Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17249 del 17/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 17/06/2021, (ud. 28/01/2021, dep. 17/06/2021), n.17249

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 100 del ruolo generale dell’anno 2015,

proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

T. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore e

T.A., in proprio e quale legale rappresentante della

suddetta società, rappresentati e difesi, giusta procura speciale a

margine del controricorso, dall’avv.to Franco Tomassini,

elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv.to Andrea

Tomassimi, in Roma, Via Buccari n. 11;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Lazio, sezione staccata di Latina, n. 2937/39/14,

depositata in data 8 maggio 2014, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28 gennaio 2021 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati

Viscido di Nocera.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– con sentenza n. 2937/39/14, depositata in data 8 maggio 2014, non notificata, la Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione staccata di Latina, accoglieva l’appello proposto da T. s.r.l. in persona del legale rappresentante pro tempore T.A., nei confronti dell’Agenzia delle entrate, avverso la sentenza n. 57/4/2011, della Commissione tributaria provinciale di Latina che, previa riunione, aveva rigettato i ricorsi proposti dalla suddetta società, esercente attività edilizia, avverso: a) l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) con il quale, previo p.v.c., l’Ufficio aveva recuperato a tassazione, per il 2004, ai fini Ires, Irap e Iva, maggiori ricavi, in base alle relazioni istruttorie presentate agli istituti di credito e per omessa fatturazione di somme percepite a titolo di acconto nonchè costi di esercizio ritenuti indeducibili relativi agli interessi passivi derivanti da finanziamenti; b) la cartella di pagamento n. (OMISSIS) emessa in conseguenza del suddetto presupposto atto impositivo;

– la CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che: 1) era fondato il motivo di gravame relativo all’assunta nullità della sentenza di primo grado per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, in quanto la motivazione della sentenza era carente, incongruente e contraddittoria, avendo la CTP affermato, da un lato, che all’Amministrazione era inibito un accertamento induttivo per avere la società aderito, per gli anni 2003-2004, al concordato biennale, e dall’altro, che la ricostruzione del maggiore reddito, basata su una perizia di stima, costituiva una tipologia di accertamento analitico; 2) diversamente, la ricostruzione del maggior reddito su una perizia di stima configurava una tipologia di accertamento induttivo, non consentito in presenza di un concordato biennale; 3) in particolare, le perizie di stima erano delle mere dichiarazioni di parte, riguardanti un rapporto (tra la banca e l’acquirente) estraneo a quello tra venditore e compratore, e consentivano la erogazione del finanziamento in favore dell’acquirente dell’immobile per un importo non necessariamente corrispondente al prezzo di vendita, per cui il valore dell’immobile periziato non costituiva l’effettivo guadagno della società venditrice; 4) a sostegno della illegittimità dell’avviso di accertamento soccorreva anche la sentenza penale di assoluzione del legale rappresentante della società, nella quale si era dato atto che “a fronte dei contratti preliminari prodotti dalla difesa per la maggior parte degli acquirenti risultava che, in diversi casi, il mutuo richiesto era di gran lunga inferiore rispetto al valore degli immobili”; 5) per i suddetti motivi ne derivava l’illegittimità dell’accertamento anche perchè la ricostruzione operata dall’Ufficio non era analitica ma induttiva; 6) inoltre, non ricorrevano i presupposti della irretroattività, per cui, in riforma della sentenza di primo grado, andavano annullati, per i suddetti motivi, l’avviso di accertamento e la conseguente cartella esattoriale;

– avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a un motivo cui ha resistito, con controricorso, T. s.r.l. e T.A. in proprio e nella qualità di legale rappresentante della società contribuente;

– il ricorso è stato fissato in Camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2 e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con l’unico motivo di ricorso, l’Agenzia denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, per avere la CTR annullato l’avviso di accertamento (non essendo oggetto di impugnativa la statuizione del giudice di appello sulla cartella), con una motivazione apparente, ponendo a fondamento della decisione – con riferimento al rilievo di natura “analitica” dell’Amministrazione relativo agli asseriti maggiori ricavi, in base alle relazioni istruttorie concernenti i finanziamenti richiesti alla banca dalla contribuente – elementi estranei alla contestazione quali le perizie di stima relative ai mutui richiesti dagli acquirenti degli immobili e omettendo, del tutto, la motivazione con riguardo agli altri rilievi di tipo ugualmente “analitico” relativi alla assunta omessa fatturazione di acconti ricevuti, in relazione alla vendita di immobili, e alla ritenuta indeducibilità di interessi passivi derivanti da finanziamenti;

– va preliminarmente disattesa la eccezione – genericamente formulata – di inammissibilità del ricorso per cassazione, per essere passata in giudicato la sentenza di appello relativamente alla cartella di pagamento e per avere la CTR deciso nel merito ritenendo l’accertamento espletato dall’Ufficio di tipo induttivo e, dunque, illegittimo in presenza dell’adesione al condono fiscale, per gli anni 2003-2004; invero, come chiarito dalla stessa Agenzia, il ricorso per cassazione non investe la statuizione del giudice di appello sulla cartella che, dunque, esula dal presente giudizio; quanto, alla pronuncia della CTR sul merito della controversia, il ricorso, lungi dall’implicare una rivisitazione di un apprezzamento di fatto, denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, un vizio di nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36;

– il motivo è fondato;

– va precisato, in particolare, che costituisce ius receptum (in termini, Cass. n. 2876 del 2017) il principio secondo cui il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111 Cost., comma 6), e cioè dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (in materia di processo civile ordinario) e dell’omologo D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata; invero, l’obbligo del giudice “di specificare le ragioni del suo convincimento”, quale “elemento essenziale di ogni decisione di carattere giurisdizionale” è affermazione che ha origine lontane nella giurisprudenza di questa Corte e precisamente alla sentenza delle Sezioni unite n. 1093 del 1947, in cui la Corte precisò che “l’omissione di qualsiasi motivazione in fatto e in diritto costituisce una violazione di legge di particolare gravità” e che “le decisioni di carattere giurisdizionale senza motivazione alcuna sono da considerarsi come non esistenti”. Pertanto, la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico (che sembra potersi ritenere mera ipotesi di scuola) o quelle che presentano un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e che presentano una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (cfr. Cass. S.U. n. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 21257 del 2014), ma anche quelle che contengono una motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perchè dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire “di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato” (cfr. Cass. n. 4448 del 2014), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un “ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo”, logico e consequenziale, “a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi” (Cass. cit.; v. anche Cass., Sez. un., n. 22232 del 2016 e la giurisprudenza ivi richiamata; v. da ultimo Cass. 22949 del 2018). Come da ultimo precisato da questa Corte, “ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento” (Cass. n. 9105 del 07/04/2017; Cass. n. 25456 del 2018);

– nella specie, a fronte di un avviso di accertamento con il quale erano stati contestati: 1) maggiori ricavi in base alle relazioni tecnico-estimative concernenti la pratica dei finanziamenti bancari richiesti dalla contribuente; 2) l’omessa fatturazione di acconti ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, comma 4; 3) l’indebita detrazione di costi di esercizio quali gli interessi passivi derivanti da finanziamenti rientranti nella previsione dell’art. 98 TUIR (pagg. 9-11 del ricorso) e, a fronte delle censure formulate dalla contribuente nei gradi di merito concernenti – come si evince dalla sentenza impugnata – l’assunto carattere “non analitico” del rilievo n. 1) fondato sulle perizie di stima, precluso all’Amministrazione stante il concordato preventivo biennale al quale aveva aderito la società per gli anni 2003-2004, la inapplicabilità, quanto al rilievo n. 2), del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, per essere state le somme percepite a titolo di caparra o deposito e la inapplicabilità, quanto al rilievo n. 3), dell’art. 98 TUIR, essendo stato abrogato dalla L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 333, lett. I, la CTR, con riferimento al rilievo n. 1) ha fondato la decisione, con affermazioni generiche e meramente apodittiche (“le perizie di stima sono mere dichiarazioni di parte e non possono essere prese a base dell’emissione di un avviso di accertamento in quanto riguardano il rapporto di un terzo – banca e acquirente – e non possono rientrare nella sfera della società venditrice”;.. “le stesse sono delle attestazioni che consentono all’istituto bancario, previa verifica presso l’immobile da acquistare o altri beni posseduti dagli acquirenti, di erogare il finanziamento al richiedente non al prezzo indicato dalla venditrice e, quindi, ne deriva che il prezzo periziato non è l’effettivo guadagno della società”… “l’acquirente una volta ottenuto il mutuo non è tenuto ad effettuare al cedente nessuna comunicazione e in effetti può anche destinare il mutuo ad altri interventi”..), su elementi estranei al thema decidendum, in quanto non posti alla base dell’accertamento, quali le perizie di stima relative ai mutui accesi dagli acquirenti degli immobili ritenendo che concretassero un accertamento di tipo “induttivo” e, pertanto, precluso in presenza del concordato biennale; l’impossibilità di individuare l’effettiva ratio decidendi, in relazione alle effettive contestazioni poste alla base dell’atto impositivo, rende meramente apparente la motivazione della decisione impugnata; peraltro, anche il richiamo alla sentenza penale di assoluzione del legale rappresentante della società è incongruente rispetto al rilievo specifico oggetto di causa, essendo il passo richiamato riferito ai mutui richiesti dagli acquirenti; quanto ai rilievi nn. 2) e 3) la motivazione risulta totalmente omessa, non essendo evincibili dalla sentenza impugnata le ragioni che hanno indotto il giudice di appello a riformare sul punto la decisione di primo grado nè essendo ravvisabile – come eccepito dalla controricorrente – alcuna motivazione nella affermazione finale di assorbimento delle altre eccezioni sollevate dalla contribuente dalla “rilevata questione di merito” (circa la preclusione di un accertamento di tipo induttivo, in presenza del concordato biennale per gli anni 2003-2004), non essendo stata dalla società contestata, con riferimento a tali riprese, la “non analiticità” dell’accertamento; al riguardo, questa Corte ha già chiarito che “ove si escluda, rispetto ad una certa questione proposta, la correttezza della valutazione di assorbimento, avendo questa costituito l’unica motivazione della decisione assunta, ne risulta il vizio di motivazione del tutto omessa” (Cass. n. Sez. 1, Ordinanza n. 28995 del 12/11/2018; Sez. 3, Ordinanza n. 33764 del 19/12/2019);

– in conclusione, va accolto il ricorso; con cassazione della sentenza impugnata e rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la impugnata sentenza e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, anche per il governo delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2021

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