Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17264 del 27/06/2019

Cassazione civile sez. trib., 27/06/2019, (ud. 28/03/2019, dep. 27/06/2019), n.17264

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6011-2013 proposto da:

D.C.A., D.C.S., D.C.F., elettivamente

domiciliati in ROMA VIA ANDREA VESALIO 22, presso lo studio

dell’avvocato ROBERTO SPURIO, rappresentati e difesi dall’avvocato

ROBERTO AMODIO;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 14/2012 della COMM. TRIB. REG. della PUGLIA,

depositata il 20/01/2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/03/2019 dal Consigliere Dott. ANDREA VENEGONI.

Fatto

RITENUTO

Che:

Con scrittura privata autenticata V.O. cedeva, con patto di riservato dominio e rinuncia all’ipoteca legale, alla impresa M.S. una zona di suolo edificatorio sita in Andria per il prezzo di Lire 1.450.000.000, di cui Lire 200 milioni la parte venditrice dichiarava di avere ricevuto ed incassato anticipatamente, mentre la restante parte del prezzo sarebbe stata pagata in maniera frazionata negli anni successivi.

Poichè la vendita era anche soggetta ad iva, la suddetta venditrice emetteva fattura del 15.5.2001, essendo titolare della omonima impresa agricola.

Con separati avvisi, l’ufficio accertava per ciascun anno di imposta, dal 2001 al 2003 in virtù del pagamento frazionato -, la plusvalenza derivante dalla cessione, come reddito diverso ai sensi degli artt. 81 e 82 tuir (oggi art. 67 e 68).

La contribuente ricorreva contro i suddetti avvisi, lamentando l’unicità della vendita e quindi il fatto che il reddito poteva essere attribuito solo avendo come riferimento il momento della stipula dell’atto e tassato non come reddito diverso, e comunque contestando il contenuto degli avvisi.

La CTP accoglieva il ricorso, mentre la CTR, su appello dell’ufficio, in riforma della sentenza di primo grado, riteneva che la plusvalenza si fosse formata per il corrispondente importo in ciascun periodo di imposta, qualificata l’ipotesi come quella di cui all’art. 67, lett b) ed all’art. 68 tuir, comma 7, lett f).

Contro tale sentenza ricorrono a questa Corte gli eredi di V.O., nel frattempo deceduta, sulla base di un motivo.

L’ufficio si è costituito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

Con il motivo di ricorso i contribuenti denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 81 tuir, comma 1, lett. a) e b), ratione temporis applicabile (ora art. 67), ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, comma 1, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

La CTR avrebbe errato nel qualificare l’operazione ai sensi dell’art. 81, (67) lett. b), trattandosi, invece, di un caso di lottizzazione, rientrante nell’art. 81, (67) lett. a), e la plusvalenza doveva essere tassata di conseguenza, come realizzata unicamente attraverso la lottizzazione del terreno e la successiva rivendita, e calcolata secondo l’art. 81, (oggi art. 67) comma 2.

Il motivo è infondato.

La questione consiste, in sostanza, nello stabilire se l’operazione in questione rientri tra quelle di cui all’art. 81 (oggi art. 67, lett. a) tuir, e cioè quelle di lottizzazione di terreni, o l’esecuzione di opere intese a renderli edificabili, e la successiva vendita, oppure in quelle di cui allo stesso articolo, lett. b) e cioè le cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione.

L’ufficio ha qualificato l’operazione secondo quest’ultima previsione, mentre i contribuenti sostengono che si dovesse qualificare come cessione di terreno lottizzato.

La questione ha rilievo per la diversa tassazione delle plusvalenze da cessione di terreni di cui alla lett. a) rispetto a quelle della lett. b), come emerge dall’art. 82, comma 2 tuir vigente all’epoca dei fatti di causa (tra il 2001 ed il 2003).

Ora, questa Corte ha avuto modo di esprimersi sul rapporto tra la fattispecie di cui all’art. 81, (oggi 67) lett. a), tuir e quella di cui alla lett. b) della stessa norma, affermando che:

la fattispecie relativa alle plusvalenze derivanti dalla vendita di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria, prevista dall’art. 81 (ora art. 67), lett. b), del TUIR, si pone come regola ad eccezione rispetto a quella contemplata dalla lett. a), della medesima norma, che riguarda esclusivamente le ipotesi in cui il terreno non sia suscettibile di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione, ma sia interessato da interventi obiettivamente considerati di lottizzazione o di esecuzione di opere per l’edificabilità del terreno, ancorchè realizzati fuori o in contrasto con i vincoli urbanistici. (Sez. V, n. 12320 del 2017).

La decisione appare pertinente con la fattispecie della presente causa, poichè anche in quella citata sopra il terreno in questione, al momento della cessione, era inserito in zona edificabile, così come nella presente controversia.

La sentenza illustra compiutamente l’evoluzione normativa delle disposizioni in questione, giungendo alla conclusione per cui l’ipotesi di cui alla lett. b) (cessioni di – terreni edificabili) costituisce la regola generale e ricomprende tutti i casi di terreni immediatamente edificabili, restando come residuali i casi della lett. a).

Vale la pena riportare uno stralcio delle motivazioni della stessa, condividendo questo collegio le argomentazioni e le conclusioni alle quali essa è giunta:

al momento della cessione il terreno ceduto risultava qualificato come edificabile in base alla previsione dello strumento urbanistico in allora vigente. Tale circostanza – ripetesi, in sè pacifica – vale infatti a ricondurre comunque la fattispecie alla previsione di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 81, comma 1, lett. b), ultimo periodo, (inserito dalla L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 11, comma 1, lett. f)), a tenore della quale sono redditi diversi tassabili: “in ogni caso, le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione”. La locuzione “in ogni caso” pone invero tale disposizione in rapporto di regola a eccezione rispetto a quella di cui alla precedente lett. a), nel senso che le condizioni in quest’ultima previste per la configurazione di plusvalenza tassabile (secondo i diversi criteri di cui all’art. 82, comma 2) devono considerarsi venire in rilievo esclusivamente nel caso in cui si tratti di terreno non suscettibile di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione. Soccorre in tal senso anche la considerazione dell’origine della disposizione e della sua evoluzione nel tempo. Il regime vigente dal 1973 al 1988, previsto dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 76, considerava imponibili tutte le plusvalenze caratterizzate dal cosiddetto “intento speculativo”, che avrebbe dovuto essere dimostrato caso per caso dall’ufficio finanziario. Per mitigare l’onere posto a carico dell’amministrazione, la legge considerava “in ogni caso fatti con fini speculativi, senza possibilità di prova contraria” la lottizzazione di terreni inclusi in piani regolatori o in programmi di fabbricazione e la successiva vendita, anche parziale. Allo stesso modo, la previgente normativa considerava fatto imponibile l’esecuzione delle opere intese a rendere edificabili i terreni compresi nei piani e nei programmi suddetti e la successiva vendita, anche parziale, degli stessi (D.P.R. n. 597 del 1973, art. 76, comma 3, n. 1). Tale disciplina ha avuto, tuttavia, rarissima applicazione ed è stata abrogata dal testo unico sulle imposte sui redditi (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, entrato in vigore il 1 gennaio 1988), in conformità alla tendenza a non utilizzare concetti, come quello di “intento speculativo”, caratterizzati da un notevole grado di indeterminatezza. Per tali motivi, il legislatore ha preferito prevedere espressamente limitate ipotesi di imponibilità delle plusvalenze secondo i criteri ordinari, indipendentemente dall’esistenza in concreto dell'”intento speculativo”, anzichè elaborare un meccanismo impositivo generalizzato di tale tipo di plusvalenze. Origina da qui la previsione di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 81, comma 1, il quale alle lett. a), b) e c) non fa altro che riprendere alcune delle presunzioni assolute di speculatività disposte dalla legislazione anteriore, disegnando per ciò stesso – in origine – un quadro di ipotesi distinte e non sovrapponibili, accomunate dal fatto che non costituiva condizione della loro tassabilità l’inserimento del terreno in strumenti urbanistici che ne riconoscessero l’edificabilità al momento della cessione. Quanto in particolare alla ipotesi – che qui interessa – di cui alla lett. a) costituiva, infatti, e costituisce tuttora pacifica interpretazione quella secondo cui assume rilievo ogni operazione obiettivamente considerata di lottizzazione o di esecuzione di opere per l’edificabilità di terreni, anche se realizzata al di fuori o in contrasto con i vincoli urbanistici. Come detto, tale disciplina è stata però successivamente integrata dalla L. 31 dicembre 1991, n. 413, art. 11, comma 1, lett. f), che ha disposto l’assoggettamento ad imposta “in ogni caso” anche delle “plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria, secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione”. Tale previsione abbraccia ora una serie di ipotesi più ampia e potenzialmente in grado di comprendere anche quelle in precedenza previste, le quali di conseguenza (e tra queste anche quelle di cui alla suddetta lett. a)) conservano rilievo residuale, essendo destinate ad emergere solo qualora non si tratti di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria, secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione.

Anche nel presente caso, come detto, emerge – come dato non contestato – che al momento della cessione il terreno era inserito in zona B5 immediatamente edificabile, per cui l’operazione imponibile appare rientrare, in effetti, nell’ipotesi generale della lett. b) che prevede “in ogni caso” la tassazione della plusvalenza da terreno edifica bile.

Quindi, in quanto cessione di terreno edificabile ai sensi dell’art. 81 (67), lett. b) tuir, la plusvalenza è tassabile secondo il criterio di cassa (sez. V, n. 17960 del 2013), come del resto previsto dall’art. 82 (oggi 68), comma 2, lett f) tuir, considerato che non è emerso essersi in presenza di impresa commerciale.

Di conseguenza, per ogni anno di imposta in cui è stata effettivamente percepita una parte del corrispettivo, si configura una plusvalenza.

Infine, non inficia tale conclusione il fatto che nella specie si fosse in presenza di una vendita con riserva di proprietà (argomento, peraltro, non prospettato dalle parti nel giudizio di fronte a questa Corte); questo appare, infatti, uno dei tipici casi di disallineamento della disciplina fiscale rispetto a quella civilistica. Per quanto, infatti, quest’ultima preveda, all’art. 1523 c.c., che il compratore acquisti la proprietà della cosa col pagamento dell’ultima rata di prezzo (ma assumendo i rischi dal momento della consegna), le norme fiscali che si occupano dell’istituto sono concordi nell’affermare che “costituiscono inoltre cessioni di beni le vendite con riserva di proprietà” (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2, comma 2, in materia di Iva), e, sebbene in epoca successiva, il legislatore ha previsto, in tema di reddito di impresa, che “non si tiene conto delle clausole di riserva della proprietà” (art. 109, comma 2 tuir).

Non vi è motivo, quindi, per non applicare anche in tema di irpef per i redditi diversi in chiave di interpretazione anti elusiva – il principio per cui, ai fini fiscali, la cessione si considera perfezionata al momento della conclusione dell’atto, salvo, naturalmente, quanto rilevato sopra in ordine al momento di conseguimento delle plusvalenze in caso di pagamento dilazionato in più periodi di imposta. (Si veda, anche se in relazione ad una fattispecie diversa, Sez. V, n. 20974 del 2013).

Non appare, al riguardo, determinante il documento di prassi dell’Agenzia delle Entrate n. 28/E del 30 gennaio 2009 in cui la stessa ha affermato che nelle vendite con riservato dominio e pagamento rateale il trasferimento della proprietà si realizza solo con il pagamento dell’ultima rata. Tale opinione è, infatti, stata emessa in risposta ad un interpello, e quindi in relazione ad un caso specifico, diverso dal presente, avendo ad oggetto la decorrenza dei cinque anni in caso di rivendita del bene acquistato con riserva di proprietà e pagamento rateale. Una situazione, quindi, del tutto differente da quella oggetto della presente controversia.

Il ricorso deve, in conclusione, essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza. Sono, pertanto, a carico dei ricorrenti in solido e, tenuto conto del valore della causa, si liquidano in Euro 5.600, oltre spese prenotate a debito.

Trattandosi di ricorso notificato in data successiva al 30 gennaio 2013, il rigetto dello stesso determina la necessità di dare atto del presupposto per il versamento del contributo unificato raddoppiato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 5.600, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019

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