Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17245 del 13/07/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 13/07/2017, (ud. 22/02/2017, dep.13/07/2017),  n. 17245

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana M. T. – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11776-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

GSI COOP SOC. COOP RL, elettivamente domiciliato in ROMA VIA G.

FERRARI 35, presso lo studio dell’avvocato GIANNI DI MATTEO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 214/2012 della COMM.TRIB.REG. di ROMA,

depositata il 30/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/02/2017 dal Consigliere Dott. ANNA MARIA FASANO.

Fatto

RITENUTO

CHE:

La Cooperativa di lavoro GSI proponeva ricorso avverso la cartella di pagamento, emessa ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis con cui l’Ufficio recuperava a tassazione il credito di imposta per incremento occupazionale, ai sensi della L. n. 388 del 2000, art. 7 e L. n. 289 del 2002, art. 63 maturato dal 2001 al 2003 e utilizzato in compensazione. La CTP di Roma rigettava il ricorso. La sentenza veniva appellata dalla contribuente la quale eccepiva, in via preliminare, la nullità della iscrizione a ruolo in considerazione dalla mancanza di un avviso di accertamento che doveva precederla, e nel merito la sussistenza del diritto al credito di imposta. La Commissione Tributaria Regionale del Lazio accoglieva l’appello, sostenendo che la rettifica operata dall’Ufficio, conseguente ad una diversa interpretazione giuridica della norma, doveva essere contestata con ordinario avviso di accertamento in rettifica.

L’Agenzia delle entrate propone ricorso per la cassazione della sentenza, svolgendo due motivi. Ha resistito con controricorso la GSI Coop. Soc. a.r.l., illustrato con memorie.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo di ricorso, l’Ufficio ricorrente censura la sentenza impugnata denunciando in rubrica: “Nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. o gradatamente del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, avendo il giudice di appello pronunciato ultra petita, sostenendo la necessità dell’emissione di un ordinario avviso di accertamento in rettifica, in quanto la società tanto in primo grado, che in appello, si era limitata a denunciare il difetto di motivazione della cartella impugnata, non contestando mai l’illegittimo ricorso allo strumento del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis.

2. Con il secondo motivo di ricorso, l’Ufficio ricorrente censura la sentenza impugnata, denunciando in rubrica: “Insufficiente motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (in via gradata omesso esame in relazione alla nuova formulazione dello stesso art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”. Si deduce che, nell’ipotesi in cui non sussistessero i presupposti di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis la sentenza è affetta dal vizio motivazionale denunciato, non essendo stati con la stessa considerati fatti pacifici, incontestati e decisivi ai fini della liquidazione operata ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis derivando la pretesa in questione da discrasie ed omissioni dedotte dalla dichiarazione stessa, anche in raffronto con le precedenti dichiarazioni e con i dati inseriti nella stessa dichiarazione mod. unico 2007, sulla base di una scelta del contribuente manifestamente errata.

3. Il primo motivo è manifestamente infondato.

3.1. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la diretta iscrizione a ruolo della maggiore imposta, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis è ammissibile, e può evitare l’attività di rettifica, quando il dovuto sia determinato mediante un controllo della dichiarazione meramente cartolare, sulla base dei dati forniti dal contribuente, o di una mera correzione di errori materiali o di calcolo (Cass. n. 14070 del 2011, n. 7536 del 2011, Cass. n. 12023 del 2015, Cass. 12762 del 2006).

3.2. Questa Corte ha, recentemente, chiarito, con ordinanza Sez. 6-5, n. 11292 del 2016 (conf. n.5318 del 2012), che il disconoscimento del credito di imposta non può avvenire mediante l’emissione di una cartella di pagamento avente ad oggetto il relativo importo, ma richiede un previo avviso di recupero di credito di imposta (atto espressamente contemplato dalla L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 421, ma che l’Amministrazione aveva il potere di emettere anche prima dell’introduzione di tale disposizione nell’ordinamento, cfr. Cass. 8033/11 e altre). Con tali modalità, ossia con l’immediata emissione di una cartella di pagamento, non possono risolversi questioni giuridiche, ed, in particolare, la negazione della detrazione nell’anno in verifica di un credito dell’anno precedente, per il quale la dichiarazione era stata emessa, non può essere ricondotta al mero controllo cartolare, in quanto implica, appunto, verifiche e valutazioni giuridiche, con la conseguenza che il disconoscimento del credito e l’iscrizione della conseguente maggiore imposta necessita di previa emissione di motivato avviso di rettifica.

Ne consegue che la rettifica operata con l’iscrizione a ruolo contestata, non dipendendo da errore materiale, ma dal disconoscimento da parte dell’Ufficio delle somme indebitamente compensate dalla contribuente, doveva essere contestata con un ordinario avviso di accertamento in rettifica, pertanto, la CTR ha ritenuto correttamente tale mancanza causa di illegittimità della cartella impugnata.

3.3. Ciò premesso, va precisata l’insussistenza del denunciato vizio di “ultra petita”, tenuto conto che, come precisato nella sentenza impugnata, la società contribuente aveva eccepito con ricorso la carenza di motivazione della cartella non preceduta da avviso di accertamento, e che tale doglianza era stata ribadita anche in appello, con la conseguenza che, nella specie, non ricorre l’eccepita violazione dell’art. 112 cod. proc. civ..

4. Al rigetto del primo motivo di ricorso, consegue il rigetto del secondo.

Sulla base dei rilievi espressi, il ricorso va, quindi, rigettato. Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia delle Entrate alla rifusione in favore del parte controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000 per compensi, oltre rimborso spese forfetarie ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2017

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