Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17266 del 23/08/2016


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Cassazione civile sez. VI, 23/08/2016, (ud. 09/06/2016, dep. 23/08/2016), n.17266

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10859-2014 proposto da:

POSTE ITALIANE SPA (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134,

presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la rappresenta e

difende giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Q.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA 2,

presso lo studio dell’avvocato FILIPPO AIELLO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato TOMMASO QUAGLIARELLA giusta procura

a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1061/2013 della CORTE D’APPELLO di BARI del

28/02/2013, depositata il 26/04/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/06/2016 dal Consigliere Relatore Dott. MANCINO ROSSANA.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La Corte pronuncia in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c., a seguito di relazione a norma dell’art. 380 – bis c.p.c., condivisa dal Collegio, letta la memoria depositata dalla controricorrente, ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.

2. La Corte d’appello di Bari, con fermata la illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato da Poste Italiane s.p.a. con l’attuale parte intimata con decorrenza 14/10/1999, in parziale riforma della sentenza di prime cure, accertava la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a far tempo da tale data, limitando il risarcimento del danno derivante dalla declaratoria di illegittimità del termine, ad una somma pari a 3 mensilità dell’ultima retribuzione.

3. Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso sostenuto da quattro motivi.

4. La parte intimata ha resistito con controricorso.

5. Il lavoratore è stato assunto con contratti a termine, dei quali l’unico che rileva nel presente giudizio di legittimità si è protratto dal 1 ottobre 1999 al 14 gennaio 2000 ed è stato stipulato a norma del C.C.N.L. 26 novembre 1994, art. 8, cd in particolare in base alla previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997, che prevede, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, la presenza – di “esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”.

6. La Corte di merito ha attribuito rilievo decisivo ai fini della statuizione sull’illegittimità del termine apposto a tale contratto, tra l’altro, alla considerazione che lo stesso è stato stipulato, “per esigenze eccezionali…” – ai sensi del C.C.N.L. 26 novembre 1994, art. 8, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 – in data successiva al 30 aprile 1998.

7. La società ricorrente denuncia, con il primo motivo, violazione dell’art. 1372 c.c., comma 1, artt. 1175, 1375, 1427, 1431 e 2697 c.c. e art. 100 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), avendo il giudice del gravame rigettato l’eccezione di definitivo scioglimento del rapporto per tacito mutuo consenso dei contraenti senza valorizzare la prolungata inerzia tenuta dal lavoratore a fronte della quale quest’ultimo avrebbe dovuto provare il permanere di un suo interesse alla instaurazione del rapporto.

8. Il motivo è manifestamente infondato.

9. Questa Corte ha più volte affermato che: “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto per munto consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo” (v., ex multis, Cass. 10-11-2008 n. 26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, nonchè pin di recente, Cass. 18-11-2010 n. 23319, Cass. 11-3-2011 n. 5887, Cass. 4-8-2011 n. 16932).

10. La mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine, quindi, è “insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso” (v. Cass. 15- 11-2010 n. 23057, Cass. 11-3-2011 n. 5887), mentre “grava sul datore di lavoro”, che eccepisca tale risoluzione, “l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro” (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070 e fra le altre, Cass. 1- 22010 n. 2279).

11. Tale principio, del tutto conforme al dettato di cui agli artt. 1372 e 1321 c.c., va ribadito anche in questa sede, così confermandosi l’indirizzo prevalente ormai consolidato, basato in sostanza sulla necessaria valutazione dei comportamenti e delle circostanze di fatto, idonei ad integrare una chiara manifestazione consensuale tacita di volontà in ordine alla risoluzione del rapporto, non essendo all’uopo sufficiente il semplice trascorrere del tempo e neppure la mera mancanza, seppure prolungata, di operatività del rapporto.

12. Nella fattispecie la Corte d’Appello ha rilevato che al mero decorso del tempo (circa sei anni) non poteva essere attribuito alcuna valenza indicativa della volontà dismissiva del rapporto e l’accertamento di fatto, compiuto dalla Corte di merito, risulta aderente al principio sopra richiamato e resiste alle censure della società ricorrente che, in sostanza, si incentrano genericamente sulla proposizione di una diversa lettura della inerzia prolungata del lavoratore.

13. Con il secondo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 e degli artt. 1362 e segg. c.c., in relazione al C.C.N.L. 26 novembre 1994, art. 8 e di altre norme collettive.

14. Con il terzo motivo è denunciato omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio perchè il giudice di merito non avrebbe esaminato la fonte di individuazione della volontà delle parti collettive di fissare, alla data ultima del 30/4/1998, il termine finale di efficacia dell’accordo integrativo del 25/9/97 ed avrebbe omesso di indicare quali siano stati gli accordi collettivi ovvero le fonti c/o i documenti dai quali aveva tratto il superiore convincimento nè avrebbe esposto in modo idoneo le ragioni che porrebbero in rapporto il contratto collettivo del 1994, l’accordo sindacale del 25/9/97 ed i successivi accordi attuativi in relazione al limite temporale cui sarebbero subordinate le assunzioni a termine.

15. I due motivi, congiuntamente esaminati, sono qualificabili come manifestamente infondati.

16. Sulla scia di Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588, è stato precisato che l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 930 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato (cfr. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063; cfr. altresì Cass. 20 aprile 2006 n. 9245, Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011).

17. Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati all’individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia cd inserendosi nel sistema da questa delineato (cfr., fra le altre, Cass. 4 agosto 2008 n. 21062, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378); in tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola, di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23 agosto 2006 n. 18383, Cass. 14 aprile 2005 n. 7745, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866); in particolare, quindi, come questa Corte ha univocamente affermato e come va anche qui ribadito, in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo del C.C.N.L. 26 novembre 1994, art. 8 e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con l’ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti in contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 (v, fra le altre, Cass. l ottobre 2007 n. 20608; Cass. 28 novembre 2008 n. 28450; Cass. 4 agosto 2008 n. 21062; Cass. 27 marzo 2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).

18. Dato che in forza di tale delega le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui all’accordo integrativo del 25/9/97, la giurisprudenza ritiene corretta l’interpretazione dei giudici che, con riferimento al distinto accordo attuativo, sottoscritto in pari data ed al successivo accordo attuativo del 16/1/98, ha ritenuto che con tali accordi le parti abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza fino al 31/1/98 (e poi in base al secondo accordo attuativo, fino al 30/4/98), della situazione di fatto integrante le esigente eccezionali menzionate dal detto accordo integrativo.

19. Consegue che per far fronte alle esigenze derivanti da tale situazione l’impresa poteva procedere (nei suddetti limiti temporali) ad assunzione di personale straordinario con contratto a tempo e che l’esistenza di dette esigenze costituisse presupposto essenziale della pattuizione negoziale; da ciò deriva che deve escludersi la legittimità dei contratti a termine stipulati dopo il 30 aprile 1998 in quanto privi di presupposto normativo. In altre parole, dato che le parti collettive avevano raggiunto originariamente un’intesa priva di termine ed avevano successivamente stipulato accordi attuativi che avevano posto un limite temporale alla possibilità di procedere con assunzioni a termine, fissato inizialmente al 31/1/98 e successivamente al 30/4/98, l’indicazione di tale causale nel contratto a termine legittima l’assunzione solo ove il contratto scada in data non successiva al 30/4/98 (v., ex plurimis, Cass. 23 agosto 2006, n. 18378).

20. La giurisprudenza di questa Corte ha, altresì, ritenuto corretta, nella ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo 18/1/01 in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del soggetto si era già perfezionato. Ammesso che le parti avessero espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25/9/97 (scaduto in forza degli accordi attuativi), la suddetta conclusione è comunque conforme alla regula iuris dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12 marzo 2004, a 5141).

21. Conseguentemente i contratti scadenti (o comunque stipulati) al di fuori del limite temporale del 30/4/98 (come nella specie) sono illegittimi in quanto non rientranti nel complesso legislativo – collettivo costituito dalla L. 8 febbraio 1987, n. 56, art. 23 e dalla successiva legislazione collettiva che consente la deroga alla L. n. 230 del 1962.

22. Con il quarto mezzo si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32 e dell’art. 429 c.p.c., censurando la statuizione quanto alla decorrenza degli accessori.

23. Questa Corte ha avuto modo di precisare che l’indennità ex art. 32, comma 5, cit. deve essere annoverata fra i crediti di lavoro ex art. 429 c.p.c., comma 3, giacchè tale ampia accezione si riferisce a tutti i crediti connessi al rapporto di lavoro e non soltanto a quelli aventi natura strettamente retributiva (cfr., ad esempio, per i crediti liquidati L. n. 300 del 1970, ex art. 18, Cass. 23 gennaio 2003 n. 1000; Cass. 6 settembre 2006 n. 19159; per l’indennità della L. n. 604 del 1966, ex art. 8, Cass. 21 febbraio 1985 n. 1579; per le somme, liquidate a titolo di risarcimento del danno ex art. 2087 c.c., Cass. 8 aprile 2002 n. 5024).

24. L’indennità in esame rappresenta comunque il ristoro (sia pure forfetizzato e onnicomprensivo) dei danni conseguenti alla nullità del termine apposto al contratto di lavoro, relativamente al periodo che va dalla scadenza del termine alla data della sentenza di conversione del rapporto e dalla natura di liquidazione forfettaria e onnicomprensiva del danno relativo al detto periodo consegue che gli accessori ex art. 429 c.p.c., comma 3, sono dovuti soltanto a decorrere dalla data della sentenza che ha statuito la conversione del contratto che, appunto, delimita temporalmente la liquidazione stessa.

25. In tali termini deve, pertanto, accogliersi il quarto motivo del ricorso, rigettati gli altri, con la cassazione della impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito, per non essere necessari ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., si determina la decorrenza degli interessi e della rivalutazione monetaria, sull’indennità prevista dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, dalla data della sentenza di primo grado che ha convertito il rapporto.

26. Le spese del presente giudizio, stante il limitato accoglimento del ricorso, vanno compensate nella misura di 1/5 tra le parti, mentre i restanti 4/5 per il principio della soccombenza, sono poste a carico della ricorrente e vengono liquidate per l’intero, come da dispositivo.

27. Non sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013, art. 1, comma 17): il presupposto di insorgenza dell’obbligo del versamento, per il ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 la quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014).

PQM

La Corte, accoglie il ricorso limitatamente al quarto motivo, rigettati gli altri, cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, determina la decorrenza degli interessi legali e della rivalutazione monetaria, dalla sentenza di primo grado che ha convertito il rapporto; compensa le spese del presente giudizio nella misura di 1/5 e condanna Poste Italiane al pagamento dei restanti 4/5 delle spese, liquidate per l’intero in Euro 100,00 per esborsi, Euro 4.000,00 per compensi professionali oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2016

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