Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17250 del 12/07/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 17250 Anno 2013
Presidente: CIRILLO ETTORE
Relatore: PERRINO ANGELINA MARIA

SENTENZA
sul ricorso iscritto al numero 22691 del ruolo generale
dell’anno 2008, proposto
da
Gestioni Commerciali Bassanello s.r.1., in persona
del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e
difeso, giusta mandato a margine del ricorso, daravv.
Umberto Santi, col quale domicilia in Roma, alla via
Benaco, n. 5, presso lo studio dell’avv. Maria Chiara
Morabito
ricorrentecontro
Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro
tempore,

rappresentato e difeso

ope legis

dall’avvocatura dello Stato, presso gli uffici della

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Angelina4aarrino estensore

Data pubblicazione: 12/07/2013

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quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, domicilia;
-controricorrente
nonché contro
Agenzia delle entrate, ufficio di Padova 2, in persona del direttore pro tempore
-intimataper la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del

Veneto, sezione 27°, depositata in data 18 giugno 2007, numero 9/2007;
udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data 4 giugno 2013
dal consigliere Angelina-Maria Penino;
udito per la società l’avv. Umberto Santi;
udito il pubblico ministero in persona del sostituto procuratore generale Federico
Sorrentino, che ha concluso per il rigetto del ricorso
Fatto
Con due separati avvisi di accertamento, rispettivamente relativi agli anni
d’imposta 1998 e 1999, l’ufficio, quanto al 1998 recuperò a tassazione:
-il corrispettivo di lire 30milioni, corrispondente ad un canone di locazione
non contabilizzato relativo ad un’unità immobiliare ad uso commerciale
occupata dalla Monichi assicurazioni;
-ricavi non contabilizzati per lire 79.236.338, considerati corrispettivi non
registrati, per lire 48.000.000, ritenuti inerenti a provvigioni non fatturate e per
lire 348.171.800, utilizzati per pagamenti in favore di società facenti capo
all’amministratore unico Pietro Monichi, senza documentazione di costi.
Quanto al 1999, l’ufficio riprese a tassazione la somma di lire 30milioni a
titolo di canone di locazione di un immobile commerciale, condotto in locazione
dall’imprenditore individuale Pietro Monichi.
A seguito d’impugnazione dei due avvisi, la Commissione tributaria
provinciale accolse il ricorso limitatamente alla ripresa a tassazione della somma
di lire 48milioni, relativa a dodici versamenti di 4milioni cadauno, ritenendo che

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Angelina Mari

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fossero riconducibili ad una fattura complessiva, regolarmente contabilizzata, di
pari importo.
Dal canto suo, la Commissione tributaria regionale, oltre a confermare
l’annullamento della pretesa impositiva concernente la somma di lire 48milioni,
ha altresì annullato le pretese impositive di lire 79.263.338 e di lire 120milioni,
considerando giustificata, quanto alla prima, la ricostruzione della società, che

ha fatto al riguardo riferimento ad un mero giro contabile, con passaggio, nei
conti correnti della società, di denaro ad essa non riferibile e considerando,
quanto alla seconda, provati sia il destinatario dei prelievi, sia la causale dei
versamenti.
La Commissione ha, invece, respinto nel resto il ricorso, affermando la
carenza della prova che si tratti di somme riferibili ad altre gestioni e ritenendo
che l’utilizzo dei locali in relazione al quale era stato pattuito il corrispettivo di
lire 30milioni fosse da qualificare come locazione e non già come comodato.
Ricorre la società per ottenere la cassazione della sentenza, affidando il
ricorso a due motivi, che illustra con memoria depositata a norma dell’articolo
378 del codice di procedura civile.
Replica l’Agenzia delle entrate, sede centrale, con controricorso.
Diritto
/.

Col primo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360, 10 comma,

numero 3, c.p.c., la società censura la violazione e falsa applicazione
dell’articolo 32, 1 0 comma, numero 2, del decreto del Presidente della
Repubblica 29 settembre 1973, numero 600, ritenendo che la presunzione di
ricavi da esso stabilita con riferimento ai prelievi sia suscettibile di prova
contraria mediante l’indicazione dei rispettivi beneficiari; beneficiari che, nel
caso in esame, sono stati indicati dalla società contribuente e addirittura
dall’avviso di accertamento. Formula dunque il seguente principio di diritto:
<>.
Prospetta, in subordine, questione d’illegittimità costituzionale della norma,
per contrasto con l’articolo 53 della Costituzione.
In definitiva, secondo la società, per evitare l’operatività della presunzione

stabilita dall’articolo 32, 10 comma, numero 2, sarebbe sufficiente la mera
indicazione dei destinatari dei prelievi.

1.1.- Il motivo è infondato e va in conseguenza respinto.
È consolidato l’orientamento della Corte secondo cui, in tema di
accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del
reddito di impresa, l’articolo 32 del decreto del Presidente della Repubblica
numero 600/1973 impone di considerare ricavi sia i prelevamenti, sia i
versamenti su conto corrente, salvo che il contribuente non provi che i
versamenti sono registrati in contabilità e che i prelevamenti sono serviti per
pagare determinati beneficiari, anziché costituire acquisizione di utili.
In particolare, precisa la Corte, posto che, in materia, sussiste inversione
dell’onere della prova, alla presunzione di legge (relativa) non può essere
contrapposta una mera affermazione di carattere generale, pur potendo il
contribuente fornire la prova contraria anche attraverso presunzioni semplici, da
sottoporre comunque ad attenta verifica da parte del giudice, il quale è tenuto a
individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando
ogni indizio (purché grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari
contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e
nel contesto complessivo, senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche,
sommarie o cumulative (Cass. 30 novembre 2011, n. 25502; per la tesi più
rigorosa, secondo cui il contribuente nel fornire la prova contraria, non può
ricorrere a presunzioni, vedi Cass., ord. 24 luglio 2012, n. 13035; Cass. 6 ottobre

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2010, n. 20735; Cass. 5 dicembre 2007, n. 25365; discorre di onere della prova
del contribuente anche Cass. 26 febbraio 2009, n. 4589).
1.2.-Né argomenti contrari si possono trarre dalla sentenza della Consulta
dell’8 giugno 2005, numero 225, la quale ha comunque correlato all’indicazione
dei beneficiari dei prelievi l’onere della prova contraria gravante sul
contribuente: l’indicazione dei beneficiari va dunque a circoscrivere il perimetro

della prova, in caso di specifica contestazione dell’ufficio, giacché, se l’onere si
risolvesse nella mera indicazione, non di prova si tratterebbe, sibbene di mera
allegazione.
1.3.-Ha ulteriormente precisato al riguardo questa Corte che, soltanto dopo
che il contribuente abbia esaurientemente ottemperato alla richiesta di
chiarimenti, grava sull’Amministrazione finanziaria l’onere di contestarne in
modo specifico la completezza, la veridicità, l’idoneità probatoria, la
qualificazione giuridica del fatto rappresentato e, più in generale, la correttezza
in termini di effettiva deducibilità dei costi documentati. E dopo l’adempimento
di tale onere di contestazione, può sorgere, in capo al contribuente, l’onere di
provare le circostanze di fatto rilevanti per smentire le contestazioni dell’ufficio
(Cass. 5 maggio 2011, n. 9892).
1.4.-Ne risulta, quindi, la manifesta infondatezza del dubbio di legittimità
costituzionale della norma, già di recente affermata da questa Corte (con
ordinanza del 24 luglio 2012, n. 16036).
2.-Col secondo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360, 1° comma,
numero 4, c.p.c., la società si duole dell’omessa pronuncia su motivo proposto in
appello, riguardante segnatamente la rilevanza probatoria della mancata
deduzione del costo da parte del presunto affittuario, essendosi limitata la
sentenza impugnata ad affermare genericamente l’esistenza di un rapporto di
locazione.
2. 1.-11 motivo è infondato e va in conseguenza respinto.

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Questa Corte ha già avuto occasione di rimarcare che, ad integrare gli
estremi di questo vizio, non basta la mancanza di un’espressa statuizione del
giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento
che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica
quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla
parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo

ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col
capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con
l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. civ., 4 ottobre 2011, n.
20311). In particolare, si è precisato (Cass. civ., 14 marzo 2006, n. 5444), la
differenza fra l’omessa pronuncia di cui all’art. 112 c.p.c. e l’omessa
motivazione su un punto decisivo della controversia di cui al n. 5, art. 360 c.p.c.
si coglie nel senso che, nella prima, l’omesso esame concerne direttamente una
domanda od un’eccezione introdotta in causa (e, quindi, nel caso del motivo
d’appello, uno dei fatti costitutivi della (

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