Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17253 del 18/08/2020

Cassazione civile sez. I, 18/08/2020, (ud. 08/07/2020, dep. 18/08/2020), n.17253

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35360/2018 proposto da:

N.A., rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLA MADDALENA

FERRARI, e domiciliato presso la cancelleria della Corte di

Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2034/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 26/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/07/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il ricorrente, cittadino ghanese, proponeva ricorso avverso il provvedimento di diniego emesso dalla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano. Con ordinanza del 26.4.2017 il Tribunale di Milano rigettava il ricorso. Interponeva appello N.A. la Corte di Appello di Milano, con la sentenza impugnata, n. 2634/2018, rigettava il gravame.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione N.A.n affidandosi a quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto la sua storia personale non idonea ai fini del riconoscimento della protezione internazionale, in quanto la persecuzione lamentata non proveniva dall’autorità statale.

La censura è fondata. Il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, prevede infatti testualmente che “Ai fini della valutazione della domanda di protezione internazionale, i responsabili della persecuzione o del danno grave sono:

a) lo Stato;

b) i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio;

c) soggetti non statuali, se i responsabili di cui alle lettere a) e b), comprese le organizzazioni internazionali, non possono o non vogliono fornire protezione, ai sensi dell’art. 6, comma 2, contro persecuzioni o danni gravi”.

La Corte di Appello ha ritenuto che “… le ragioni della fuga di N., vale a dire i rischi connessi alla partecipazione del medesimo, in quanto primogenito, al conflitto con la tribù dei (OMISSIS), esulano chiaramente dall’ambito applicativo della normativa sullo status di rifugiato che presuppone che gli atti persecutori per uno dei motivi indicati tassativamente nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, (razza, religione, nazionalità, gruppo sociale, opinioni politiche) siano posti in essere dalle autorità statali” (cfr. pag.3 della sentenza impugnata). Tale affermazione si pone in aperto contrasto con la disposizione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, che invece annovera, tra i soggetti potenzialmente responsabili di trattamenti persecutori idonei a giustificare il riconoscimento dello status di rifugiato, anche entità diverse dallo Stato. La ratio della disposizione è quella di ricomprendere anche le persecuzioni perpetrate da soggetti non statali, che tuttavia controllino in tutto o in parte lo Stato o il suo territorio, o che comunque agiscano nell’inerzia dello Stato o delle organizzazioni internazionali, e quindi in un contesto in cui questi ultimi non possano o non vogliano assicurare protezione ai civili residenti nel contesto territoriale interessato ai fenomeni di che trattasi.

Nel caso specifico, quindi, la Corte di Appello avrebbe dovuto valutare, in concreto, se lo scontro tribale denunciato dal N. fosse, o meno, idoneo ad essere ricompreso nell’ambito dei contesti cui si riferisce il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, ed in caso affermativo avrebbe dovuto procedere ad esaminare se gli atti persecutori integrassero, o meno, gli estremi di cui al medesimo D.Lgs. n. 251 del 2007, successivi artt. 7 ed 8. L’errore di diritto in cui è incorso il giudice ambrosiano è quindi stato quello di limitare, in modo arbitrario, il novero degli atti persecutori rilevanti ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato ai soli atti posti in essere dalle autorità statali, omettendo in tal modo la verifica in concreto dell’idoneità della storia personale del richiedente.

L’accoglimento, nei termini indicati, del primo motivo implica l’assorbimento degli altri, con i quali il ricorrente lamenta, rispettivamente: con il secondo, la violazione dei criteri di valutazione della storia personale, previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, e l’omessa attivazione dei poteri di verifica d’ufficio sul contesto del Paese di origine; con il terzo, il mancato riconoscimento di una situazione di violenza generalizzata in Ghana; con il quarto, l’omessa concessione della tutela umanitaria.

In definitiva, va accolto il primo motivo e vanno dichiarati assorbiti gli altri. La sentenza impugnata va di conseguenza cassata in relazione alla censura accolta e la causa va rinviata alla Corte di Appello di Milano, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Milano, in differente composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile, il 8 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 agosto 2020

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