Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17255 del 13/07/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 13/07/2017, (ud. 26/01/2017, dep.13/07/2017),  n. 17255

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24948-2012 proposto da:

V.M.A., V.E.M. quali Soci della Soc.

F.LLI VISMARA SNC, EDOMAR DI V.E. E V.M. SNC in

persona dei Soci e legali rappresentanti pro tempore, elettivamente

domiciliati in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la cancelleria della CORTE

DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli Avvocati PAOLO MARIA

CAPE’, OLIVIERO MAZZA giusta delega a margine;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI MONZA E BRIANZA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 40/2012 della COMM.TRIB.REG. della Lombardia,

depositata il 16/03/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/01/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO FRANCESCO ESPOSITO;

udito per i ricorrenti l’Avvocato CAPE’ che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato BACHETTI che si riporta e

chiede il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO RICCARDO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La C.T.P. di Milano, con tre distinte sentenze, respinse i ricorsi proposti dalla F.lli V. s.n.c. di V.M. & C. (ora EDOMAR s.n.c. di V.E.M. e V.M.A.) e dai soci V.M.A. ed V.E.M. (ciascuno titolare del 50% delle quote sociali) avverso gli avvisi di accertamento notificati dall’Agenzia delle Entrate – Ufficio Monza (OMISSIS) -, rispettivamente per IRAP ed IVA (quanto alla s.n.c.) e per IRPEF (quanto ai singoli soci, per reddito da partecipazione), in.relazione all’anno d’imposta 2005. Gli avvisi di accertamento traevano origine da una indagine della Guardia di Finanza di Cremona nei confronti di imprese operanti nel settore dei metalli ferrosi e, segnatamente, della Si.Co.Met. s.r.l., nel corso della quale era emersa l’emissione da parte di detta società di fatture relative a forniture inesistenti (anche) nei confronti della F.lli V. s.n.c.

2. Gli appelli proposti dalla società e dai due soci, previa riunione, sono stati rigettati dalla C.T.R. della Lombardia, con sentenza n. 40/42/12, sul rilievo che gli elementi addotti dai contribuenti non erano idonei a vincere le presunzioni gravi, precise e concordanti poste a base degli avvisi di accertamento impugnati.

3. Avverso detta pronuncia la società e i due soci propongono ricorso per cassazione, sulla base di due motivi.

4. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso i contribuenti denunciano violazione o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, commi 2 e 3 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56 (art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5).

Deducono i ricorrenti che la natura asseritamente fittizia delle vendite di metalli operate dalla Si.Co.Met. s.r.l. in favore della F.lli V. s.n.c. si fondava su un unico elemento indiziario rappresentato dai c.d. “scadenziari”, e cioè registri extracontabili manoscritti dagli amministratori della Si.Co.Met. s.r.l. riportanti l’indicazione cronologica delle fatture relative ad operazioni asseritamente inesistenti. Detti documenti, richiamati nell’avviso di accertamento, non erano stati, tuttavia, allegati all’atto impositivo, nè al processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza, nonostante le enunciate disposizioni di legge prevedessero tale adempimento a pena di nullità. La dedotta circostanza, inoltre, pur decisiva per il giudizio, non era stata esaminata nella sentenza impugnata.

Il motivo è infondato.

Premesso che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 consente la motivazione per relationem dell’avviso di accertamento mediante richiamo ad un altro atto, purchè questo sia conosciuto dal contribuente o ne sia riprodotto il contenuto essenziale, si osserva come le censure mosse dai ricorrenti siano rivolte – nella sostanza – nei confronti dell’avviso di accertamento e non della sentenza impugnata, la quale, con congrua ed adeguata motivazione, ha rilevato (pag. 6) che il processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza era ben noto alla società ricorrente, “essendole stato notificato prima della notifica dell’avviso di accertamento (come in tale atto ben sottolineato), e riporta l’elencazione analitica delle fatture che si assumono relative ad operazioni oggettivamente inesistenti emesse nell’anno d’imposta in questione da Si.Co.Met. nei confronti della F.lli V., sicchè deve escludersi che fosse necessario riprodurre lo stesso elenco di fatture anche nell’avviso di accertamento (o allegare a tale atto il richiamato p.v.c.)”. Nel suddetto p.v.c. sono stati riprodotti gli elementi essenziali tratti dai c.d. “scadenziari”, manoscritti dagli amministratori della società, riportanti, come osservato in sentenza (pag. 7), “l’indicazione delle fatture” oggetto di contestazione, la “denominazione della società cliente” (nei cui confronti ciascuna fattura era stata emessa), “l’ammontare dell’importo da restituire alla stessa società cliente, solitamente pari all’imponibile dell’operazione… decurtato di una percentuale (parimenti evidenziata negli “scadenziari”) variabile dall’1 al 4% dell’imponibile stesso”.

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5).

Anche tali doglianze sono infondate.

I ricorrenti ripropongono sotto il diverso profilo della violazione dell’onere probatorio la questione inerente la mancata allegazione degli “scadenziari”, sostenendo che l’Amministrazione finanziaria non avrebbe provato il fatto costitutivo della pretesa, e cioè che le fatture fossero relative ad operazioni oggettivamente inesistenti.

Deducono inoltre che la C.T.R. avrebbe erroneamente ritenuto che le bolle di consegna della merce acquistata ed i pagamenti effettuati in relazione alle fatture oggetto di contestazione non costituissero prova della natura reale e non fittizia delle operazioni stante la asserita mancanza di riscontri di magazzino, pur non avendo la Guardia di Finanza controllato il magazzino medesimo.

Nel richiamare le argomentazioni svolte dalla C.T.R. in merito alla valenza probatoria dei c.d. “scadenziari”, va rilevato come le censure svolte dai ricorrenti tendano, nella sostanza, ad una rivisitazione del merito della controversia, a fronte dell’accertamento in fatto operato dal giudice di appello, considerato inoltre che le fatture per operazioni inesistenti si presentano formalmente corrette, anche con riferimento ai pagamenti in esse riportati.

3. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo,

seguono la soccombenza.

PQM

 

rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2017

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