Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17250 del 18/08/2020

Cassazione civile sez. I, 18/08/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 18/08/2020), n.17250

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12784/2019 proposto da:

B.R., elettivamente domiciliato in Roma, alla Via Alberico

II n. 4, presso lo studio dell’avvocato Mario Antonio Angelelli, che

lo rappresenta e difende in forza di procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro

pro-tempore, rappresentato e difeso, ex lege, dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso i cui Uffici in Roma, alla Via dei

Portoghesi n. 12, è domiciliato;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 5540/2019 del TRIBUNALE di ROMA, depositato il

7/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/06/2020 dal Consigliere Dottoressa IRENE SCORDAMAGLIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con il decreto impugnato, il Tribunale di Roma ha respinto il ricorso proposto da B.R., cittadino nigeriano proveniente dall’Edo State, città di Benin City, avverso il provvedimento reiettivo della domanda di protezione internazionale – nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria emesso dalla competente Commissione Territoriale.

A ragione della decisione, il Tribunale ha argomentato: quanto al diniego del riconoscimento dello status di rifugiato ovvero della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), che il racconto del richiedente, in riferimento al pericolo di essere vittima di persecuzioni nel proprio Paese di origine o di rimanere esposto ad una grave minaccia per mano degli Ogboni – setta dominante in Nigeria, della quale era stato adepto il padre ed a cui egli aveva rifiutato di aderire – era inattendibile, e, in riferimento al pericolo di subire un trattamento inumano da parte delle Autorità Nigeriane in conseguenza dell’asserito omicidio commesso per legittima difesa, era in contrasto con le risultanze della comunicazione della Questura di Roma del 4/07/2018, che aveva attestato che il richiedente aveva ritenuto di avvalersi dell’assistenza del paese da lui indicato come persecutore, ottenendo carta consolare dell’Ambasciata della Nigeria in Italia; quanto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251, ex art. 14, lett. c), ha rilevato che, secondo le più aggiornate e qualificate fonti di informazione compulsate, nell’Edo State, regione di provenienza dell’istante, non era presente una situazione di conflitto armato interno, suscettibile di generare un clima di violenza generalizzata, tale da esporre ad un danno grave la vita di chiunque vi si fosse trovato. Nulla, inoltre, era stato allegato dal richiedente in ordine ad una sua specifica situazione di vulnerabilità ovvero ad una sua effettiva integrazione in Italia, in funzione di una revisione del diniego della protezione umanitaria.

2. Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di B.R. è affidato a quattro motivi, di seguito dettagliatamente illustrati.

3. L’intimata Amministrazione dell’Interno si è difesa con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è denunciata la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5, e degli D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e art. 27, per non essersi il Tribunale attenuto, nella valutazione delle dichiarazioni del richiedente protezione, al protocollo procedimentale delineato dal menzionato D.Lgs. n. 251 del 2008, art. 3, che impone al giudice, in ossequio al principio di collaborazione istruttoria, di valutare le dichiarazioni del richiedente alla luce delle informazioni generali e specifiche pertinenti al caso, riguardanti il Paese di origine del richiedente.

Le argomentazioni cui esso è affidato sono generiche, perchè non aggrediscono la ratio decidendi posta a sostegno del diniego della reclamata protezione internazionale, nelle forme del rifugio politico, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 7 e 8, e della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b),: cioè non solo l’incoerenza e l’implausibilità delle dichiarazioni del richiedente, ma anche la loro contraddittorietà con le informazioni officiosamente attinte dal Tribunale sul conto degli Ogboni, quale setta ad acceso elitario e volontario, e, come tale, non compatibile con il tentativo di reclutamento coercitivo descritto dal richiedente, peraltro costituita essenzialmente da persone di etnia Yoruba (come da fonti espressamente citate), differentemente da quanto dichiarato dall’istante, definitosi appartenente all’etnia Benin.

Si tratta di valutazione non sindacabile in questa sede al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Sez. 1 -, n. 21142 del 07/08/2019; Rv. 654674; Sez. 1 -, n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549): norma, questa, neppure evocata dal ricorrente.

Generico è il rilievo in punto di diniego della protezione sussidiaria in riferimento al pericolo di subire un trattamento inumano da parte delle Autorità Nigeriane in conseguenza dell’asserito omicidio commesso per legittima difesa, perchè articolato in difetto di confronto critico con il decisivo passaggio argomentativo in cui il Tribunale aveva ritenuto contraddittorio il timore paventato dall’istante con l’assistenza chiesta ed ottenuta dal proprio Paese di origine, indicato come responsabile di trattamenti persecutori ed inumani, comprovata dalla comunicazione della Questura di Roma del 4/07/2018, versata in atti.

2. Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è denunciata la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), per avere il Tribunale fatto erronea applicazione della norma indicata in riferimento ai parametri interpretativi della stessa.

Il motivo è inammissibile.

Il Tribunale, citate le molteplici ed aggiornate fonti qualificate compulsate, riguardanti la situazione dell’Edo State, ricompreso nella regione del Delta State, ha evidenziato come queste non dessero conto di veri e propri conflitti in atto, bensì esclusivamente di alcuni atti di violenza, consistiti, per lo più, in sabotaggi degli impianti petroliferi, come tali non in grado di esporre a pericolo la generalità della popolazione della regione e, comunque, non la vita o l’incolumità del richiedente, che nulla di specifico aveva allegato in ordine ad una sua peculiare condizione di coinvolgimento o esposizione ai menzionati, isolati, atti di violenza.

Donde, pur dietro la formale prospettazione di un vizio di violazione di legge, il ricorrente articola rilievi, peraltro, del tutto generici, rivolti al merito della decisione impugnata.

3. Il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19, sul rilievo che il Tribunale avrebbe omesso l’esame della domanda di protezione umanitaria, non avrebbe operato il collegamento tra la situazione personale del richiedente e la situazione del Paese di origine.

Il motivo è inammissibile.

Il Tribunale, attenendosi all’indicazione nomofilattica – che oggi ha ricevuto l’autorevole avallo delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 – 02) – secondo la quale, in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Sez. 1-, n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298), ha evidenziato come non fossero state offerte dall’istante specifiche allegazioni in ordine ad una condizione di vulnerabilità personale, tanto non consentendo di procedere alla richiesta comparazione tra le sue condizioni nel nostro paese con quelle del paese di provenienza. Si tratta di affermazione, per quanto osservato, corretta in diritto, con la quale i rilievi censori non si sono affatto confrontati.

Generici sono i rilievi in punto di asserita violazione dei diritti umani subiti durante la carcerazioni in Libia, ivi avendo lo stesso ricorrente escluso di essere stato sottoposto a maltrattamenti, e quelli in punto di violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, non sussistendo fondati motivi per ritenere che egli possa essere sottoposto a tortura nel Paese di origine, avendo chiesto ed ottenuto – con accertamento da lui non contestato – l’assistenza del paese indicato come persecutore.

4. Il quarto motiva denuncia la violazione dell’art. 10 Cost., in riferimento al diniego del riconoscimento, comunque, del diritto di asilo al richiedente.

Il motivo è inammissibile.

E’ jus receptum che il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo “status” di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, ed al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, cosicchè non v’è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3, (Sez. 6 – 1, n. 11110 del 19/04/2019, Rv. 653482; Sez. 6 – 1, n. 16362 del 04/08/2016, Rv. 641324).

5. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza. Doppio contributo se dovuto.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che liquida in Euro 2.100,00, oltre alle spese prenotate a debito. Il doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dovrà essere versato ove ne ricorrano i presupposti.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 agosto 2020

 

 

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