Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17245 del 18/08/2020

Cassazione civile sez. I, 18/08/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 18/08/2020), n.17245

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 8556/2019 proposto da:

O.P., elettivamente domiciliato in Roma, alla Via Faà Di

Bruno n. 15, presso lo studio dell’avvocato Marta Di Tullio, che lo

rappresenta e difende in forza di procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro

pro-tempore, rappresentato e difeso, ex lege, dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso i cui Uffici in Roma, alla Via dei

Portoghesi n. 12, è domiciliato;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 2724/2019 del TRIBUNALE di ROMA, depositato

l’8/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/06/2020 dal Consigliere Dottoressa IRENE SCORDAMAGLIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con il decreto impugnato, il Tribunale di Roma ha respinto il ricorso proposto da O.P., cittadino (OMISSIS) proveniente dall'(OMISSIS), avverso il provvedimento reiettivo della domanda di protezione internazionale – nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria – emesso dalla competente Commissione Territoriale.

Il Tribunale ha respinto le domande di riconoscimento dello status di rifugiato e della concessione della protezione sussidiaria nelle forme di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) rilevando: come il racconto del richiedente in ordine agli atti di intimidazioni e di violenza subite per mano degli esponenti del partito (OMISSIS) – che egli aveva riferito di aver sorpreso a commettere brogli elettorali nel 2012, filmandoli – fosse contrassegnato da genericità; come altrettanto vaga fosse l’indicazione delle ragioni per le quali egli non si fosse rivolto alla polizia; come il pericolo di subire le persecuzioni e i danni gravi allegati non potesse più dirsi attuale. Ha disatteso la domanda di protezione sussidiaria proposta ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), osservando come le informazioni sull'(OMISSIS), desunte da fonti qualificate, pur dando atto di isolati atti di violenza, non consentissero di configurarne la situazione nei termini del conflitto interno o della violenza generalizzata. Ha, infine, negato la protezione umanitaria, evidenziando come i seri motivi atti a giustificarne il riconoscimento, non emergevano da quanto allegato dal ricorrente in ordine alla sua personale condizione di vulnerabilità.

2. Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di O.P. è affidato a tre motivi, di seguito dettagliatamente illustrati.

4. L’intimata Amministrazione dell’Interno si è difesa con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è denunciata la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e dell’art. 16 Direttiva Procedura 2013/32 UE, per non essersi il Tribunale attenuto, nella valutazione delle dichiarazioni del richiedente protezione, al protocollo procedimentale delineato dal comma 5, lett. c) norma evocata, che impone al giudice di valutare le dichiarazioni del richiedente alla luce delle informazioni generali e specifiche pertinenti al caso, eventualmente officiosamente acquisite ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.

1.1. Il motivo è inammissibile.

L’attenuazione del principio dispositivo, che si registra nella materia della protezione internazionale, comporta che il dovere di “cooperazione istruttoria” del giudice non esime il richiedente dall’onere di adeguatamente circostanziare l’allegazione dei fatti posti a fondamento della domanda (Sez. 1-, n. 13403 del 17/05/2019, Rv. 654166).

In effetti, solo allorchè il richiedente abbia adempiuto all’onere di compiutamente allegare i fatti costitutivi del suo diritto, i quali non possono essere officiosamente introdotti in giudizio, sorge il potere-dovere del giudice stesso di accertare se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante si registrino fenomeni tali da giustificare l’accoglimento della domanda (Sez. 6 – 1, n. 19197 del 28/09/2015, Rv. 637125). La detta verifica officiosa, peraltro, deve intendersi circoscritta alla situazione obiettiva del Paese di origine del richiedente – verifica da condurre elettivamente, ma non esclusivamente, attraverso lo scrutinio delle c.d. c.o.i., country of origin informations -; la situazione personale del richiedente, invece, deve essere oggetto soltanto della valutazione di coerenza, plausibilità e non contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso di cui si dispone, secondo quanto previsto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c) (Sez. 6 – 1, n. 11312 del 26/04/2019, Rv. 653608; Sez. 6 – 1, n. 27336 del 29/10/2018, Rv. 651146; Sez. 6 – 1, n. 17069 del 28/06/2018, Rv. 649647).

1.2. Nella fattispecie al vaglio il giudice di merito ha, correttamente, distinto il piano della situazione personale del richiedente da quello della situazione obiettiva del Paese di provenienza e, quanto al primo aspetto, ha ritenuto, sulla base di elementi dettagliatamente passati in rassegna (la vaghezza e l’inverosimiglianza del racconto su aspetti fondamentali della vicenda narrata), che le dichiarazioni rese dal postulante protezione fossero prive di credibilità: valutazione, questa, non sindacabile in questa sede al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Sez. 1 -, n. 21142 del 07/08/2019; Rv. 654674; Sez. 1 -, n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549), norma, questa, tuttavia neppure evocata dal ricorrente.

2. Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è denunciata la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 5, 7 e art. 14, lett. b), per avere il Tribunale fatto erronea applicazione della norma – quella di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, lett. c), – che impone all’Autorità decidente di verificare, in ipotesi di persecuzione o trattamento inumano promanante da soggetti privati che lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio o le organizzazioni internazionali non possono o non vogliono offrire protezione.

2.1. Il motivo è inammissibile.

Le deduzioni sul punto sono genericamente articolate, in quanto, lungi dal confrontarsi con l’affermazione contenuta nel provvedimento impugnato, secondo cui l’istante non aveva fornito alcun elemento plausibile a supporto della dedotta impossibilità di ottenere protezione da parte delle Autorità Statali, essendosi limitato a dedurre in modo generico una corruzione degli apparati di sicurezza del Paese di provenienza, prospettano soltanto ipotetiche analogie con casi analoghi esaminati da questa Corte.

3. Il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, sul rilievo che il Tribunale avrebbe omesso l’esame della domanda di protezione umanitaria, non avrebbe operato il collegamento tra la situazione personale del richiedente e la situazione del Paese di origine ed avrebbe omesso l’esame dell’inserimento lavorativo del richiedente, risultante dagli atti.

3.1. Il motivo è inammissibile.

Il Tribunale, attenendosi all’indicazione nomofilattica – che oggi ha ricevuto l’autorevole avallo delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 – 02) -, secondo la quale, in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Sez. 1-, n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298), ha evidenziato come non fossero state offerte dall’istante specifiche allegazioni in ordine ad una condizione di vulnerabilità personale – il subito intervento al femore non essendo in tal senso significante -, tanto non consentendo di procedere alla richiesta comparazione tra le sue condizioni nel nostro paese con quelle del paese di provenienza.

Si tratta di affermazione, per quanto osservato, corretta in diritto, con la quale i rilievi censori non si sono affatto confrontati.

3.2. L’omesso esame del preteso inserimento lavorativo in Italia avrebbe dovuto essere denunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, alle condizioni indicate dal diritto vivente (Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831), ma ciò non risulta dall’articolazione del motivo.

4. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza. Doppio contributo se dovuto.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che liquida in Euro 2.100,00, oltre alle spese prenotate a debito. il doppio contributo di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dovrà essere versato ove ne ricorrano i presupposti.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 agosto 2020

 

 

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