Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17260 del 12/07/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 17260 Anno 2013
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: SALVAGO SALVATORE

Data pubblicazione: 12/07/2013

SENTENZA

sul ricorso 32306-2006 proposto da:
BOTTA MICHELINA

(c.f.

BTTMHL38S65H683A),

DOTI

DONATO (C.F. DTODNT35E28H683C), elettivamente
domiciliati in ROMA, VIA DELLA BALDUINA 66, presso
l’avvocato SPAGNUOLO GIUSEPPE, che li rappresenta e
difende, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrenti –

2013
694

contro

COMUNE DI SALA CONSILINA, in persona del Sindaco
pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

1

CAMILLA

9,

presso

l’avvocato

TREZZA MARIO,

rappresentato e difeso dall’avvocato PAPALEO LUIGI,
giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente

avverso la sentenza n.

656/2005 della CORTE

udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 23/04/2013 dal Consigliere
Dott. SALVATORE SALVAGO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. AURELIO GOLIA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

D’APPELLO di SALERNO, depositata il 28/11/2005;

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Svolgimento del processo
Il Tribunale di Napoli,con sentenza 3 aprile 1982
condannava i coniugi Michelina Botta e Donato Dotti in
solido a restituire al comune di Sala Consilina la somma di
€ 35.328,71,oltre interessi per la parte di contributo di

ricostruzione di un loro fabbricato urbano ubicato nella
locale via Giovanni camera e danneggiato dagli eventi
sismici dell’anno 1980 per essere già risultato che gli
stessi avevano già usufruito di un contributo per
abitazione “prima casa”;laddove l’appartamento di via
Giovanni Camera -per il quale lo avevano percepito per
intero- lo era soltanto per la Botta,di esso
comproprietaria.
La loro impugnazione è stata respinta dalla Corte di
appello di Napoli,la quale: a) ha confermato che il
contraddittorio era integro anche in assenza degli altri
proprietari di appartamenti dello stabile e che
l’obbligazione dei coniugi,in regime di comunione legale e
con comunanza di interessi doveva considerarsi solidale;
b)ha ritenuto che la decisione di primo grado non era
affetta da ultrapetizione in ordine alla somma richiesta in
restituzione dal comune di Sala Consilina,risultata dalla
c.t.u.; c)in parziale accoglimento dell’appello incidentale
del comune ha condannato i coniugi a corrispondere gli
interessi dalla nota-invito in data 10 maggio 1996,nonché
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il danno da rivalutazione monetaria di cui all’art.1224
cod. civ.
Per la cassazione della sentenza i coniugi Botta-Dotti
hanno proposto ricorso per 3 motivi; cui resiste il comune
di Sala Consilina con controricorso.

Motivi della decisione
Con il secondo motivo,che ha carattere pregiudiziale,
ricorrenti,deducendo violazione dell’art.102 cod. proc.civ.
censurano la sentenza impugnata per non avere disposto
l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i
condomini dello stabile,proprietari delle altre unità
immobiliari danneggiate dal sisma, non considerando che
unico era stato il progetto di ricostruzione ammesso al
contributolga nulla rilevandone la successiva ripartizione
tra i condomini.
L’ assuntotle-Unt-enutb opposto a quello

o nel motivo

•■•-•.

precedentD è infondato.
Il litisconsorzio necessario si verifica solo quando la
sentenza,per la natura del rapporto sostanziale dedotto in
giudizio, è di per sé inidonea a spiegare i propri effetti
anche nei riguardi delle sole parti presenti ,in quanto si
tratta di un rapporto giuridico plurisoggettivo nel quale i
nessi fra i diversi soggetti, e tra loro e l’oggetto comune
costituiscono un insieme unitario,la cui integrità
condiziona ogni vicenda giuridica del rapporto medesimocm
4

per cui esso risulta immutabile ove non vi sia la
partecipazione di tutti i suoi titolari.
E’

poi noto

che

la

spinta delle

interpretazioni

costituzionalmente orientate verso l’attuazione effettiva
dei principi del giusto processo contenuti nell’art. 111

Cost. ha indotto la giurisprudenza a ridurre le ipotesi in
cui tale situazione sia invocabile, invitando comunque il
giudice, sulla base della prospettazione delle parti e del
proprio potere di configurare esattamente i termini della
controversiaronché a valutare l’esigenza della
preventiva instaurazione del litisconsorzio necessario o
della sua successiva integrazione soprattutto al lume del
principio che l’accertamento giudiziale ed il giudicato
hanno la funzione di produrre effetti nella sfera
giuridico-patrimoniale delle parti, modificando (o
confermando definitivamente) il precedente assetto. Sicché,
allorquando difetti questa finalità perché restano
invariati gli interessi di una parte (in senso formale),
non vi è la necessità inderogabile di farla partecipare al
processo, perché così operando si finirebbe per attribuire
al giudicato un’efficacia

erga omnes,

di natura meramente

dichiarativa, diversa da quella derivante
dall’intangibilità così come definita nell’art. 2909 cod.
civ. (Cfr.Cass.4342/2010; 18410/2009).
E tanto si è verificato nella fattispecie in cui il
contributo di ristrutturazione previsto dagli art.9 e 10
5

legge 219 del 1981 genera una serie di obbligazioni
individuali tra il comune ed i singoli proprietari di
ciascuna unità immobiliare,neppure solidali né dal lato
attivo,né da quello passivo;ciascuna delle quali si
concreta (per quanto qui interessa) nella corresponsione di

una somma di denaro ancorata ai parametri predisposti da
detta legge e concessa a seguito di domanda del singolo
interessato unitamente all’autorizzazione o concessione ad
edificare il suo solo appartamento4Perciò a nulla rilevai
che il comune ritenga di redigere un unico progetto
interessante lo stabile e determinare una volta per tutte
l’intero contributo spettante ai condomini di esso. Ln
quanto la relativa obbligazione sorge nei confronti di ogni
singolo proprietario di unità immobiliare distrutta,è
subordinata alle condizioni soggettive ed oggettive
previste dagli art.9 segg. legge 281, e ne comporta un
separato

accertamentoboJcluAL restano

indifferenti

proprietari delle a t re unità immobiliari,non pregiudicati
né dalle decisioni adottate dal comune in ordine a
quest’ultimo,né

tanto meno dall’esito del

giudizio

instaurato o subito da altri condomini in ordine alla
spettanza ed entità del contributo che li riguarda.
Con il primo motivo,che si articola in due censure, i
ricorrenti,deducendo violazione degli art.112 e segg. cod.
proc. civ. 2033,1292 e 2697 cod. civ., censurano la
sentenza impugnata: a)per avere qualificato solidale
6

l’obbligo tra di essi di restituzione della maggiore somma
dovuta dal solo Dotti, perché comproprietario
dell’appartamento per lui non costituente prima casa;che
dunque non riguardava la Botta che per quella quota non
aveva ricevuto alcun contributo ed era proprietaria

dell’altra metà,abitata regolarmente come prima casa:a
nulla rilevando il regime di comunione legale,che non
rendeva la moglie destinataria del contributo rivolto alla
quota di pertinenza del Dotti; b)per avere attribuito al
comune una somma più elevata di quella richiesta nell’atto
di citazione,non più modificabile nel corso del giudizio di
primo grado,neppure a seguito di c.t.u.:anche per il fatto
che sulla nuova domanda,essi coniugi rimasti contumaci, non
avevano accettato il contraddittorio.
La censura è in parte inammissibile,in parte infondata,pur
se va corretta la motivazione con cui analoghe censure sono
state rigettate dalla Corte territoriale.
La sentenza impugnata ha riferito,senza contestazione dei
ricorrenti al riguardo: a)che per la ristrutturazione del
fabbricato in oggetto,danneggiato dagli eventi simici
dell’anno 1980,i coniugi avevano ricevuto un unico
contributo pari a £.359.324.629,calcolato sul presupposto
che l’immobile costituisse per essi “abitazione prima
casa”; b)che a seguito di segnalazione del 17 gennaio
1992,era risultato che l’appartamento costituiVte, prima
casa soltanto per la Botta,e non anche per il coniuge che
7

aveva già percepito il contributo prima casa per altro
appartamento di sua proprietà, ubicato nella via Petrarca
dello stesso comune; c)che conseguentemente il Sindaco
aveva provveduto alla rideterminazione dell’intero
contributo spettante per l’appartamento di via Giovanni

Camera nella minore misura di £.282.993.646,tenuto conto
che per il Dotti tale immobile non costituiva prima casa e
non era dovuta la relativa maggiorazione; d)che a seguito
di queste vicende il comune aveva intrapreso nei confronti
dei coniugi l’azione di cui all’art.2033 cod. civ. onde
ottenere la restituzione della maggior somma di C
35.328,71.
E tanto è sufficiente per giustificare l’applicazione della
consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale
la ripetizione suddetta rappresenta un’azione restitutoria,
non risarcitoria, a carattere personale, che riflette
l’obbligazione insorta tra il “solvens” ed il
destinatario,o i destinatari del pagamento privo di “causa
acquirendi”;che nel caso sono stati entrambi
coniugi,beneficiari sia del contributo relativo
all’appartamento di via Giovanni Camera,per cui è causa,sia
del pagamento anche del maggiore importo non dovuto,senza
alcun riferimento alle quote di entrambi,né alla posizione
di ciascuno in ordine all’immobile. Con la conseguenza che
così come la maggiore somma non dovuta era stata ricevuta
per intero da entrambi,l’uno e l’altro hanno assunto la
8

qualifica di titolari passivi in solido dell’obbligazione
restitutoria generato dall’indebito pagamento:anche perché
nessuno di essi ha dedotto che il provvedimento di
assegnazione fosse strutturato in modo da distinguere la
situazione dei due comproprietari e che in funzione di essa

fosse stata suddivisa e calcolata la somma da versare ad
ognuno di essi.
P, d’altra parte, significativo che anche l’art.15 della
legge 219/1981 in relazione al pagamento del contributo
suddetto istituisce un’obbligazione dichiarata solidale con
riguardo

alla

fase

dell’anticipazione

a

seguito

dell’esecuzione dei lavori di ristrutturazione,tra il
singolo proprietario,i1 direttore dei lavori e l’impresa
che li realizza:proprio perché la stessa è attribuita
unitariamente ed indistamente a detti soggetti,ciascuno dei
quali assume quindi la qualifica di accipiens e quindi di
titolare dell’obbligazione restitutoria ove non dovuta.
Inammissibile

è

invece

la

restante

parte

della

censura,perché la sentenza impugnata non ha considerato
affatto pacifico che il comune abbia richiesto nella
citazione

introduttiva

soltanto

la

somma

di

£.52.326.699,corrispondente al contributo erogatoyavendo
rilevato che la originaria domanda era rivolta alla
restituzione “della somma indebitamente percepita a titolo
di contributo”; che a tal fine l’amministrazione comunale
aveva chiesto c.t.u. per calcolare entità del contributo
9

effettivamente spettante,e maggior importo erogato;e che a
seguito delle risultanze della c.t. aveva precisato la
richiesta nella somma di £.68.405.925.
Ha osservato in aggiunta che a tale interpretazione
conduce ne

una

seconda

autonoma

ragione, costituita

dall’errore in cui erano incorse le parti nella
determinazione in sede amministrativa,per via del calcolo
della superficie utile abitabill•. successivamente
rettificata dall’ausiliare in modo definitivo,proprio per
averne l’ente pubblico chiesto l’accertamento giudiziale.
Ora, tale ragione non è stata censurata dai ricorrenti,i
quali hanno dato per certo che il comune avesse
inizialmente chiesto la restituzione del solo maggior
importo (erogato) ritenuto esatto e che comunque la domanda
si dovesse interpretare in tali termini:senza prendere in
esame la diversa interpretazione recepita dai giudici di
merito,e soprattutto senza muovere alcun rilievo al
percorso logico utilizzato dalla Corte di appello nel
prospettarla. Per cui il Collegio deve dare continuità al
principio che ove il giudice del merito, abbia
espressamente ritenuto che una certa domanda sia stata
avanzata – e sia compresa nel “thema decidendum” – , tale
statuizione, ancorché erronea, non può essere direttamente
censurata per ultrapetizione, atteso che, avendo comunque
il giudice svolto una motivazione sul punto, dimostrando
come una certa questione dovesse ritenersi ricompresa tra
10

quelle da decidere, il difetto di ultrapetizione non è
logicamente verificabile prima di avere accertato la
erroneità di quella medesima motivazione. In tal caso, il
dedotto errore del giudice non si configura come “error in
procedendo”, ma attiene al momento logico relativo

all’accertamento in concreto della volontà della parte
(Cass.8953 e 17451/2006;2096 e 7049/2007).
Infondato

è

infine

il

terzo

motivo, laddove

il

Dotti,deducendo violazione degli art.2033 e 1224 cod. civ.
lamenta: a)che la sentenza impugnata lo abbia condannato al
pagamento degli interessi legali a decorrere dalla nota 10
maggio 1996,piuttosto che dalla domanda giudiziale (11

luglio 1997); b)che abbia attribuito al comune il maggior
danno da rivalutazione monetaria pur in mancanza della

v

relativa prova richiesta dall’art.1224 cod. civ.
La giurisprudenza di questa Corte assolutamente prevalente
ha infatti enunciato il principio che, in materia di
indebito oggettivo, ai sensi dell’art. 2033 cod. civ. il
debito dell'”accipiens” – a meno che questi sia in mala
fede – produce interessi solo a seguito della proposizione
di un’apposita domanda giudiziale.
Proprio l’ ipotesi dell’accipiens in mala fede è stata
ritenuta sussistente dalla sentenza impugnata,la quale
nell’esaminare altra precedente censura dei coniugi aveva
.

rilevato che “era ragionevolmente da escludersi che gli
appellanti ignorassero di essere comproprietari di due
11

case,per giunta ubicate in strade diverse,nella medesima
città” (pag.9);per cui non avendo essi impugnato
quest’ultima statuìzione,è rimasta esclusa la loro buona
fede nel ricevere la maggiore somma. E non essendo

territoriale che con nota del 10 maggio 1996 i coniugi
erano stati diffidati alla restituzione delle somme
percepite in eccedenza (pag.10),correttamente la decisione
ne ha tratto la conseguenza che dalla stessa data
decorrevano gli interessi stabiliti dallo stesso art.2033
cod. civ.
Conclusivamente la sentenza impugnata va confermata con
conseguente condanna dei soccombenti coniugi Dotti in
solido al pagamento delle spese processuali che si
liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte,rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in
solido al pagamento delle spese processuali che liquida in
favore del comune in complessivi E 5.200,00,di cui C 200
per esborsi,oltre agli accessori, come per legge.
Così deciso in Roma il 23 aprile 2013.

contestato neppure l’accertamento compiuto dalla Corte

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