Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17246 del 22/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 22/08/2016, (ud. 09/06/2016, dep. 22/08/2016), n.17246

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente –

Dott. VENUTI Pietro – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4175/2014 proposto da:

M.A., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA ADIGE 34, presso lo studio dell’avvocato RICCARDO MANNINO,

rappresentato e difeso dall’avvocato STEFANO PILO, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

GESENU S.P.A., P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DEI

CAPRETTARI 70, presso lo studio dell’avvocato BRUNO GUARDASCIONE,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato RODOLFO

VALDINA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 207/2013 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 01/10/2013 R.G.N. 304/20112;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/06/2016 dal Consigliere Dott. PIETRO VENUTI;

udito l’Avvocato VALDINA RODOLFO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’inammissibilità, in

subordine il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Perugia, con sentenza resa pubblica in data 1 ottobre 2013, ha confermato la decisione di primo grado, che aveva accolto la domanda proposta dalla s.p.a. Gesenu volta all’accertamento della legittimità del licenziamento disposto nei confronti del dipendente M.A..

Al lavoratore era stato contestato di avere firmato il 22 giugno 2007 il foglio presenze relativo ai giorni 23 e 25 giugno 2007, con le rispettive date di entrata ed uscita, e di non essersi presentato in tali ultimi giorni al lavoro.

La Corte anzidetta ha osservato che correttamente il primo giudice aveva ritenuto sussistente la giusta causa del licenziamento, atteso che dalla compiuta istruttoria era emerso che in effetti il lavoratore si era reso responsabile dei fatti addebitatigli, fatti che erano idonei a ledere il rapporto fiduciario che sta alla base del rapporto di lavoro.

Ha aggiunto che la norma contrattuale invocata dall’appellante non era pertinente, poichè riferita all’assenza pura e semplice dal lavoro, mentre, nella specie, il lavoratore aveva posto in essere una condotta preordinata a trarre in inganno il datore di lavoro, simulando la sua presenza nel posto di lavoro.

Per la cassazione di questa sentenza propone ricorso il lavoratore sulla base di un solo motivo. Resiste con controricorso la società. Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo del ricorso, denunciandosi violazione e falsa applicazione degli artt. 245 e 421 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), si deduce che, diversamente da quanto si afferma nella sentenza impugnata, il ricorrente non rinunciò alla audizione dei due testi non sentiti in precedenza ( D. e S.) nè omise di chiedere che venissero escussi. Al contrario il suo difensore ne chiese l’audizione sia nelle note difensive depositate in data 11 maggio 2012 che nel corso della discussione orale. Una volta ammessi i due testi in questione, non avendovi la parte rinunciato, il giudice aveva l’obbligo di escuterli. Di conseguenza la sentenza impugnata era “assolutamente illegittima”.

2. Il ricorso è inammissibile laddove censura la sentenza impugnata per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

Da un lato, in base al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qui applicabile (la sentenza impugnata è stata depositata in data 1 ottobre 2013), la censura avrebbe dovuto essere dedotta “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”; dall’altro la sentenza impugnata ha sufficientemente motivato sul punto. Al riguardo, come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (sent. n. 8053/14), la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

3. Sotto il profilo della dedotta violazione di legge il ricorso è infondato.

La Corte di merito, con riguardo alla censura in esame ha affermato che il primo giudice, con ordinanza del 25 maggio 2011, delegò al Tribunale di Sassari l’espletamento della prova con due testimoni indicati dal ricorrente, Se. e Me., tardivamente citati per l’udienza del 2 luglio 2010 e non comparsi, e con una teste della società ricorrente, anch’ella residente in (OMISSIS).

Ha aggiunto che, espletata la prova, il M. non formulò altre richieste ed in particolare non chiese al giudice di fissare un’altra udienza per l’escussione dei testi D. e S. – dei quali qui lamenta l’omessa audizione -, nè con le note autorizzate depositate in data 11 maggio 2012 nè alla successiva udienza di discussione del 22 maggio 2012, in cui tale richiesta non venne verbalizzata. Ha quindi ritenuto che il M. avesse implicitamente rinunciato alla loro audizione, onde non aveva motivo di che dolersi in sede di gravame.

Il ricorrente contesta tali affermazioni, deducendo che con le note anzidette e nel corso della discussione orale venne chiesta l’audizione dei testi in questione.

Ma, quanto alla richiesta formulata oralmente, essa, in mancanza di una verbalizzazione in tal senso, deve ritenersi del tutto priva di prova. Quanto alle note difensive in data 11 maggio 2012, il

ricorrente, in violazione dell’art. 369 c.p.c., comma 1, n. 4, non le deposita unitamente al ricorso nè, tanto meno, indica la sede processuale dove esse risultano prodotte, non rendendo cosi immediatamente apprezzabile da parte di questa Corte il vizio dedotto.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Il ricorrente è tenuto al pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso (D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 9 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 agosto 2016

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