Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17265 del 17/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 17/06/2021, (ud. 22/02/2021, dep. 17/06/2021), n.17265

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. D’AURIA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4507/2014 R.G. proposto da:

Associazione culturale Dance Studio in liquidazione, in persona del

liquidatore pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Roberto

Veneroni e Piergiorgio Villa, con domicilio eletto presso lo studio

di quest’ultimo, sito in Livorno, via Donatello, 23;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, depositata il 4 luglio 2013, n. 91/32/13;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 febbraio

2021 dal Consigliere Paolo Catallozzi.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– la Associazione culturale Dance Studio in liquidazione propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, depositata il 4 luglio 2013, che, in accoglimento dell’appello erariale, ha respinto il suo ricorso per l’annullamento dell’avviso di accertamento con cui era stata rettificata la dichiarazione resa per l’anno 2007 ed erano state recuperate le imposte non versate;

– dall’esame della sentenza impugnata si evince che con l’atto impositivo l’Ufficio aveva contestato lo svolgimento da parte dell’associazione di attività commerciale e, conseguentemente, l’insussistenza dei presupposti per la fruizione del regime agevolato di cui al T.U. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 148 (già art. 111);

– il giudice di appello ha ritenuto che, sulla base degli elementi probatori raccolti, fosse dimostrato l’esercizio di una siffatta attività, ragione per cui non ricorrevano le condizioni per l’applicazione del regime fiscale invocato dalla contribuente;

– il ricorso è affidato a due motivi;

– resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso l’associazione denuncia l’omessa motivazione della sentenza impugnata;

– il motivo è infondato;

– la Commissione regionale ha ritenuto che gli elementi di prova raccolte deponessero nel, senso dell’esercizio da parte dell’associazione di attività di impresa;

– in particolare, è pervenuta a tale conclusione in ragione: dell’esistenza di “una organizzazione di beni, formata da immobili presi in affitto, da palestra attrezzata con mezzi per la ginnastica”, dal consistente valore e di una sala da ballo; del versamento da parte dei soci di somme ulteriori rispetto alla quota associativa per la partecipazione ai corsi di danza; della partecipazione di persone non iscritte all’associazione e comunque che erano estranee alla vita associativa dell’ente;

– ha, altresì, rilevato che il contenuto dello statuto dell’associazione era privo delle clausole previste dal T.U. n. 917 del 1986, art. 148, per la cd. decommercializzazione dell’attività dell’ente;

– infine, ha evidenziato che i ricavi iscritti in contabilità risultavano di gran lunga superiore rispetto all’importo delle quote associative;

– orbene, una siffatta motivazione consente di individuare l’iter logico argomentativo seguito dal giudice e, per tale ragione, si sottrae alla critica di assenza;

– con il secondo motivo la ricorrente deduce l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso del giudizio, in relazione ad una pluralità di circostanze valorizzate dall’Ufficio nell’atto impositivo;

– lamenta, in particolare, la erronea valorizzazione della clausola di sublocazione presente nel contratto di locazione relativo all’immobile in cui era svolta l’attività sociale, nonchè dell’entità dei costi sostenuti per l’ente e dell’importo del canone di locazione;

– allega che l’attività di tenuta di corsi di danza rappresenta lo svolgimento dell’attività e contesta le censure dell’Amministrazione finanziaria in ordine alle modalità di svolgimento della vita associativa;

– il motivo è inammissibile, risolvendosi in una critica alle ragioni poste dall’Ufficio a fondamento dell’atto impositivo e non già, come dovrebbe essere in relazione al paradigma normativo censurato, alla omessa considerazione da parte del giudice appello di circostanze di fatto, ritualmente introdotte nel giudizio, rilevanti e aventi carattere decisivo, in relazione alla loro idoneità, laddove dimostrati, alla invalidazione, con un giudizio di certezza (o, comunque, di elevata probabilità logica), del convincimento del giudice di merito;

– pertanto, per le suesposte considerazioni, il ricorso non può essere accolto;

– le spese processuali del giudizio di legittimità seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo;

– sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in giuro 2.300,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 22 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2021

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