Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1726 del 27/01/2021

Cassazione civile sez. VI, 27/01/2021, (ud. 17/09/2020, dep. 27/01/2021), n.1726

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8866-2018 proposto da:

D.D.G., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

ALBERTO ANTOGNETTI;

– ricorrente –

contro

DIERRE SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA UGO DE CAROLIS 77, presso lo

studio dell’avvocato LUCIO LAURITA LONGO, rappresentata e difesa

dall’avvocato ELISABETTA AMBROSINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1567/2017 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 11/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELE

POSITANO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

D.D.G. acquistava nell’anno 2000 dalla società MARILA S.a.s., 12 persiane blindate in acciaio di produzione Dierre S.p.A. riscontrando, dopo la posa in opera, la presenza di vizi nella fornitura rappresentati da ossidazione di alcune parti metalliche. Nel novembre 2004 l’acquirente proponeva un’azione nei confronti del produttore, allegando l’esistenza di un vizio di non conformità; si costituiva la società Dierre S.p.A. negando la esistenza di vizi riconducibili ad un difetto di produzione ed evidenziando che le problematiche lamentate dovevano riferirsi all’attività di montaggio non eseguito a regola d’arte dal rivenditore MARILA;

il Tribunale di La Spezia, sezione distaccata di Sarzana, ritenendo non provata l’assunzione di una garanzia convenzionale diretta, da parte del produttore nei confronti del consumatore, limitava la condanna della convenuta al risarcimento del danno materiale per prodotto difettoso nei limiti del D.P.R. n. 224 del 1988, art. 11, (Euro 1.993 oltre interessi), rigettando la domanda di risarcimento danni da ritardo e disagio provocato all’abitazione e alla famiglia dell’attrice. Secondo il Tribunale, per il danno da responsabilità per difetto di conformità del prodotto il consumatore avrebbe dovuto agire nei confronti del venditore e soltanto in caso di garanzia convenzionale sarebbe stato possibile agire direttamente verso il produttore; ma tale prova, nel caso di specie non sussisteva;

avverso tale decisione D.D.G. proponeva appello. Si costituiva la società Dierre S.p.A. chiedendo il rigetto della impugnazione;

la Corte d’Appello di Genova, con sentenza depositata l’11 dicembre 2017, rigettava l’impugnazione;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione D.D.G. affidandosi a due motivi illustrati da memoria. Resiste con controricorso la S.p.A. Dierre.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360, n. 5, l’omesso esame di circostanze e fatti documentali e storici principali decisivi per il giudizio. In particolare, il giudice di appello non avrebbe preso in considerazione la corrispondenza intercorsa tra i legali delle parti, nella fase stragiudiziale, dalla quale sarebbe possibile desumere la pattuizione scritta di una garanzia diretta tra il produttore e il consumatore. Nello stesso modo non avrebbe valutato adeguatamente il comportamento tenuto dalla società resistente che equivarrebbe alla assunzione di una garanzia convenzionale per fatti concludenti;

nella memoria ex 380 bis si precisa che i documenti relativi alle dichiarazioni ammissive non sarebbero stati esaminati dal giudice di appello, nonostante la specifica censura sul punto. Nel giudizio di appello, la odierna ricorrente avrebbe segnalato che il Tribunale non aveva considerato la garanzia convenzionale, ma soprattutto non avrebbe valutato adeguatamente due lettere inviate dalla società Dierre e gli interventi spontaneamente eseguiti da tale azienda al fine di risolvere il problema;

con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione delle norme in tema di spese processuali ed, in particolare, gli artt. 91 e ss. c.p.c.. La Corte territoriale avrebbe errato nel confermare il capo della sentenza del Tribunale con il quale erano state interamente compensate tra le parti le spese di lite, in virtù del parziale accoglimento della domanda attorea;

il primo motivo è inammissibile perchè dedotto esclusivamente quale omesso esame di fatti storici decisivi, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, sebbene tale ipotesi non sia consentita, nel caso ricorrente di cd doppia conforme, fondata sui medesimi fatti storici, atteso il divieto contenuto nell’ art. 348 ter c.p.c., comma 5. Sotto tale profilo parte ricorrente non ha dedotto o allegato che la decisione di appello si fonda su fatti diversi rispetto a quelli esaminati dal Tribunale, mentre è pacifico che la correzione della motivazione (adottata in appello) riguardava esclusivamente il profilo giuridico dell’individuazione di una delle norme applicabili ratione temporis;

va ricordato, infatti, che nell’ipotesi di doppia conforme, prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. Sez. 1 -, Sentenza n. 26774 del 22/12/2016). E tale precisazione va inserita nel ricorso originario e non, come nel caso di specie, nella memoria ex art. 380 bis c.p.c.;

a diversa conclusione non è possibile pervenire neppure accedendo alla tesi prospettata dalla ricorrente nella memoria, secondo cui la doglianza avrebbe dovuto, più correttamente, essere qualificata ex art. 112 c.p.c., e art. 360 c.p.c., n. 4, per l’omessa pronuncia della Corte territoriale sulle questioni dedotte in appello;

a prescindere dalla circostanza che questione è dedotta in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, atteso che la sintesi dei motivi di appello è riportata nella parte descrittiva del ricorso (a pag 8), ma non sono trascritti, allegati o localizzati all’interno del fascicolo di legittimità gli specifici motivi che sarebbero fondata stati trascurati, tale doglianza non 1sussistel A pag. 5 la Corte territoriale esamina espressamente la censura e precisa che la garanzia convenzionale della società Dierre non era provata, per inidoneità dei certificati di garanzia prodotti. Secondo il giudice di appello, le lettere in questione riguarderebbero la responsabilità del produttore Dierre verso il rivenditore e non nei confronti del cliente. Ma, soprattutto, la garanzia da comportamenti concludenti viene valutata dalla Corte come condotta giustificata da mere ragioni di cortesia e l’impegno oggetto della lettera del (OMISSIS) attesterebbe, secondo il giudice di secondo grado, l’impegno ad eseguire attività diverse da quelle oggetto della domanda. In sostanza, l’impegno a ripulire, riverniciare e sostituire le aste delle persiane. Al contrario, i danni lamentati dall’attrice sono riferiti alle macchie di ruggine. In conclusione, tutti i profili indicati nel primo motivo sono stati esaminati dalla Corte territoriale e, pertanto, non ricorre l’ipotesi di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c.;

il secondo motivo è infondato, perchè la decisione di compensare le spese è stata adottata sulla base dell’orientamento constante della giurisprudenza di legittimità, con argomentata motivazione, fondata sul presupposto della soccombenza reciproca: configurabile, sia nel caso di accoglimento di alcuni capi di un’unica domanda, sia nel caso di accoglimento, ma per importo inferiore, della domanda (Cass. n. 21569 del 2017), essendo pacifico il rigetto della parte della pretesa relativa al danno conseguenziale ai “ritardi e disagi provocati alla istante, alla abitazione e alla famiglia”;

ne consegue che il ricorso deve essere rigettato; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315), evidenziandosi che il presupposto dell’insorgenza di tale obbligo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (v. Cass. 13 maggio 2014, n. 10306).

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1- quater, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile-3 della Corte Suprema di Cassazione, il 17 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2021

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