deducibile autonomamente come motivo
di ricorso per cassazione, ma può soltanto sostenere una
censura di violazione o falsa applicazione di norme o
principi di diritto (Cass. 4.4.2013, n. 8315; 14.2.2012 n.
2107). Sul punto deve smentirsi anche la
controargomentazione svolta dal ricorrente principale
riguardo al secondo motivo del ricorso incidentale: la
giurisprudenza citata dalla Piselli cave s.r.l. afferma un
principio ben diverso da quello che la parte vuole
attribuirgli, nel senso che l’edificabilità sarebbe
accertamento riservato al giudice di merito e sindacabile
in sede di legittimità nei limiti del vizio di motivazione.
Sono oggetto di accertamento di fatto le caratteristiche
fisiche del bene da indennizzare e la sua collocazione
nella zonizzazione territoriale, non anche la sussunzione

21

di tale accertamento nel criterio legale, che può generare
il vizio di falsa applicazione di norme di diritto.
Ulteriore ragione di inammissibilità del mezzo è che il
ricorrente incidentale non ha concluso le proprie critiche

al ragionamento della Corte d’appello con una esposizione
riassuntiva. In tema di formulazione dei motivi del ricorso
per cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo
l’entrata in vigore del d.lgs. 2.2.2006 n. 40 ed impugnati
per vizio di motivazione, poiché secondo l’art. 366-bis
c.p.c., nel caso previsto dall’art. 360 n. 5 c.p.c.,
l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di
inammissibilità,

la

chiara

indicazione

del

fatto

controverso in relazione al quale la motivazione si assume
omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la
dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a
giustificare la decisione, la relativa censura deve
contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di
diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in
maniera da non ingenerare incertezze in sede di
formulazione del ricorso e di valutazione della sua
ammissibilità (Cass. 1.10.2007, n. 20603; 8.3.2013, n.
5858).

22

La formula riassuntiva tanto più s’imponeva, attesa la
complessità del ragionamento sviluppato con l’impugnazione,
articolato in due distinti capitoli.
7.2. Riguardo ai motivi dal secondo al quarto (gruppo 2a-b-

c nella numerazione del ricorso), che, come anticipato, si
rivelano fondati, è appena il caso di smentire l’eccezione
in parte qua, che avrebbe

di inammissibilità del ricorso

male invocato la violazione dell’art. 360 n. l c.p.c.:
l’indicazione, ai sensi dell’art. 366 n. 4 c.p.c., delle
norme che si assumono violate, non si pone come requisito
autonomo ed imprescindibile ai fini dell’ammissibilità del
ricorso per cassazione, ma come elemento richiesto al fine
di chiarire il contenuto delle censure formulate e di
identificare i limiti della impugnazione, sicché la mancata
od erronea indicazione delle disposizioni di legge non
comporta l’inammissibilità del gravame ove gli argomenti
addotti dal ricorrente, valutati nel loro complesso,
consentano di individuare le norme o i principi di diritto
che

si

assumono violati

delimitazione del

e

rendano possibile

quid disputandum

la

(Cass. 4.6.2007, n.

12929; 21.1.2013, n. 1370, con particolare riferimento alle
ipotesi di cui all’art. 360, primo comma, c.p.c.).
Nel merito, il suolo espropriato non può essere considerato
edificabile.

23

La destinazione è posta dal Piano regolatore generale di
Perugia in zona S-pu, che l’art. 16 delle norme di
attuazione alla variante intitola “zona per attrezzature e
servizi”, in cui sono comprese “attrezzature pubbliche” (e

tra queste macelli, campi boari, mercati, ecc.). Il campo
boario (o foro boario, nella suggestione della reminiscenza
storica romana) è il luogo di concentramento del bestiame,
a fini commerciali.
E’ evidente che la previsione è inquadrabile nella logica
della ripartizione generale del territorio, e trattandosi
di servizi destinati ad una generalità di cittadini, la sua
localizzazione è ispirata a criteri generali e astratti
nella programmazione del tessuto urbanistico.
La tipologia delle attrezzature e dei servizi in questione
è inconfondibilmente di natura strettamente pubblica,
contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata,
atteso che i mercati costituiscono beni demaniali (art.
824, secondo comma, c.c.), la cui regolamentazione spetta
al Comune, cui è attribuito il potere di istituire e
realizzare tali strutture commerciali (art. 5 1. 25.3.1959
n. 125) e di regolamentare degli spazi (art. 28, d.lgs.
31.3.1998, n. 114); la collaborazione dei privati, nella
costruzione e nella gestione di tali strutture, è

24

configurabile mercé lo strumento della concessione (Cass.
3.7.1993, n. 7285).
Ai suoli espropriati per la realizzazione del campo boario
non può essere riconosciuta la prerogativa di

edificabilità. E’ irrilevante che in concreto il Comune
abbia adibito i beni ad una diversa destinazione pubblica,
il che potrebbe rilevare ai fini dell’esercizio del diritto
di retrocessione. La valutazione del bene va compiuta
prescindendo dal vincolo preordinato all’esproprio (ma
tenendo conto della destinazione conformativa dello
strumento urbanistico), al prezzo che in relazione a quella
destinazione il bene può spuntare sul mercato alla data del
decreto di esproprio.
7.3. La sentenza impugnata aveva attribuito il carattere di
edificabilità, muovendo dal postulato della realizzabilità
della destinazione di piano, anche a cura dei privati.
L’iniziativa privata del proprietario, lungi dal costituire
il criterio discretivo tra aree edificabili e aree non
edificabili, è la misura che in un’economia di mercato
individua la domanda di suoli in un determinato contesto
urbanistico, quale fattore di produzione nella logica
imprenditoriale.
Tale criterio, emerso da una sentenza della Corte
costituzionale pronunciata

ad altri

fini

(sentenza

25

20.5.1999, n. 179), è tendenzialmente divenuto criterio
integrativo, quando non discretivo, per il riconoscimento
dell’edificabilità delle aree ai fini della determinazione
dell’indennità, laddove l’azione privata, di cui i nuovi

valori ispirati alla solidarietà e alla sussidiarietà (art.
118, quarto comma, Cost.), ammettono una finalizzazione
all’interesse collettivo,

attiene,

quanto alla sfera

urbanistica, al problema dell’utilizzo della proprietà e
dei possibili vincoli alle scelte del proprietario, senza
incidere sulle conseguenze economiche dell’espropriazione.
L’iniziativa privata, nella prospettiva che qui interessa,
può ben esplicarsi nei margini consentiti dalle scelte
urbanistiche, nel rispetto della destinazione dei suoli
configurata dagli strumenti territoriali. Ove si renda
necessaria l’espropriazione, la conseguente indennità terrà
conto della potenziale redditività del terreno, ma sempre
nei limiti segnati dalle scelte urbanistiche. Essa, dunque,
costituisce un parametro trasversale, che contribuisce a
stabilire il valore di mercato per ogni tipo di area.
Alla luce della mutata base di valutazione dei beni
occupati a scopi d’interesse pubblico, l’iniziativa privata
resta

un

elemento

determinante

della

valutazione,

commisurando l’appetibilità sul mercato di una determinata

26

area, atteso l’impiego cui la stessa è destinata, in vista
degli usi legalmente consentiti.
In altre parole, che la realizzazione di un impianto
pubblico sia possibile ad iniziativa privata, non vale a

trasformare un suolo da agricolo a edificabile, ma
contribuisce ad attribuire un valore del suolo, costituendo
lo stesso un possibile fattore di produzione di un’attività
imprenditoriale.
7.4. Va osservato che la rigida dicotomia tra suoli
edificabili e suoli agricoli ha comunque perso quei
connotati di drammaticità di cui la questione si caricava
nella prospettiva del proprietario espropriato, sospeso
nell’alternativa tra un compenso corrispondente alla
rendita di trasformazione dell’area e un simbolica
prestazione agganciata a valori tabellari insignificanti.
Perché se è vero che il valore di mercato assicura, per i
suoli edificabili, un valore pieno e non più dimezzato, per
quelli che non abbiano la prerogativa dell’edificabilità,
il valore di mercato deve tener conto, rispetto al minimum
dei valori tabellari di cui agli artt. 15 e 16 l.
22.10.1971 n. 865, di quanto suscettibile di sfruttamento
ulteriore e diverso da quello agricolo, rispecchiando
possibilità di utilizzazioni ulteriori rispetto alla
destinazione agricola e quella edificatoria, anche se non

27

gli indici di valutazione attinenti al concetto di
edificabilità di fatto (Cass. 28.5.2004, n. 10280;
6.10.2005, n. 19511; 21.3.2013, n. 7174). La sentenza Corte
cost. 11.6.2011, n. 181, per i terreni agricoli e quelli
che sono da considerare non edificabili, ha rimesso

l’indennità alla valutazione del mercato, pur senza
equipararli ai suoli edificabili. Applicandosi dunque il
criterio generale del valore venale pieno, tratto dall’art.
39 1. 25.6.1865 n. 2359, la valutazione va operata in base
alla suscettibilità di uno sfruttamento ulteriore e diverso
da quello agricolo, che pur senza raggiungere il livello
dell’edificatorietà, rispecchia possibilità di
utilizzazione intermedie tra l’agricola e l’edificatoria,
ad esempio, parcheggi, depositi, attività sportive e
ricreative, chioschi per la vendita di prodotti (Cass.
17.10.2011, n. 21386; 1.8.2013, n. 18434).
La pronuncia della Corte costituzionale ha in sostanza
comportato il riconoscimento di un tertium genus tra suoli
che godono o meno della prerogativa della edificabilità,
consentendo che quelli non edificabili vengano valutati in
base a criteri oggettivi, idonei a premiarne utilizzazioni
alternative, purché, comunque, non rapportabili
all’edificazione

(Cass.

10.2.2014,

n.

2959):

sicché,

attraverso il sistema indennitario delle aree non

28

edificabili viene in considerazione l’iniziativa privata
non strettamente commisurata alla rendita di trasformazione
dei suoli. L’intervento della Corte costituzionale ha
sganciato l’indennizzo dei suoli non edificabili dal valore
agricolo medio, e ne ha consentito la valorizzazione in

base alle caratteristiche oggettive, che tengano conto di
loro possibili utilizzabilità economiche, ulteriori e
diverse da quelle agricole, consentite dalla normativa
vigente e conformi agli strumenti di pianificazione
urbanistica, previe le opportune autorizzazioni
amministrative (Cass. 28.5.2012, n. 8442).
7.5. La questione indennitaria, pur ancora condizionata dal
prioritario e fondamentale dilemma edificabilità-non
edificabilità, ammette, ove non vi siano spazi di
riconoscimento alla rendita di trasformazione del suolo,
che sia dato rilievo ad una vasta gamma di attività umane
che sul territorio si sviluppano, nell’intento premiale
della libertà di iniziativa privata.
L’acquisizione della consapevolezza della limitatezza della
“risorsa territorio”, prospetta un ripensamento radicale
sull’uso del suolo, non prioritariamente destinato
all’edificazione, ma votato all’uso della collettività
quale fattore di miglioramento dei servizi e di
innalzamento della qualità della vita, anche ove destinato

29

alla semplice conservazione. Le future attività di uso,
anche non invasivo, del territorio, sono al momento
tertium genus,

indifferenziatamente sintetizzabili in un

che nell’ottica indennitaria saranno sempre più distaccati

dalla penalizzante considerazione tradizionale della natura
agricola quale ineluttabile alternativa alla trasformazione
del suolo in senso edilizio.
7.6. La privazione della proprietà di un’area libera non
può essere compensata in base all’espressione volumetrica
in senso edilizio, che non è consentita al privato, bensì
attraverso il riferimento potenzialmente remunerativo,
.

all’uso non edilizio (Cass. 24.3.2014 n. 6833). Infatti, un
altro

pregiudizio

che

grava

sulla

problematica

indennitaria, investendo falsamente la diatriba
edificabile-agricolo, è il collegamento alla potenzialità
volumetrica del terreno, quasi che il trattamento
indennitario privilegiato dipenda dalla cubatura dell’opera
pubblica cui è finalizzata l’espropriazione.
Non può aver rilevanza la previsione di una volumetria più
o meno consistente in cui si esprimerà l’edificio pubblico
(Cass. 10.9.2004, n. 18254), perché le opere previste, che
non costituiscono estrinsecazione dello

ius

aedificandi,

sono funzionali alla realizzazione del fine pubblicistico
(Cass. 9.3.2004, n. 4732), svincolato alla logica della

30

rendita di trasformazione. Si pensi anche alle disparità di
trattamento che avrebbero i proprietari espropriati a
seconda che il terreno, nell’ambito della indifferenziata
destinazione a spazi ed attrezzature pubbliche, sia adibito

a caserma, scuola od ospedale, o viceversa a campo di
calcio o a verde pubblico.
L’attività di trasformazione del suolo per la realizzazione
dell’opera pubblica, ove questa sia inderogabilmente
rimessa all’iniziativa pubblica, non può essere assimilata
al concetto di edificazione che l’art.

5-bis

l. 359/92

prende in considerazione agli effetti indennitari e
. risarcitori, che va inteso come estrinsecazione dello
aedificandi

ius

connesso al diritto di proprietà, ovvero con

l’edilizia privata esprimibile dal proprietario dell’area,
restando escluso che la previsione d’interventi unicamente
finalizzati alla realizzazione dello scopo pubblico per cui
si rende necessario l’esproprio conferisca natura
fabbricativa ai terreni, attenendo al diverso concetto
d’edificabilità pubblica che discende dal sistema stesso
della legge urbanistica (art.

41-quater legge 17.8.1942 n.

1150), in cui l’edilizia esplicabile per edifici e impianti
ha una disciplina diversa dai limiti posti all’esplicazione
delle facoltà dominicali (Cass. 27.5.2005, n. 11322;
13.1.2010, n. 404).

31

7.7. L’accoglimento dei motivi concernenti la natura del
fondo comporta l’assorbimento dei motivi sesto (3a) e
settimo (3b), essendo le relative doglianze superate dalla
riconosciuta inedificabilità dei terreni, dei motivi ottavo

(4) e nono (5), le cui questioni dipendono dalla concreta
determinazione, che dovrà compiere il giudice di rinvio.
5.5. E’ infondato il quinto motivo del ricorso incidentale
(2d).
La riconosciuta natura non edificabile del terreno non
comporta l’applicazione dei valori tabellari di cui
all’art. 16 1. 865/71, che sono stati dichiarati
incostituzionali dalla citata sentenza 181/11.
L’indennità va commisurata ad un valore del fondo accertato
secondo una destinazione compatibile con la sua accertata
non edificatorietà, in ragione di uno sfruttamento
ulteriore e diverso da quello agricolo, che pur senza
raggiungere i livelli di prezzo delle aree edificabili,
abbia un’effettiva e documentata valutazione di mercato che
rispecchia queste possibilità di utilizzazioni intermedie
tra l’agricola e l’edificatoria, comunque assentite dalla
normativa vigente anche con il conseguimento delle
opportune autorizzazioni amministrative (Cass. 1.12.2011,
n. 25718).

32

P

Nella valutazione gioca un ruolo essenziale l’iniziativa
privata, commisurando l’appetibilità sul mercato di una
determinata area, atteso l’impiego cui la stessa è
destinata, in vista degli usi legalmente consentiti. In
altre parole, che la realizzazione di attrezzature a

.

servizio della collettività, se non vale a trasformare un
suolo da agricolo a edificabile, contribuisce ad attribuire
un valore del suolo, costituendo lo stesso un possibile
fattore di produzione di un’attività imprenditoriale.
L’indennità di espropriazione va commisurata al valore di
mercato, all’epoca dell’espropriazione, tenendo conto delle
obiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini
dell’area e delle utilizzazioni autorizzate dagli strumenti
di pianificazione del territorio, in rapporto alla domanda
di aree idonee ad ospitare attività volte a servizio della
collettività,

che non siano di stretta prerogativa

dell’ente pubblico, ma nel quadro di iniziative economiche
volte alla valorizzazione e gestione con criteri di
imprenditorialità.
6. La sentenza va dunque cassata, con rinvio alla Corte
d’appello di Perugia, che provvederà anche sulle spese di
questo giudizio.
P.Q.M.

33

I

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il secondo, terzo e
quarto motivo del ricorso incidentale, assorbiti il sesto,
il settimo, l’ottavo e il nono. Rigetta il quinto motivo
del ricorso incidentale, dichiara inammissibile il primo, e

accolte cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le
spese, alla Corte d’appello di Perugia.
Così deciso in Roma, il 4.6.2014

tutto il ricorso principale. In relazione alle censure

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