Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17266 del 12/08/2011

Cassazione civile sez. lav., 12/08/2011, (ud. 16/06/2011, dep. 12/08/2011), n.17266

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e difesa

dall’Avvocato VELLA GIUSEPPE, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

B.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA 195,

presso lo studio dell’avvocato VACIRCA SERGIO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato LALLI CLAUDIO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1206/2006 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 31/07/2006 R.G.N. 2334/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/06/2011 dal Consigliere Dott. PIETRO ZAPPIA;

udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega VELLA GIUSEPPE;

udito l’Avvocato VACIRCA SERGIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per accoglimento del ricorso.

Fatto

Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Torino, depositato il 20.10.2004, B.A., assunta con due contratti a tempo determinato dalla società Poste Italiane s.p.a., il primo dei quali dal 1 luglio 1997 al 28 settembre 1997 “per la necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno – settembre”, rilevava la illegittimità della apposizione del termine e chiedeva pertanto che fosse dichiarata l’avvenuta trasformazione del contratto in questione in contratto a tempo indeterminato, con condanna della società al risarcimento del danno.

Con sentenza n. 4881/04 il Tribunale adito, in accoglimento dell’eccezione di controparte di risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso, rigettava la domanda.

Avverso tale sentenza proponeva appello la B. lamentandone la erroneità sotto diversi profili e chiedendo l’accoglimento delle domande proposte con il ricorso introduttivo.

La Corte di Appello di Torino, con sentenza in data 27.6 / 31.7.2006, accoglieva il gravame e dichiarava la natura a tempo indeterminato del rapporto istauratosi il 1 luglio 1997, condannando la società convenuta alla riammissione in servizio dell’appellante ed al pagamento in favore della stessa della retribuzione, con accessori.

In particolare la Corte territoriale, premesso che la L. n. 56 del 1987 all’art. 23 aveva introdotto una ulteriore ipotesi di contratto a termine, non prevista dalla L. n. 230 del 1962, art. 1, quale la sostituzione di un lavoratore assente per ferie, rilevava che tale ipotesi richiedeva la prova della esistenza di una specifica situazione di necessità determinata dalle assenze per ferie dei lavoratori a tempo indeterminato.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione la società Poste Italiane s.p.a. con due motivi di impugnazione.

Resiste con controricorso la lavoratrice intimata.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

Col primo motivo di ricorso la società ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 230 del 1962, art. 3 e della L. n. 56 del 1987, art. 23 nonchè dell’art. 1362 c.c. e segg. in relazione all’art. 8, comma 2, del CCNL 26.11.1994 (art. 360 c.p.c., n. 3);

omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5).

In particolare rileva la ricorrente che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto che le ipotesi di contratti a termine previste dalla contrattazione collettiva ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23 dovessero essere interpretate alla luce della L. n. 230 del 1962, art. 1 sicchè si sarebbe posta l’esigenza della prova della concreta esistenza delle condizioni oggettive di carenza di organico che rendevano necessaria l’assunzione a termine. Per contro la portata del rinvio operato dall’art. 23 della predetta L. 56 del 1987 alla contrattazione collettiva per l’individuazione di ipotesi ulteriori rispetto a quelle già previste dalla L. 230 del 1962 comportava una sorta di delega in bianco a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne erano destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe rispetto a quelle già previste dalla legge. Ne consegue che la società era tenuta a provare soltanto che l’assunzione a termine era stata necessitata da esigenze di espletamento del servizio che non potevano essere soddisfatte in conseguenza delle assenze per ferie del personale nel periodo giugno-settembre, essendo la prova di tale esigenza insita nel fatto stesso, rilevabile dal testo del contratto, che il lavoratore era stato assunto nel suddetto lasso di tempo.

Col secondo motivo di ricorso, proposto in via subordinata, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 1372 c.c., comma 1, art. 1362 c.c., comma 2, art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c.), nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5).

In particolare rileva la ricorrente che erroneamente la Corte territoriale aveva rigettato l’eccezione concernente l’avvenuta risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso in relazione al tempo trascorso tra la scadenza del contratto a termine e la manifestazione della volontà della lavoratrice di ripristinare la funzionalità di fatto del rapporto.

Ed invero il rapporto di lavoro a tempo determinato, connotato da illegittimità del termine, poteva, al pari di tutti i contratti, risolversi per mutuo consenso, anche in forza di fatti e comportamenti concludenti; e nel caso di specie la prolungata inerzia della lavoratrice, a fronte della unicità del rapporto contrattuale intercorso, alla breve durata del medesimo ed alle ulteriori circostanze evidenziate dalla società, avevano rilievo determinante al fine di far ritenere tali comportamenti come espressione di un tacito consenso alla definitiva risoluzione del rapporto.

Il primo motivo del ricorso è fondato.

La Corte territoriale sostiene che la sostituzione di un lavoratore assente per ferie presuppone la prova dell’esistenza delle condizioni oggettive di carenza di organico nello specifico periodo considerato.

L’assunto dei giudici di appello è destituito di fondamento. E’ pacifico che nel caso di specie il termine al contratto di lavoro è stato apposto con riferimento all’ipotesi di assunzione a tempo determinato prevista dall’art. 8 C.C.N.L. 26.11.1994: “necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno – settembre”. Il contratto collettivo ha previsto quest’ipotesi di assunzione a termine ai sensi del disposto della L. n. 56 del 1987, art. 23.

Le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 4588/2006, hanno affermato che la L. n. 56 del 1987, art. 23, che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. n. 230 del 1962, art. 1, e dal D.L. n. 17 del 1983, art. 8 bis, convertito con modificazioni dalla L. n. 79 del 1983 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria “delega in bianco” a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge. A questi principi si è adeguata la successiva giurisprudenza di legittimità (vedi Cass. sez. lav., 2.3.2007 n. 4933).

La Corte di merito, nell’escludere che l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo potesse contemplare, quale unico presupposto per la sua operatività, l’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie, ha dimostrato una carenza di indagine sull’intenzione espressa dagli stipulanti; il quadro legislativo di riferimento avrebbe infatti imposto l’esame del significato delle espressioni usate dalle parti stipulanti, ed in particolare un’indagine sulle ragioni dell’uso di una formula diversa da quella della legge, priva di riferimenti alla sostituzione di dipendenti assenti, sostituita dalla precisazione del periodo per il quale l’autorizzazione è concessa (pur potendo le ferie essere fruite in periodi diversi), onde verificare se la necessità di espletamento del servizio facesse riferimento a specifiche circostanze oggettive, o esprimesse solo le ragioni che avevano indotto a prevedere questa ipotesi di assunzione a termine, nell’intento di considerarla sempre sussistente nel periodo stabilito, in correlazione dell’uso dell’espressione in concomitanza.

Il suddetto motivo di ricorso, in esso assorbito l’ulteriore motivo – proposto in via subordinata – concernente la declaratoria di scioglimento del rapporto per mutuo consenso, è, dunque fondato e la sentenza impugnata merita di essere cassata con rinvio alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione, la quale provvederà a valutare l’appello proposto dalla lavoratrice attenendosi al suddetto principio di diritto e statuirà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, assorbito il secondo;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 16 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2011

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