Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17252 del 17/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 17/06/2021, (ud. 04/02/2021, dep. 17/06/2021), n.17252

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. FILOCAMO Fulvio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9316-2016 proposto da:

R.F., elettivamente domiciliato in ROMA, Piazza Cavour,

presso la cancelleria della Corte di Cassazione rappresentato e

difeso dagli avvocati NICOLA TODARO e SALVATORE CATANIA;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, SEDE CENTRALE (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 529/2015 della COMM. TRIB. REG. SICILIA SEZ.

DIST. di MESSINA, depositata il 12/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

04/02/2021 dal Consigliere Dott. ANTONIO MONDINI.

 

Fatto

PREMESSO

che:

1. R.F., lamentando violazione dell’art. 395 c.p.c., n. 4, ricorre per la cassazione della sentenza in epigrafe con la quale la CTR della Sicilia, in causa relativa alla legittimità del diniego di rimborso avanzata da esso ricorrente riguardo all’imposta sul patrimonio netto delle imprese degli anni 1996 e 1997, ha dichiarato inammissibile l’impugnazione dal medesimo proposta ai sensi del suddetto articolo per far valere che la pronuncia impugnata (n. 128 del 21 gennaio 2008) aveva negato l’avvenuta produzione in appello di determinati documenti in realtà prodotti. La CTR a motivo della dichiarazione di inammissibilità ha osservato che tale pronuncia “non ha disconosciuto, come sostiene il ricorrente, l’esistenza di una nuova documentazione… ma ha ritenuto che questa ulteriore documentazione non fosse probante… (fosse) non pertinente al giudizio”;

2. il ricorrente aggiunge che, con sentenza 17 aprile 2012, n. 70, passata in giudicato, è stata decisa a suo favore “vicenda analoga” a quella oggetto del presente giudizio, avente ad oggetto il rimborso dell’imposta sul patrimonio netto delle imprese versata per l’anno 1994 in riferimento ad attività ritenuta in detta sentenza “occasionale e non imprenditoriale”. Invoca l'”efficacia di giudicato esterno di detta sentenza sul procedimento in essere” e sottolinea di non aver potuto invocarla davanti alla CTR, giudice della revocazione, trattandosi di elemento nuovo, non appartenuto alla fase del processo definita con la sentenza oggetto di revocazione (la citata sentenza n. 128 del 2008);

3. l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. va premesso che nessun rilevo può annettersi alla pronuncia 17 aprile 2012, n. 70. A prescindere da ogni considerazione circa l’effettiva identità del presupposto fattuale tra tale decisione e quella su cui è intervenuta la sentenza oggetto del giudizio di revocazione, se certamente, come sostiene il ricorrente richiamando un passaggio della sentenza di questa Corte n. 25357 del 2007, non è possibile addurre come causa di revocazione ex art. 395 c.p.c., comma 4, il contrasto tra una pronuncia e quanto risultante da altra pronuncia, passata in giudicato, ad essa sopravvenuta, tuttavia, quest’ultima pronuncia deve essere portata all’attenzione del giudice della revocazione che è potenzialmente anche giudice del merito (art. 402 c.p.c.) – il che nel caso di specie non è avvenuto – e non può, altrimenti, essere prodotta nel giudizio di cassazione stante la preclusione di cui all’art. 372 c.p.c.. Con riferimento a tale preclusione merita ricordare che le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza 26 giugno 2016, n. 13916, hanno affermato: “Nel giudizio di cassazione, l’esistenza del giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d’ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata. Si tratta infatti di un elemento che non può essere incluso nel fatto, in quanto, pur non identificandosi con gli elementi normativi astratti, è ad essi assimilabile, essendo destinato a fissare la regola del caso concreto, e partecipando quindi della natura dei comandi giuridici, la cui interpretazione non si esaurisce in un giudizio di mero fatto. Il suo accertamento, pertanto, non costituisce patrimonio esclusivo delle parti, ma, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, conformemente al principio del “ne bis in idem”, corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo, e consistente nell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la stabilità della decisione. Tale garanzia di stabilità, collegata all’attuazione dei principi costituzionali del giusto processo e della ragionevole durata, i quali escludono la legittimità di soluzioni interpretative volte a conferire rilievo a formalismi non giustificati da effettive e concrete garanzie difensive, non trova ostacolo nel divieto posto dall’art. 372 c.p.c., il quale, riferendosi esclusivamente ai documenti che avrebbero potuto essere prodotti nel giudizio di merito, non si estende a quelli attestanti la successiva formazione del giudicato; questi ultimi, d’altronde, comprovando la sopravvenuta formazione di una “regula iuris” alla quale il giudice ha il dovere di conformarsi in relazione al caso concreto, attengono ad una circostanza che incide sullo stesso interesse delle parti alla decisione, e sono quindi riconducibili alla categoria dei documenti riguardanti l’ammissibilità del ricorso. La produzione di tali documenti può aver luogo unitamente al ricorso per cassazione, se si tratta di giudicato formatosi in pendenza del termine per l’impugnazione, ovvero, nel caso di formazione successiva alla notifica del ricorso, fino all’udienza di discussione prima dell’inizio della relazione”;

2. il ricorso è infondato. L’affermazione sopra riportata, posta a motivo della sentenza impugnata, lungi dal violare l’art. 395 c.p.c., n. 4, ne costituisce letterale applicazione. La disposizione recita: può essere impugnata per revocazione la sentenza che sia “l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare”. La CTR ha osservato che nel caso sottoposto al suo esame non vi era stata l’erronea supposizione dell’inesistenza di un fatto -l’avvenuta produzione (a fini probatori) di documenti – ma vi era stata l’affermazione dell’esistenza di quel fatto e la relativa valutazione (come fatto ininfluente per esser la documentazione “non probante… non pertinente”);

7. il ricorso deve essere pertanto rigettato;

8. le spese seguono la soccombenza;

9. al rigetto del ricorso consegue, ai sensi del testo unico approvato con il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), l’obbligo, a carico del ricorrente, di pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, a norma dello stesso articolo, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

la Corte rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente a rifondere alla Agenzia delle Entrate le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4000,00, oltre spese prenotate a debito;

ai sensi del testo unico, art. 13, comma 1-quater, approvato con il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, a carico del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio svolta con modalità da remoto, il 4 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2021

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