Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17264 del 23/08/2016


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Cassazione civile sez. VI, 23/08/2016, (ud. 09/06/2016, dep. 23/08/2016), n.17264

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25125-2013 proposto da:

POSTE ITALIANE SPA, (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134,

presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, rappresentata e

difesa dall’avvocato GAETANO GRANOZZI giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

C.T.;

– intimata –

nonchè da:

C.T., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PRINCIPE

AMEDEO 221, presso la CONFSAL COMUNICAZIONI, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIOVANNA COGO giusta procura in calce al controricorso

e ricorso incidentale;

– ricorrenti incidentale –

contro

POSTE ITALIANE SPA (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 1125/2012 della CORTE D’APPELLO di CATANIA del

25/10/2012, depositata il 08/11/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/06/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROSSANA MANCINO.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La Corte pronuncia in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c., a seguito di relazione a norma dell’art. 380-bis c.p.c., letta la memoria depositata dalla parte ricorrente, ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.

2. La Corte di Appello di Catania, con sentenza dell’8 novembre 2012, confermava la decisione del primo giudice nella parte in cui aveva dichiarato la nullità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso tra l’attuale intimata e Poste Italiane s.p.a., relativo al periodo dal 4 maggio al 3 giugno 2002, ed aveva accertato la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra le parti, condannando la società alla riammissione in servizio del lavoratore; la riformava con riferimento alla statuizione in ordine alle conseguenze economiche della declaratoria di nullità, condannando Poste Italiane al pagamento dell’indennità di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, – commisurata in 3,5 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori dalla data di scadenza del termine.

3. Il termine era stato apposto per “esigenze tecniche organizzative e produttive anche di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonchè all’attuazione delle previsioni di cui agli Accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001, 11 gennaio, 17 febbraio e 17 aprile 2002”.

4. Per la cassazione della predetta decisione propone ricorso Poste Italiane affidato a sei motivi.

5. La lavoratrice ha resistito con controricorso e proposto ricorso incidentale, affidato a due motivi, cui non ha resistito la società.

6. Con il primo motivo di ricorso e viene dedotta violazione dell’art. 1372 c.c., comma 1, artt. 1175, 1375 e 2697 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), avendo il giudice del gravame rigettato l’eccezione di definitivo scioglimento del rapporto per tacito mutuo consenso dei contraenti senza valorizzare la prolungata inerzia tenuta dal lavoratore a fronte della quale quest’ultimo avrebbe dovuto provare il permanere di un suo interesse alla instaurazione del rapporto.

7. Il motivo è manifestamente infondato.

8. Questa Corte ha più volte affermato che: “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo” (v., ex multis, Cass. 10-11-2008 n. 26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 1712-2004 n. 23554, nonchè pin di recente, Cass. 18-11-2010 n. 23319, Cass. 11-3-2011 n. 5887, Cass. 4-8-2011 n. 16932).

9. La mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine, quindi, è “insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso” (v. Cass. 15- 112010 n. 23057, Cass. 11-3-2011 n. 5887), mentre “grava sul datore di lavoro”, che eccepisca tale risoluzione, “l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro” (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070 e fra le altre, Cass. 1- 22010 n. 2279).

10. Tale principio, del tutto conforme al dettato di cui agli artt. 1372 e 1321 c.c., va ribadito anche in questa sede, così confermandosi l’indirizzo prevalente ormai consolidato, basato in sostanza sulla necessaria valutazione dei comportamenti e delle circostanze di fatto, idonei ad integrare una chiara manifestazione consensuale tacita di volontà in ordine alla risoluzione del rapporto, non essendo all’uopo sufficiente il semplice trascorrere del tempo e neppure la mera mancanza, seppure prolungata, di operatività del rapporto.

11. Nella fattispecie la Corte d’Appello ha rilevato che al mero decorso del tempo (tre anni e mezzo) non poteva essere attribuito alcuna valenza indicativa della volontà dismissiva del rapporto e l’accertamento di fatto, compiuto dalla Corte di merito, risulta aderente al principio sopra richiamato e resiste alle censure della società ricorrente che, in sostanza, si incentrano genericamente sulla proposizione di una diversa lettura della inerzia prolungata del lavoratore.

12. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 4, comma 2 e dell’art. 2697 c.c., assumendosi che la Corte territoriale avrebbe erroneamente invertito l’onere della prova non tenendo conto del mutato quadro normativo di riferimento alla luce del quale il datore di lavoro sarebbe ormai esonerato da ogni onere probatorio circa le ragioni che avevano indotto le parti alla stipula di una contratto a termine, essendo ciò limitato esclusivamente alle esigenze legittimanti la eventuale proroga dello stesso. E, comunque, la sussistenza delle esigenze organizzative poste a fondamento del contratto a termine risultava dimostrata attraverso il richiamo per relationem al contenuto degli Accordi aziendali indicati nella clausola appositiva del termine.

13. Analoga censura viene svolta nel terzo motivo, sono forma di violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 e degli artt. 115 e 116 c.p.c. nella parte in cui la Corte territoriale non ha ritenuto sufficiente la prova delle esigenze generali di riorganizzazione dedotte in contratto, richiedendo anche la dimostrazione della loro correlazione con la situazione del singolo ufficio cui è stato addetto il lavoratore.

14. Col quarto mezzo viene dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 244 e 253 c.p.c. e art. 437 c.p.c., comma 2, per non avere la Corte di appello ritenuto meritevole di accoglimento la richiesta della prova orale formulata dalla società omettendo anche di far ricorso ai poteri ufficiosi in materia di ammissione della prova.

15. I motivi, da esaminare congiuntamente in quanto logicamente connessi, sono infondati.

16. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte l’onere di provare le ragioni obiettive poste a giustificazione della clausola appositiva del termine grava sul datore di lavoro e deve essere assolto sulla base delle istanze istruttorie dallo stesso formulate (vedi per tutte: Cass. 10 febbraio 2010, n. 2279; Cass. 11 dicembre 2012, n. 22716).

17. Ciò detto va ricordato che il D.Lgs. n. 368 del 2001, nel testo originario vigente all’epoca del contratto ora in questione, all’art. 1, comma 1, prevede che “è consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” e, al comma 2, che “l’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma 1”. Il successivo art. 11, comma 1, del citato D.Lgs. n. 368 ha poi disposto l’ail)rogazione, dalla data di entrata in vigore del decreto stesso, della L. n. 230 del 1962, della L. n. 79 del 1983, art. 8 della L. n. 6 del 1987, art. 23 e di tutte le disposizioni di legge incompatibili.

18. Il quadro normativo che emerge è, dunque, caratterizzato dall’abbandono del sistema rigido previsto dalla L. n. 230 del 1962 che prevedeva la tipizzazione delle fattispecie legittimanti, sistema peraltro già oggetto di ripensamento come si evince dalle disposizioni di cui alla L. n. 79 del 1983 e alla L. n. 56 del 1987, art. 23 – e dall’introduzione di un sistema articolato per clausole generali, in cui l’apposizione del termine è consentita a fronte di “ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”.

19. L’onere di specificazione della causale nell’atto scritto costituisce una delimitazione della facoltà, riconosciuta al datore di lavoro, di far ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato per soddisfare esigenze aziendali (di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o aziendale), a prescindere da fattispecie predeterminate, con l’evidente scopo di evitare l’uso indiscriminato dell’istituto, imponendo riconoscibilità e verificabilità della motivazione addotta fin dal momento della stipula del contratto.

20. Proprio il venir meno del sistema delle fattispecie legittimanti impone che il concetto di specificità sia collegato a situazioni aziendali non più standardizzate ma obiettive, con riferimento a realtà specifiche in cui il contratto viene ad essere calato.

21. Il concetto di specificità in questione risente, dunque, di un certo grado di elasticità che, in sede di controllo giudiziale, deve essere valutato dal giudice secondo criteri di congruità e ragionevolezza.

22. La consolidata giurisprudenza di questa Corte (vedi, per tutte Cass. 1 febbraio 2010, n. 2279; id. 27 aprile 2010, n. 10033; id. 12 luglio 2010, n. 16303; id. 25 maggio 2012, n. 8286), privilegiando la scelta del legislatore Europeo di ampliare la considerazione delle fattispecie legittimanti l’apposizione del termine, ha concesso tuttavia un’importante apertura, ritenendo possibile che la specificazione delle ragioni giustificatrici risulti dall’atto scritto non solo per indicazione diretta, ma anche per relationem, ove le parti abbiano richiamato nel contratto di lavoro testi scritti che prendono in esame l’organizzazione aziendale e ne analizzano le complesse tematiche operative.

23. E quanto nella sostanza la ricorrente sostiene essere avvenuto nel caso di specie, in cui l’atto scritto di assunzione, dopo alcuni generici riferimenti ai processi di riorganizzazione aziendale, puntualizza le “esigenze tecniche, organizzative e produttive” attraverso il richiamo alla attuazione delle previsioni di cui agli accordi indicati in contratto.

24. Da tali accordi, costituenti un momento di esame comune delle parti sindacali delle esigenze organizzative, secondo Poste Italiane si desumerebbe la causale sufficientemente specifica di apposizione del termine.

25. Orbene, la Corte di appello, pur ritenendo che la clausola appositiva del termine fosse sufficientemente specifica, ha poi rilevato che la società non ha assolto l’onere probatorio a suo carico in quanto si è limitata a dimostrare l’esistenza in generale di un processo di mobilità interna, ma non ha fornito la prova dell’incidenza di tale situazione anche sull’ufficio in cui l’attuale intimato ha lavorato.

26. Nella specie la ricorrente contesta una valutazione “di genericità” di un capitolo della prova testimoniale richiesta (il n. 32), valutazione che nella sentenza risulta giustificata da congrua e logica motivazione (in quanto il capitolo di prova non specificava quali o quanti dipendenti a tempo indeterminato dell’unità produttiva cui era addetto il lavoratore fossero coinvolti e con quali modalità nella fase attuativa della procedure di mobilità) sicchè la contestazione finisce con il risolversi nella inammissibile prospettazione di un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti.

27. Con il quinto motivo viene lamentata violazione c falsa applicazione di legge (D.Lgs. 368 del 2001, art. 5, art. 12 disp. gen., artt. 1362 e 1419 c.c., L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5) in quanto erroneamente la Corte di merito aveva ritenuto che dalla illegittimità apposizione del termine dovesse derivare la conversione del contratto in un rapporto a tempo indeterminato.

28. Il motivo è destituito di fondamento alla luce della giurisprudenza di questa Corte di legittimità (cfr., in particolare, Cass. n. 3994 del 27 febbraio 2015; Cass. n. 17619/14 e Cass. n. 12985/08), da ribadirsi anche in questa sede, secondo cui il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, anche anteriormente alla modifica introdotta dalla L. n. 247 del 2007, art. 39, ha confermato il principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato, costituendo l’apposizione del termine un’ipotesi derogatoria pur nel sistema, del tutto nuovo, della previsione di una clausola generale legittimante l’apposizione del termine “per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”.

29. Pertanto, in caso di insussistenza delle ragioni giustificative del termine e pur in assenza di una norma che sanzioni espressamente la mancanza delle dette ragioni, in base ai principi generali in materia di nullità parziale del contratto e di eterointegrazione della disciplina contrattuale, nonchè alla stregua dell’interpretazione dello stesso art. 1 citato nel quadro delineato dalla direttiva comunitaria 1999/70/CE (recepita con il richiamato decreto) e nel sistema generale dei profili sanzionatori nel rapporto di lavoro subordinato, tracciato da Corte cost. n. 210/92 e n. 283/05, all’illegittimità del termine e alla nullità della clausola di apposizione dello stesso consegue l’invalidità parziale relativa alla sola clausola e l’instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

30. Col primo motivo del ricorso incidentale, il cui esame logicamente precede la disamina dell’ultimo motivo del ricorso principale, si deduce violazione a falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5, 6 e 7 nonchè della L. n. 604 del 1966, art. 8 assumendosi che la Corte di merito nel determinare l’indennità ex art. 32 cit. non aveva adeguatamente considerato i criteri di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 8.

31. Il motivo è fondato.

32. Occorre premettere, coerentemente con quanto più volte statuito da questa Corte in tema di indennità di cui all’art. 8 della legge n. 604 del 1966 (cfr. Cass. 5 gennaio 2001 n. 107; Cass. 15 maggio 2006 n. 11 107; Cass. 14 giugno 2006 n. 13732; da ultimo, con riferimento all’art. 32, comma 5, per tutte, vedi Cass. n. 8747/2014), che la determinazione tra il minimo e il massimo della misura dell’indennità risarcitoria spetta al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per motivazione assente, illogica o contraddittoria.

33. Nel caso in esame la Corte territoriale ha tenuto conto, come si evince dalla lettura della motivazione, dei criteri stabiliti nella L. n. 604 del 1966, art. 8 (le dimensioni aziendali, il lasso di tempo intercorso fra la scadenza del contratto e l’iniziativa giudiziaria, la brevità del contratto a termine) e, richiamando l’art. 32, comma 6, ha del tutto genericamente richiamato accordi (documentati in atti, si legge in motivazione) senza svolgere alcuna argomentazione, al riguardo, in ordine agli accordi applicabili e tali da indurre la Corte territoriale a reputare congrua la riduzione dell’indennità onnicomprensiva in tre mensilità e mezza.

34. Invero, in applicazione della disposizione di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 6, “in presenza di contratti ovvero accordi collettivi nazionali, territoriali o aziendali, stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, che prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie, il limite massimo dell’indennità fissata dal comma 5 è ridotto alla metà”.

35. La presenza di contratti o accordicollettivi “che prevedano l’assunzione anche a tempo indeterminato di lavoratori già occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie” deve essere effettiva in relazione alla fattispecie concreta e non già ipotetica o astratta, posto che, come già affermato da Cass. n. 7458 del 31 marzo 2014, una diversa interpretazione si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto attribuirebbe un uguale trattamento a situazioni del tutto differenti, come, da un lato, quella dei lavoratori che sono in condizione di optare per la stabilizzazione e, dall’altro, quella dei lavoratori che non possono esercitare tale opzione.

36. Ciò che rileva, al fine della riduzione alla metà del limite massimo previsto dalla norma, è la possibilità di un’applicazione, in concreto, dei citati contratti o accordi collettivi e la possibilità, alla data di emissione della sentenza impugnata, dell’adesione della lavoratrice agli accordi di stabilizzazione.

37. La sentenza della Corte territoriale che non si è uniformata al richiamato principio, evocando genericamente, e dunque in astratto, gli accordi acquisiti al giudizio, dev’essere pertanto cassata in parte qua e, per essere necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa deve essere rinviata al giudice del rinvio per nuovo esame alla luce di quanto sin qui detto ed anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

38. Rimangono assorbiti tutti gli altri motivi dei ricorsi che investono, per ulteriori profili, la questione risaricitoria e le spese di lite, che potranno essere riproposti al giudice del rinvio.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso incidentale, assorbito il secondo, e rigetta dal primo al quinto motivo del ricorso principale, assorbito il sesto; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, alla stessa Corte d’appello, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 9 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2016

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