Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17248 del 23/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 23/08/2016, (ud. 27/04/2016, dep. 23/08/2016), n.17248

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4976-2015 proposto da:

C.G.E.A., C.F. (OMISSIS), domiciliato in

ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato AGOSTINO FULVIO

SICARI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

CO.PRO.S. SOCIETA’ COOPERATIVA SOCIALE ONLUS, C.F. (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati

SALVATORE SALVA’ e ROSARIO ANTONINO MAGRO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. R24/2014 della CORTE D’APPELLO di

CALTANISSETTA, depositala il 05/12/2014 319/2014;

udita la relazione lena causa svolta nella pubblica udienza del

27/04/2016 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANN1 PATTI;

uditi gli Avvocati MAGRO ROSARIO ANTONINO e SALVA’ SALVATORE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale DOTT.

FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Con sentenza 5 dicembre 2014, la Corte d’appello di Caltanissetta rigettava il reclamo proposto da C.G.E.A. avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva respinto l’opposizione contro l’ordinanza con cui lo stesso Tribunale aveva respinto la sua impugnazione del licenziamento per giusta causa intimatogli il 21 marzo 2013 dalla datrice cooperativa sociale Co. Pros. Onlus.

A motivo della decisione, la Corte territoriale ribadiva la ricorrenza di una giusta causa di licenziamento nell’allontanamento alle ore (OMISSIS) del lavoratore dalla comunità alloggio in (OMISSIS), struttura di cui era responsabile, dichiarando falsamente al personale la fruizione di un permesso e successivamente chiedendo all’operatrice in procinto di iniziare il proprio turno serale di timbrargli il cartellino alle ore 20,30, facendo così apparire completato il suo turno di lavoro: comportamento di tale gravità da non rientrare in alcuna delle ipotesi previste dall’art. 46 del CCNL di categoria per cui era stabilita una sanzione conservativa, in relazione alla connotazione fiduciaria delle mansioni di responsabile di struttura, gravida di riflessi negativi nell’ambiente lavorativo e sulla stessa immagine esterna della cooperativa datrice.

Con atto notificato il 2 febbraio 2015, il lavoratore ricorre per cassazione con quattro motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., cui resiste la Cooperativa con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, comma 4come novellato dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 42, lett. b) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per l’erronea assunzione della giusta causa di licenziamento nella qualità soggettiva di responsabile di struttura del lavoratore, nonostante la riconducibilità del fatto ad ipotesi tipizzata dell’art. 46 del CCNL di categoria, pure espressamente richiamato nella lettera di licenziamento, sanzionata con misura conservativa.

Con il secondo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del novellato L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, comma 4, degli artt. 46 CCNL di categoria e art. 1363 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per apodittica esclusione del comportamento tenuto dall’ambito della “assenza ingiustificata”, erroneamente qualificato come giusta causa di licenziamento, senza neppure alcun esame delle varie ipotesi regolate dalla norma contrattuale collettiva denunciata e del relativo sistema di graduazione delle sanzioni disciplinari, in violazione dei corretti criteri ermeneutici in materia.

Con il terzo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 2 come novellato dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 37, L. n. 300 del 1970, art. 7 e art. 46 CCNL di categoria, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per la supposta gravità di riflessi del comportamento, ritenuto integrare giusta causa di licenziamento, nell’ambiente di lavoro e sull’immagine della cooperativa datrice in assenza di alcun riscontro, nè tanto meno oggetto di specifica contestazione, nè menzionati nella lettera di licenziamento.

Con il quarto, il ricorrente deduce violazione dell’art. 2106 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per inosservanza del principio di proporzionalità in riferimento alle sanzioni (dalla multa alla sospensione dal lavoro e dalla retribuzione fino a dieci giorni) previste dall’art. 46 CCNL di categoria, avuto riguardo alle ipotesi partitamente esaminate, pure in assenza di un obiettivo pregiudizio per gli interessi datoriali.

Tutti i motivi illustrati possono essere congiuntamente esaminati, per stretta connessione, in ragione della loro convergenza, sotto i diversi concorrenti profili illustrati, nella censura di inesistenza della giusta causa di licenziamento.

Essi sono infondati.

Ed infatti, le censure non colgono nel segno, per l’errore di impostazione rilevato anche dalla controricorrente (a pg. 6 del controricorso).

La sentenza impugnata, coerentemente con la nota di contestazione del 6 marzo 2013 (trascritta per la parte d’interesse a pg. 2 del controricorso) e con la lettera di licenziamento del 21 marzo 2013 (trascritta a pgg. 3 e 4 del controricorso), ha escluso la riconducibilità del fatto ad alcuna delle ipotesi tipizzate dell’art. 46 del CCNL di categoria (con la conseguente inconferenza della denunciata violazione del novellato L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, comma 4), ma all’accertato (e incontestato) allontanamento del lavoratore, investito di mansioni di responsabile di struttura, previa falsa dichiarazione al personale di fruizione di un permesso e facendosi timbrare, in propria vece da altra operatrice, il cartellino di presenza circa un’ora e mezza dopo, così facendo figurare il completamento del turno lavorativo.

Appare di assoluta evidenza che il fatto sia di ben altra gravità rispetto a quelli previsti dalla norma collettiva contrattuale denunciata di violazione (quali, in particolare, l’assenza ingiustificata, la simulazione di malattia o di altri impedimenti, l’abbandono del posto di lavoro, la negligenza abituale nell’osservanza di leggi o disposizioni o regolamenti o obblighi di servizio che rechino pregiudizio agli interessi del datore o che procurino vantaggi a sè o a terzi), per l’incidenza sulla particolare connotazione fiduciaria del rapporto di lavoro: in ragione delle mansioni di C. di responsabile della struttura, onerato di una responsabilità, così tradita da comportamento tanto sleale.

E ciò non senza riflessi negativi nell’ambiente lavorativo e sulla stessa immagine esterna della cooperativa datrice: non per arbitrarie considerazioni metagiuridiche (come all’esordio del terzo capoverso di pg. 18 del ricorso), eventualmente da qualificare nozioni di comune esperienza sempre utilizzabili dal giudice, senza bisogno di prova, per fondare la propria decisione ai sensi dell’art. 115 c.p.c., u.c. (Cass. 15 marzo 2016, n. 5089; Cass. 4 ottobre 2011, n. 20313; Cass. 28 ottobre 2010, n. 22022), ma per positivo accertamento (per le ragioni esposte a pgg. 3 e 4 della sentenza) della giusta causa di licenziamento (“Il Suo comportamento si pone in grave antitesi rispetto ai fondamentali principi di correttezza, lealtà e fedeltà… soprattutto in considerazione delle delicate mansioni a Lei affidate… rispetto alle quali ha dimostrato, con questo comportamento, la Sua inidoneità, anche per il cattivo esempio dato agli altri operatori, ponendosi in una posizione di netta rottura con gli interessi della Cooperativa. Tale Suo comportamento ha irrimediabilmente leso il vincolo fiduciario… essendo consistito in un deliberato e volontario tentativo di trarre in inganno il Suo datore di lavoro, in quanto diretto a fare risultare fittiziamente ottemperato l’obbligo di presenza sul posto di lavoro”: come da citata lettera di licenziamento trascritta).

Il comportamento del lavoratore così accertato appare indubbiamente integrare una giusta causa per la rottura dell’elemento fiduciario, debitamente valutata dalla Corte territoriale (Cass. 26 aprile 2012, n. 6498), tenuto corretto conto dell’intensità della fiducia richiesta, a seconda della natura e della qualità del singolo rapporto, della posizione delle parti, dell’oggetto delle mansioni e del grado di affidamento che queste richiedono, nonchè della concretezza del fatto nella sua portata oggettiva e soggettiva (Cass 12 dicembre 2012, n. 22798), in specifico riferimento alla falsa attestazione di presenza in ufficio nella sua qualità di preposto alla struttura (Cass 14 ottobre 2015, n. 20726).

Ed infine, occorre ribadire come in tema di licenziamento, la nozione di giusta causa sia nozione legale, sicchè il giudice non è vincolato alle previsioni di condotte integranti giusta causa contenute nei contratti collettivi (la cui natura esemplificativa ultimamente confermata anche da: Cass. 12 febbraio 2016, n. 2830); senza che ciò escluda che egli ben possa far riferimento ai contratti collettivi e alle valutazioni che le parti sociali compiono in ordine alla valutazione della gravità di determinati comportamenti rispondenti, in linea di principio, a canoni di normalità, con accertamento da operare caso per caso, valutando la gravità in considerazione delle circostanze di fatto e prescindendo dalla tipologia determinata dai contratti collettivi (Cass. 23 marzo 2016, n. 5777; Cass. 22 dicembre 2006, n. 27464; Cass. 14 febbraio 2005, n. 2906).

Dalle superiori argomentazioni discende coerente il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio, secondo il regime di soccombenza.

PQM

LA CORTE

rigetta il ricorso e condanna C.G. alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 100,00 per esborsi e Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15 % e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2016

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