Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17257 del 12/07/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 17257 Anno 2013
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: ACIERNO MARIA

Data pubblicazione: 12/07/2013

SENTENZA

sul ricorso 6523-2007 proposto da:
DI PAOLO DINO (C.F. DPLDNI43P01H401I), elettivamente
domiciliato in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 82, presso
l’avvocato GREGORIO IANNOTTA, che lo rappresenta e
difende, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente contro

2013
510

UNICREDIT

S.P.A.

(p.i.

00348170101),

che

ha

incorporato la S.p.a. Unicredit Banca di Roma, già
Banca di

Roma

spa,

in persona dei

legali

1

rappresentanti

pro

tempore,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA D. CHELINI 5, presso
l’avvocato VERONI FABIO, che la rappresenta e
a.

difende, giusta procura speciale per Notaio avv.
DARIA ZAPPONE di ROMA – Rep.n. 3468 dell’11.7.2011;

contro

CIVETTA MARISA AMEDEA;

avverso la sentenza n.

intimata

592/2006 della CORTE

D’APPELLO di ROMA, depositata il 02/02/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 26/03/2013 dal Consigliere Dott. MARIA
ACIERNO;
udito,

per il ricorrente,

l’Avvocato IANNOTTA

FEDERICA, con delega, che ha chiesto l’accoglimento
del ricorso;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato VERONI F.
che ha chiesto il rigetto del ricorso;

– controricorrente –

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FEDERICO SORRENTINO che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Roma ha
respinto l’impugnazione proposta da Dino Di Paolo e Marisa
Amedea Civetta avverso la sentenza di primo grado con la
quale era stata dichiarata l’inefficacia dell’atto di

costituzione di fondo patrimoniale sulla maggior parte dei
beni dei due coniugi, in virtù di un’ azione revocatoria
ordinaria proposta dalla s.p.a Banca di Roma. Nel giudizio
di primo grado l’istituto bancario aveva rinunciato
all’azione revocatoria nei confronti della Civetta in
quanto risultata non debitrice della Banca. Il Tribunale
aveva disposto la compensazione delle spese di lite tra
tali ultime parti. La pronuncia di primo grado è stata
impugnata dal Di Paolo sulle statuizioni relative
all’azione revocatoria e all’esistenza ed efficacia del
credito della banca e dalla Civetta in ordine alla
statuizione sulle spese di lite.
A sostegno della decisione assunta, per quel che
interessa, la Corte d’Appello ha affermato che :
– non poteva essere disposta la sospensione del giudizio
ex art. 295 cod. proc. civ. per pregiudizialità del
giudizio relativo all’opposizione a decreto ingiuntivo
relativo ai crediti azionati nei confronti del Di Paolo,
in virtù della fideiussione dallo stesso stipulata con la

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banca, dal momento che oggetto dell’ azione revocatoria
poteva anche essere una res litigiosa;
– in sede di giudizio di secondo grado potevano essere
esaminati esclusivamente i profili di nullità ed
inefficacia dei contratti fideiussori già indicati nel

giudizio di primo grado e non, invece, quelli posti per la
prima volta nel giudizio di secondo grado ovvero
a)

la nullità delle fideiussioni “in aumento” per

violazione dell’art. 117 del T.U. bancario;
b) la nullità dei contratti per difetto d’informazione
periodica;
c)

l’inefficacia delle dichiarazioni in aumento della

garanzia in quanto non precedute da una “rinnovata
contrattazione”;
d) l’inefficacia della garanzia per omessa individuazione
delle obbligazioni future coperte dalla fideiussione;
e) la nullità dell’obbligazione fideiussoria per difetto
di buona fede nell’esecuzione del contratto, desumibile
dal fatto che era stato concesso credito alla società
garantita nonostante la conoscenza delle condizioni di
estrema difficoltà economica della medesima;
f) l’inefficacia della fideiussione e la liberazione dalla
garanzia ex art. 1956 cod. civ.
– in ordine alle ragioni di nullità già sollevate in primo
grado ed aventi ad oggetto l’abusivo riempimento dei
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moduli contrattuali da parte della banca nelle parti
riguardanti le dichiarazioni di aumento della
fideiussione, veniva rilevata la totale mancanza di
allegazioni e prove dei predetti assunti.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione

Dino Di Paolo affidandosi a tre motivi. Ha resistito con
controricorso l’Istituto bancario. Il ricorrente ha
depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Nel primo motivo di ricorso viene censurata la violazione
e falsa applicazione dell’art. 295 cod. proc. civ. in
correlazione con l’art. 2901 cod. civ. nonché il vizio di
motivazione della sentenza impugnata, per non avere il
giudice d’appello disposto la sospensione del giudizio, in
attesa della definizione del giudizio di opposizione a
decreto ingiuntivo relativo al credito posto a fondamento
dell’ azione revocatoria. Secondo il ricorrente, la Corte
avrebbe dovuto sospendere il giudizio al fine di evitare
il conflitto tra giudicati in attesa dell’esito di quello
pregiudiziale instaurato precedentemente, non potendo
decidere neanche incidenter tantum in ordine alla validità
ed efficacia delle fideiussioni.
Il motivo è manifestamente infondato.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza
di legittimità, richiamato anche dal ricorrente con la

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menzione della pronuncia n. 9440 del 2004, l’azione
revocatoria ordinaria non deve essere sospesa quando il
credito da tutelare sia oggetto di contestazione in
separato giudizio, non ravvisandosi in tale ipotesi
conflitto di giudicati. (con specifico riferimento al

credito proveniente da decreto ingiuntivo, ed al giudizio
di opposizione pendente Cass. 12849 del 2007). Il
principio di diritto sopra esposto non afferma, come
ritenuto nel motivo di ricorso che non debba sospendersi
se non si ravvisa conflitto virtuale tra giudicati ma, al
contrario, postula che quando oggetto dell’azione
revocatoria ordinaria sia una res litigiosa il conflitto
di giudicati non si possa porre in via generale, perché
l’accertamento svolto incidenter tantum dal giudice
dell’azione revocatoria in ordine al credito contestato, è
esclusivamente finalizzato ad ottenere l’inefficacia
dell’atto pregiudizievole alle ragioni del creditore “ma
non costituisce titolo sufficiente per procedere ad
esecuzione nei confronti del terzo acquirente, essendo a
tal fine necessario che il creditore disponga anche di un
titolo sull’esistenza del credito, che può procurarsi
soltanto nella causa relativa al credito e non anche in
quella concernente esclusivamente la domanda revocatoria,
nella quale la cognizione del giudice sul credito è
meramente incidentale.

(Cass. 5246 del 2006). Con specifico
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riferimento alla non ravvisabilità della sospensione
necessaria nei rapporti tra la domanda di accertamento del
credito e l’azione di simulazione, nullità o revocatoria
proposta dal creditore nei confronti dell’atto costitutivo
del fondo patrimoniale posto in essere dal debitore, si

richiama, infine, Cass. 19492 del 2005.
Nel secondo motivo di ricorso viene dedotta la violazione
e falsa applicazione dell’art. 345 cod. proc. civ. nonché
dei principi che consentono al giudice di rilevare
d’ufficio la nullità degli atti negoziali oltre che il
vizio di motivazione, per non avere la sentenza impugnata
esaminato le eccezioni di nullità dei moduli contenenti
le dichiarazioni volte ad aumentare la fideiussione di cui
ai profili da a) a g) dell’atto di appello, in quanto
ritenuti nuovi ed inammissibilmente posti per la prima
volta nel giudizio d’appello.
Osserva la parte ricorrente che, essendo tali profili di
nullità rilevabili d’ufficio, non poteva porsi la
questione della loro tardiva formulazione. Inoltre la
pronuncia impugnata ha omesso di motivare sulla
infondatezza di tali censure, soltanto apoditticamente
dichiarata.
Nel terzo motivo di ricorso viene dedotta la violazione e
falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. oltre che il
vizio di omessa motivazione in ordine alla statuizione
7

della sentenza impugnata con la quale è stato affermato
che la riproposizione delle censure riguardanti l’abusivo
riempimento dei moduli contenenti le dichiarazioni di
aumento della fideiussione sono rimaste sfornite di
qualunque allegazione e prova.

Al riguardo la parte ricorrente ha rilevato di aver
documentato fin dall’atto di opposizione a decreto
ingiuntivo che erano state incamerate somme superiori
all’ammontare della fideiussione prestata. Inoltre nella
memoria depositata ex art. 183, quinto comma cod. proc.
civ. era stata contestata la validità ed efficacia di
qualsivoglia rapporto fideiussorio sotto il profilo
dell’art. 1469 bis cod. civ. e seguenti e dell’art. 1375
cod. civ. Nel giudizio d’appello era stata allegata la
memoria predetta ed era stato chiarito che l’iniziativa
revocatoria

della

banca

era

l’ulteriore

tassello

dell’abusivo comportamento dell’istituto di credito.
Quest’ultima, infatti oltre ad aver riempito abusivamente
i moduli contenenti l’impegno a prestare la garanzia
fideiussoria, aveva operato un unilaterale ed illecito
prelievo dai conti correnti della parte per un importo
largamente eccedente la fideiussione, gravato di interessi
e spese ed aveva intrapreso l’azione revocatoria.
L’esame del secondo motivo deve essere svolto alla luce
della sentenza n. 14828 del 2012, con la quale, le Sezioni
8

Unite di questa Corte,

componendo un preesistente

contrasto, hanno affrontato il tema del rapporto tra il
principio della rilevabilità officiosa, in ogni stato e
grado del giudizio, delle nullità contrattuali ed il
principio dispositivo correlato al divieto di

extrapetizione proprio del giudizio civile. Pur essendo la
questione stata sottoposta all’esame delle Sezioni Unite
sotto la specifica angolazione della rilevabilità
d’ufficio della questione di nullità nell’ambito di una
domanda di risoluzione del contratto, si deve ritenere che
i principi affermati possano essere pacificamente
applicati anche quando la questione della nullità di un
testo negoziale, sia stata espressamente posta
all’attenzione del giudice dalla parte che mira ad
escluderne, per questa ragione, la vincolatività, ancorché
non sollevandone entro lo sbarramento endoprocedimentale
finalizzato alla definizione del thema decidendum, tutti i
profili d’invalidità. Anzi si può ritenere che in questa
specifica ipotesi, il rilievo officioso non incontri
l’ostacolo della diversità del petitum e della causa
petendi, che rimangono invariati, a differenza che
nell’azione di risoluzione del contratto, ma ponga soltanto
la questione, risolta dalla pronuncia, della correlazione
con il principio dispositivo. A tale riguardo le Sezioni
Unite affermano che il giudice del merito ha il potere di
9

rilevare, dai fatti allegati e provati o emergenti ex
actis, ogni forma di nullità non soggetta a regime
speciale (come le nullità di protezione, poste a tutela
del contraente consumatore), con il solo vincolo del
rispetto del contraddittorio. Facendo leva sulla funzione,

propria dell’art. 1421 cod. civ. d’impedire che il
contratto nullo, sul quale l’ordinamento esprime un
giudizio di disvalore, possa spiegare i suoi effetti, “pur
in presenza di un obbligo a carico del giudice di decidere
secundum jus e quindi “di evidenziare in giudizio la
mancanza di fondamento di una domanda che presupponga la
sussistenza dei requisiti di validità del contratto”,
vengono superati quegli orientamenti che limitavano la
rilevabilità d’ufficio delle nullità contrattuali, anche
oltre l’attività assertiva delle parti, soltanto alle
azioni volte ad ottenere l’applicazione o l’esecuzione del
contratto. Il rilievo officioso della nullità del
contratto viene fondata sull’esigenza di tutela
d’interessi generali non sacrificabili in nome del
rispetto, meramente formalistico, del divieto di
extrapetizione. Come sottolineato dalle Sezioni Unite,
l’obbligo di esaminare d’ufficio la natura abusiva (e la
conseguente nullità ed inapplicabilità) di una clausola
contrattuale è stato sottolineato anche dalla Corte di
Giustizia dell’Unione Europea (Corte di Giustizia sez. IV,
10

4 giugno 2009 causa

C 243/08

e 6 settembre 2009 in

procedimento C-40-08) e si deve ritenere che sorga

“ogni

qualvolta il contratto sia elemento costitutivo della
domanda”.

Il timore della lesione del principio del

contraddittorio e della conseguente formazione di un

giudicato in violazione del principio dispositivo, posto a
base dei precedenti orientamenti “riduttivi”, è stato
preso in esame dalle Sezioni Unite e ritenuto risolto alla
luce dell’obbligo per il giudice di merito di sollecitare
l’attivazione del contraddittorio su tutte le questioni
rilevate d’ufficio e non formanti oggetto del thema
dedendum oggetto di esplicita trattazione, attualmente
imposto dal novellato art. 101 cod. proc. civ. ma già in
precedenza desumibile dal sistema e da numerose pronunce
di questa Corte (Cass. 14637 del 2001; 21108 del 2005;
15194 del 2008; 18191 del 2009; 10062 del 2010; 11928 del
2011).
Merita di essere precisato,

infine,

che tutte le

preoccupazioni ricollegabili all’estensione indebita del
giudicato, ampiamente risolte dalla pronuncia esaminata,
non riguardano la fattispecie dedotta nel presente
giudizio, nella quale la cognizione sulla validità del
contratto fideiussorio, pur costituendo un fatto
impeditivo dell’accoglimento dell’azione revocatoria ha

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efficacia esclusivamente incidentale come ampiamente
spiegato nell’esame del primo motivo.
Alla luce di questi nuovi principi affermati nella
sentenza n. 14828 del 2012 si deve rilevare che le
eccezioni di nullità dei contratti di fideiussione,

elencate nella sentenza impugnata con le lettere da a) a
g) non possono essere ritenute inammissibili ai sensi del
secondo comma dell’art. 345 cod. proc. civ. in quanto
pienamente riconducibili, alla luce dell’esame degli atti,
consentito in relazione alla natura del vizio denunciato,
alle allegazioni e alle complessive acquisizioni
probatorie di natura documentale. Dall’ esame testuale
delle eccezioni ritenute inammssibili, emerge, infatti che
si tratta di rilievi che attengono agli obblighi
d’informazione e trasparenza previsti dagli artt. 117 e
119 del T.U. n. 385 del 1993 (a, b, c, d) o di violazioni
del principio di buona fede sia con riferimento all’art.
1956 cod. civ. che con riferimento all’art. 1375 cod.
civ.(e,f,g,), tutti riferibili esclusivamente al
regolamento negoziale contenuto nei contratti di
fideiussione e alla violazione degli obblighi legali e
negoziali posti a carico dell’istituto bancario garantito.
Deve, peraltro, osservarsi che le eccezioni contenute
nell’atto di appello costituiscono piuttosto
un’integrazione di quelle, centrate sul riempimento
12

unilaterale ed abusivo dell’oggetto della garanzia, ed
alla violazione dell’art. 1938 cod. civ., sollevate nel
primo grado, attenendo comunque all’asserita non
conoscenza o informazione preventiva del fideiussore in
ordine all’intervenuta estensione del debito garantito.

Può, conseguentemente dubitarsi, nella specie anche
dell’effettivo ampliamento dell’attività assertiva in
appello. Pertanto, la statuizione d’inammissibilità delle
eccezioni contrassegnate nella sentenza impugnata con le
lettere da a) a g) deve essere cassata. E’ necessario
aggiungere che la valutazione d’infondatezza delle
medesime eccezioni, svolta a pag. 6 della sentenza
impugnata, in forma anche graficamente incidentale,
essendo posta tra due parentesi, è del tutto superflua e
priva di rilievo nell’economia della decisione impugnata
che è fondata sull’assorbente statuizione
d’inammissibilità. Il vizio di omessa motivazione dedotto
dalla parte ricorrente al riguardo, risulta, pertanto,
inammissibile per la mancanza di una statuizione effettiva
sul fondamento delle eccezioni, il cui concreto esame di
merito è stato precluso alla Corte d’Appello dal
preliminare rilievo d’inammissibilità. All’accoglimento
del motivo consegue, tuttavia, l’obbligo del giudice del
rinvio di esaminare nel merito le eccezioni ritenute
inammissibili, peraltro da ritenersi ampiamente sottoposte
13

all’esercizio del contraddittorio, in quanto formulate fin
dall’atto di appello.

Merita accoglimento anche il terzo motivo di ricorso
attesa la palese insufficienza della motivazione relativa

preesistenti, in quanto fondata esclusivamente
sull’affermazione ” la stessa è rimasta del tutto sfornita
di qualunque allegazione e prova degli assunti”, senza
alcuna giustificazione dell’assunto avente natura
meramente assertiva.

P.Q.M.
La Corte,
rigetta il primo motivo di ricorso. Accoglie il secondo ed
il terzo motivo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla
Corte d’Appello di Milano in diversa composizione anche in
ordine alle spese del presente procedimento.
Così deciso nella camera di consiglio del 26 marzo 2013

Il presidente

alla mancanza di fondamento delle eccezioni di nullità

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