Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17256 del 18/08/2020

Cassazione civile sez. I, 18/08/2020, (ud. 08/07/2020, dep. 18/08/2020), n.17256

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36143/2018 proposto da:

M.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARLO

MIRABELLO n. 23, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE CAVALLARO,

che lo rappresenta e difende

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2358/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 11/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/07/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il ricorrente, cittadino pakistano, proponeva ricorso avverso il provvedimento di diniego emesso dalla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano. Con ordinanza del 31.1.2017 il Tribunale di Milano rigettava il ricorso. Interponeva appello M.F. e la Corte di Appello di Milano, con la sentenza impugnata, n. 2358/2018, rigettava il gravame.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione M.F. affidandosi a quattro motivi.

Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe omesso di valutare le prove documentali prodotte a sostegno della sua storia personale, con particolare riferimento alla denuncia della sparatoria nella quale era rimasto ucciso il cugino del richiedente ed al certificato di morte di quest’ultimo.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte lombarda avrebbe ritenuto la sua storia personale non credibile, senza valorizzare il fatto che egli aveva fatto ogni sforzo per circostanziare il proprio racconto, anche mediante la produzione documentale allegata al ricorso.

Le due censure, che meritano un esame congiunto, sono infondate. La Corte milanese ha infatti ritenuto non credibile la storia narrata dal M. sulla base di una serie di elementi, ed in particolare: (1) il fatto che lo stesso fosse entrato in Italia come studente sulla base di regolare visto; (2) il fatto che egli avesse dichiarato di essere un semplice simpatizzante del partito PMLQ, in cui militava il cugino; (3) il lungo tempo trascorso tra il primo ingresso in Italia e la presentazione della domanda di protezione internazionale; (4) la scarsa conoscenza dimostrata dal ricorrente circa le idee-guida del partito PMLQ. Alla luce di tali considerazioni, il giudice di secondo grado ha ritenuto poco credibile che il M. sia stato oggetto di minacce di morte in caso di rifiuto all’invito a cambiare partito che gli era stato rivolto dai suoi persecutori ed ha precisato che le predette evidenze “… non vengono minimamente smentite dalla suddetta produzione documentale” (cfr. pag.7 della sentenza impugnata). Se ne ricava che l’esame dei documenti prodotti dal ricorrente vi è stato e che gli stessi sono stati considerati insufficienti a superare le diverse contraddizioni rilevate dalla Corte ambrosiana nel racconto del richiedente.

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente negato il riconoscimento della protezione sussidiaria senza svolgere alcun accertamento aggiornato sulla condizione interna del Pakistan, confermando semplicemente il giudizio e le motivazioni del Tribunale.

La censura è inammissibile.

La Corte di Appello ha escluso la sussistenza, in Pakistan, di una situazione di violenza diffusa e generalizzata ritenendo “… del tutto generica ed irrilevante… la lagnanza sull’indicazione solo sintetica di uno dei due rapporti (quello di Amnesty International del 2015), non venendo in tal modo minimamente contraddetta la deliberazione del primo giudice intorno alle risultanze emergenti da tale fonte (oltrechè dall’altra, del tutto incontestata, cioè il South Asia Terrorism Portal) circa l’insussistenza di una situazione, quand’anche segnata in alcune zone da gravi tensioni, sia pur lontanamente equiparabile ad una guerra civile, in quanto funestata dai presupposti indicati dall’art. 14 D.Lgs. n. 251 del 2007” (cfr. pag.7 della sentenza impugnata). Il ricorrente contesta tale passaggio della motivazione affermando che il giudice di seconde cure avrebbe dovuto considerare le diverse risultanze della “… documentazione, molto più recente, depositata in appello” (cfr. pag.23 del ricorso, alla fine dell’esposizione del terzo motivo), senza tuttavia indicare in alcun modo di quale documentazione si trattasse, nè quali diverse indicazioni circa la situazione interna del Pakistan da essa fosse possibile ricavare. In definitiva, la censura difetta della necessaria specificità in quanto il ricorrente non pone la Corte in grado di verificare, direttamente dalla lettura del motivo, la sussistenza o meno della violazione lamentata.

Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 19, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente negato la tutela umanitaria.

La censura è inammissibile. La Corte ambrosiana ha infatti ritenuto che il M. non avesse allegato nessun elemento concreto a sostegno della propria dedotta condizione di vulnerabilità, e rispetto a questo passaggio della motivazione (che viene anche richiamato nel corpo del motivo in esame: cfr. pag.24 del ricorso) il ricorrente si limita ad affermare che “L’avere subito diverse aggressioni da membri del partito al potere, l’essere stato vittima di una aggressione in cui il cugino è stato ucciso, sono circostanze rilevanti al fine di valutare la vulnerabilità, la fragilità di un soggetto. Trattasi di un vissuto oggettivamente traumatizzante, certamente rilevante ai fini della valutazione delle condizioni per la protezione umanitaria” (cfr. pag. 25 del ricorso). La deduzione è generica: se infatti è vero che qualsiasi coinvolgimento in un episodio di violenza o di aggressione può essere traumatico per la persona che lo subisce, ciò tuttavia non esclude che il trauma possa essere, in concreto, superato, e che quindi non si configuri alcuna ipotesi di vulnerabilità. Quest’ultima va infatti apprezzata non già in termini oggettivi, come sembrerebbe suggerire il ricorrente, ma sotto un profilo soggettivo, valutando cioè l’effetto concreto che l’evento, o la serie di eventi, traumatici ha causato sulla persona del richiedente e le conseguenze che ha portato sulla sua vita di relazione. E’ dunque onere del richiedente dimostrare, in concreto, la sussistenza della sua vulnerabilità, e sotto questo profilo la censura in esame difetta di specificità, in quanto il M. non allega alcuna condizione soggettiva determinata idonea a giustificare il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Nulla per le spese, in assenza di svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero dell’Interno intimato nel presente giudizio di legittimità.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile, il 8 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 agosto 2020

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